Ho scoperto Beauduc durante la preparazione di un viaggio in Camargue, dove avevo intenzione di recarmi per fotografare l’area di confine del parco naturale, costituito di realtà industriali legate alle attività portuali. Da Salin de Giraud con l’aiuto di una cartina abbiamo percorso i 14 km di strada sterrata che portano a Beauduc, nella parte occidentale del delta del Rodano, nel cuore del parco naturale Regionale della Camargue.
I 14 km di strada rimangono indimenticabili, non solo per la dura prova di guida alla quale si è sottoposti per salvare auto e schiena, ma soprattutto per il paesaggio attraversato, un paesaggio dallo spazio infinito, uno spazio senza tempo, metafisico, immerso nel suono del vento che in questa tavola trova poco a impedirne la sua corsa verso il mare.
Una sottile linea scura, che sembra disegnata dalla punta di una matita, separa il cielo dalla terra e dal mare. Difficile da documentare è l’odore che si percepisce, un odore che impari a riconoscere da lontano quando ritorni e che è l’insieme di acque stagnanti e salsedine. Un aroma che viene memorizzato e che resta indelebile in quella parte del cervello adibito a questo scopo.
Dopo aver fatto il pieno di questo inebriante spazio e dei suoi aromi, si arriva in una spiaggia selvaggia. Qui dovrebbe esserci un villaggio. Le dune fanno da cornice a grandi distese di sabbia umida. Le distanze sono difficili da stabilire e quello che appare a poche centinaia di metri sembra di fatto irraggiungibile, riprendiamo l’auto per percorrere quelle che sembrano strade, vie improvvisate.
Le prime costruzioni che incontriamo fanno parte di Beauduc Nord, un nucleo nato negli anni Settanta attorno a due ristoranti gestiti da ex pescatori che hanno reso celebre il posto, tanto che a metà degli anni Novanta era possibile imbattersi in personalità del calibro di Jack Nicholson portato qui da Roman Polanski. Non andate però in cerca di Chez Juju e Chez Marc et Mireille – questi i nomi dei due ristoranti – che sono stati distrutti nel 2004 dalle autorità, intervenute per «ridimensionare» il fenomeno Beauduc.
Beauduc ci appare come uno strano villaggio, costituito di abitazioni precarie, senza fondamenta, fatte di roulotte demodé affiancate da costruzioni formate da materiali riciclati, teloni, assi di legno inchiodate tra loro grossolanamente. Sembrano più capanne costruite da bambini che case, alle quali vengono aggiunti abbellimenti, bandiere, targhe con un nome bizzarro e suggestivo, conchiglie o altro ancora. Davanti a una capanna, sopra a un pavimento fatto di assi, un divano ad angolo in finta pelle posto all’esterno direttamente sotto il cielo. Davanti a un’altra casa, un pianoforte – in pessimo stato – anch’esso lasciato sotto le intemperie. Camminare per Beauduc è un po’ come trovarsi in un set felliniano, con la differenza che qui non si tratta di un set costruito ad hoc. Può anche succedere di imbattersi tra le dune in un ragazzo che con un cappello in testa suona indisturbato un sax.
Si contano circa 500 capanne, ma sono solo una decina le famiglie che vengono qui durante tutto l’arco dell’anno.
La storia di Beauduc ha inizio nel secondo dopoguerra, negli anni Cinquanta, quando le vecchie capanne di giunchi costruite dai pescatori vengono gradualmente trasformate in luoghi accoglienti per un fine settimana o poco più, a costi contenuti, in un paradiso a pochi passi dal mare da offrire ai lavoratori delle vicine saline e ai pensionati. Tutti si conoscono, si aiutano reciprocamente, i bambini sono liberi di correre, si organizzano attività comuni, giochi di società ai quali tutti partecipano. Incurante della legge, senza permessi di costruzione o autorizzazioni d’altra natura, Beauduc vive in autarchia senza elettricità né acqua potabile. Sole, mare, natura e libertà, come scrive Laurence Nicolas, antropologa originaria di queste parti: «Nasce allora la sensazione del ritorno alla vita selvaggia, l’idea di un mitico paradiso perduto, o ancora la nostalgia delle origini in cui la cultura si concilia con la natura e fa a meno della mediazione tecnica».
Beauduc è organizzato in tre aree sviluppatesi nel corso del tempo. Le Sablons rappresenta un po’ il cuore, la parte storica e in un certo senso più importante. Creato tra il 1950 e il 1979, le costruzioni che lo costituiscono sono più solide e «sicure». Immaginando di vederlo dall’alto appare come un’isola, sulle cui sponde si sviluppano le abitazioni che lasciano alle proprie spalle uno spiazzo dove si svolgono le attività che coinvolgono i cabaniere.
Un altro nucleo, che abbiamo già incontrato, è Beauduc Nord situato all’ingresso di tutto il sito ed è il primo in cui ci si imbatte arrivando dalla strada. Infine Beauduc Plages è costituito in gran parte da roulotte raccolte attorno a la Cabane de l’indien – che svetta al centro come un campanile – costrui/ta negli anni Settanta da un ragazzo del Madagascar. Si tratta della parte più recente e anche la più problematica trovandosi a ridosso del mare. Le cabanes qui sono praticamente nell’acqua, in un contesto anarchico, legato a un’occupazione prevalentemente estiva e temporanea.
Beauduc non è riconosciuto dalle autorità e a partire dalla fine degli anni Sessanta (il parco viene istituito nel 1970) si sono svolti processi e ricorsi all’interno delle aule dei tribunali. Nel 1997 le associazioni dei cabaniere perdono la causa e le autorità statali sanciscono l’abbattimento delle cabanes. Ad Arles, nello stesso anno, viene organizzata una grande manifestazione a difesa di Beauduc. Il ministro della Cultura proclama in modo estremamente inatteso il carattere patrimoniale e legittimo della pratica dei cabaniere a Beauduc. Ciò che porta a un blocco temporaneo della situazione.
Non si può ignorare l’aspetto abusivo di Beauduc, costruito sul demanio marittimo e per di più all’interno di un parco naturale dove non è possibile edificare. Eppure, allo stesso tempo, non si può non restare colpiti dalla sua essenza di laboratorio sociale di un vivere alternativo, basato su principi diversi e che mettono tutti sullo stesso piano. È questo l’aspetto che più di altri emerge nella ricerca della storia di Beauduc. Quello che vede una piccola comunità che da oltre 40 anni caparbiamente difende la propria storia, e che trova l’appoggio da tutta la popolazione locale, dalle guardie del parco, da uomini politici e artisti.
Diverse sono le attività svolte dall’ASPB (Association de Sauvegarde du Patrimoine de Beauduc), una delle associazioni più attive di cabaniere nata già alla fine degli anni Sessanta. Distribuzione di opuscoli e installazione di pannelli informativi che invitano i visitatori ad attenersi a regole di buon uso del luogo; eliminazione dei relitti, istituzione di un pronto soccorso, aiuto ai turisti in difficoltà, installazione di una cisterna per prevenire incendi, operazioni di rimboschimento, raccolta dei rifiuti, piccoli lavori di manutenzione alla viabilità.
Il tessuto associativo è la garanzia principale della gestione del sito da parte dei suoi occupanti.
Durante il periodo estivo, Beauduc è meta di kitesurfer che arrivano da tutta Europa e che riempiono il cielo di vele colorate. Insieme ai cabaniere condividono lo spirito di libertà del posto, alloggiando con tende e piccoli caravan lungo la spiaggia.