Universi al femminile

Sto leggendo il resoconto del viaggio del papa in Georgia e sono al punto in cui il Santo Padre, in una dichiarazione ai giornalisti sull’aereo che lo sta riportando a Roma, si pronuncia contro l’insegnamento nelle scuole della teoria del cosiddetto gender. Squilla il telefono, mi cercano dalla città di Cuneo; è la presidente di un circolo femminile, mi vorrebbero invitare nella loro sede per tenere una conversazione; dopo una breve introduzione si dà inizio alle domande del pubblico e il dibattito finisce per coinvolgere tutti i presenti. Ci sono già stato e ogni volta ho vissuto un’esperienza stimolante. Domando quale titolo prevedono per l’intervento. Risposta, dopo una breve esitazione: Il mio lato femminile. Il mio primo impulso consisterebbe in una reazione sdegnata: ma come si permettono quelle screanzate? Io sono un esemplare della specie umana maschio al 100%!
Mi frena il pensiero che farei il loro gioco, su questo terreno una negazione drastica è di fatto un’affermazione. E poi non è vero, anch’io ho, come tutti i maschi, un lato femminile. Non vado dall’estetista, dipendesse da me i chirurghi plastici chiederebbero l’elemosina, non controllo mai allo specchio il mio aspetto prima di uscire di casa… Ma la verità è che se dipendesse da me resterei sempre rintanato in casa: felicità allo stato puro è quando tutti sono usciti e io resto padrone del mio territorio, posso riordinare la cucina fino a farla specchiare, svuotare la lavastoviglie, aspettare che finisca la lavatrice per stendere la biancheria ad asciugare, stirare col ferro a vapore, cucinare. L’imprinting mi deriva da mio padre: in anni decisivi per la mia formazione lui perse il lavoro, la tipografia dove lavorava fu sommersa dall’acqua del fiume Tanaro durante una disastrosa alluvione. Restò disoccupato per anni, la famiglia si resse sul reddito di mia madre che lavorava fino a tardi; mio padre si fece carico del lavoro domestico e io andavo al seguito di quello che è sempre stato il mio modello.
Anche in casa mio padre restava tipografo, cioè uno che ha il culto della precisione e ha in orrore i refusi. Per cucinare si consultavano i libri di ricette e si pesavano gli ingredienti con l’approssimazione dei cinque grammi. Le verdure per comporre l’insalata russa si tagliavano a cubetti tutti uguali e si montava la maionese facendo colare un filo d’olio lungo uno stuzzicadenti appoggiato al collo della bottiglia mentre l’altro sbatteva i rossi d’uovo sempre nello stesso senso. Negli anni 50 abitualmente il capo famiglia, finito di lavorare, tornava a casa e si sedeva a tavola facendosi servire; terminata la cena si alzava per andare all’osteria. Mi fanno ridere quelli che sostengono che l’avvento della televisione ha ucciso la conversazione nelle famiglie. Gli uomini che aiutavano in famiglia erano chiamati con un termine dialettale spregiativo, traducibile come «Giacomo-femmina». Va bene, accetto l’invito, domando: quando è prevista? Risposta: l’8 marzo dell’anno prossimo. Mancano cinque mesi, con questo anticipo le signore prenotano i tavoli in pizzeria per quel giorno.
Come sostiene l’attore Michele Di Mauro, «l’8 marzo gli uomini diventano portatori sani di mimosa». Quella della mimosa è una storia rievocata in un capitolo della magistrale biografia che Massimo Cirri ha dedicato ad Aldo Togliatti, il figlio di Palmiro, pubblicato di recente da Feltrinelli con il titolo Un’altra parte del mondo. Dopo la sconfitta del fascismo si celebra per la prima volta in Italia, nel 1946, la festa dell’8 marzo, due giorni prima dell’approvazione della legge che concede il voto alle donne. Rita Montagnana, madre di Aldo e ancora per poco moglie di Palmiro, rientra dall’URSS e fonda l’UDI, l’Unione Donne Italiane e la presiede. Ci vuole un fiore per simboleggiare la festa. Luigi Longo, vice segretario del partito comunista, propone di regalare un mazzo di violette a tutte le compagne. Le quali obbiettano che la violetta è difficile da trovare, è costosa, va bene a Parigi ma non in un paese prostrato dalla guerra. A Rita viene in mente la mimosa, fiore da corteo che va sventolato e fiorisce ai primi di marzo. E mimosa fu.
Torniamo alla conversazione da tenere a Cuneo; chiedo alla presidente di mandarmi una email per segnarmi l’appuntamento e così scopro che il titolo proposto non è Il mio lato femminile ma Il mio universo femminile. Tutto da rifare. Devo andare ancora indietro nei miei ricordi, prima dell’8 settembre del ’43, quando mio padre era ancora sotto le armi e io, bambino di pochi anni, venivo parcheggiato nel negozio di mia madre parrucchiera. Viziato e sbaciucchiato da tutte quelle signore che parlavano liberamente convinte che non le stessi a sentire mentre non perdevo una sola parola delle confidenze, dei pettegolezzi e delle trame che andavano svelando attorno alle assenti. Non tacevano mai e quando avevano la testa sotto il casco alzavano il tono della voce per farsi sentire. Nascono di lì la mia passione per gli intrecci e la consapevolezza che non bisogna mai credere ciecamente a quello che una donna ti racconta.

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