La storia segna i luoghi

Braunau, una cittadina dell’Alta Austria orientale, deve la sua notorietà a una circostanza evidentemente imbarazzante. Qui, infatti, il 20 aprile 1889, nacque Adolf Hitler in un edificio che, per via di quest’inquilino, continua essere motivo di dispute, dubbi, timori, e divide opinione pubblica e politici. Che farne, a quale uso destinarlo, come evitare che diventi una meta di pellegrinaggio per irriducibili nostalgici? Per tagliar corto, il governo di Vienna ha annunciato, nei giorni scorsi, una decisione che, a sua volta, doveva suscitare perplessità: quella casa, che infastidisce, sarà abbattuta.
Non si tratta, sia chiaro, di un abuso di potere da parte di Vienna, dato che il governo centrale, mediante espropriazione, intende assicurarsene legalmente l’utilizzo. Come ha precisato il ministro dell’interno, Wolfgang Sobotka, la nuova costruzione sarà la sede di un’istituzione sociale o di servizi amministrativi. Da escludere, in ogni caso, l’idea di un museo: «A tale scopo c’è già Mauthausen». E con queste parole il ministro, implicitamente, negava il valore storico di un edificio che aveva ospitato Adolf bambino e adolescente, fino al 1912, e in seguito, quando l’Austria fu occupata dai tedeschi, diventò nientemeno che il centro di propaganda nazista, gestito dal segretario del Führer, Martin Bormann. Insomma, un luogo toccato pesantemente dalla storia, che l’ha reso un testimone d’epoca. E un’epoca che ci siamo appena lasciati alle spalle, e tutt’altro che conclusa. Basta pensare alla persistenza all’antisemitismo.
Il caso di Braunau si riallaccia, del resto, a una lunga serie di precedenti analoghi che, su percorsi ideologici diversi, delineano una costante. Si tratta, appunto, dell’uso della demolizione e della cancellazione di edifici, monumenti, dipinti, insomma luoghi e oggetti, diventati simboli che possono rivelarsi ingombranti. Come succede, in particolare, nei regimi autoritari e dittatoriali dove, periodicamente, la dimenticanza diventa d’obbligo. Con effetti persino esilaranti. A Mosca, in certi musei, capitava d’imbattersi in dipinti visibilmente corretti: un leader tendeva la mano per stringere quella di un compagno, che, però, non c’era: caduto in disgrazia, l’avevano cancellato. Alla stessa stregua, a Tiblissi, che visitai nell’85, cioè nell’era della Perestroika, mi resi conto che Stalin, nato nei dintorni, era stato rimosso; inutile chiedere del seminario dove aveva studiato, o dell’ufficio del telegrafo dove aveva lavorato, o delle piazze dove aveva predicato la rivoluzione. Il silenzio imbarazzato delle guide che non ne sapevano niente, la diceva lunga.
In forme meno grossolane, la dimenticanza si era imposta anche in Italia, nei confronti delle tracce del fascismo. A Predappio, qualche decennio fa, sembrava insospettire la curiosità del turista che cercava la casa natale di Mussolini. A Roma, è recente la rivalutazione dell’architettura del ventennio: Piacentini, aborrito nei tempi lontani dei miei studi, viene adesso riproposto, sotto una luce non più ideologica ma professionale. In definitiva, è una questione di tempo, necessario per maturare il distacco da una situazione a caldo.
«Demolire non basta» ha dichiarato lo storico Oliver Rathkold, docente all’università di Vienna, commentando la decisione del governo che, anzi, denuncia ingenuità e si presta a malintesi. «Si lancia un falso segnale: il pericolo nazista nell’Austria di oggi non si elimina con le ruspe. Al contrario, proprio conservando s’induce a riflettere su luoghi che raccontano la storia e meritano un posto nella memoria collettiva». Ora, questa definizione rischia di appiattirsi nella retorica se, appunto, non viene accompagnata dalla tutela delle tracce di un passato anche prossimo, su cui riflettere anche sul piano della memoria individuale. La quale tende a concedersi delle accomodanti dimenticanze, e si pensi ai frequenti cambiamenti di rotta dei politici e dei personaggi che contano. 
Certo è che la visione della casa natale di Hitler, di un Lager o della Kolyma, luogo di torture sovietiche, può far riemergere ricordi di sbandate giovanili e abbagli ideologici che mettono a disagio. Ma ben venga questo disagio.

Related posts

Si può essere allergici ai funghi?

«Nostro nipote non ci aiuta, siamo disorientati»

Trent’anni di solitudine