Recensioni: Eros e Priapo, il pamphlet di Gadda ripubblicato da Adelphi senza tagli e censure
Uomo di grandi tormenti fu Carlo Emilio Gadda, costantemente alle prese con problemi economici e professionali, assediato dagli editori (cui prometteva senza mantenere), scostante con i colleghi e con gli amici. Al netto di una personalità che avrebbe comunque faticato a trovare il suo posto nel mondo, in qualunque tempo e in qualunque epoca, l’aver vissuto nell’Italia del Ventennio non gli facilitò certo le cose. Il sofferto rapporto con il fascismo fu infatti, in sede storica, uno dei suoi rovelli più esasperati.
Il caso Gadda è, anche da questo punto di vista, emblematico ed esemplare: da una convinta seppur temperata adesione iniziale (tra gli emigrati italiani nell’Argentina degli anni Venti) all’ottimistica fiducia nella «ardente e virile azione del nostro Duce» a ridosso del conflitto, fino al primo svelarsi di un’illusione nella quale erano caduti in molti e di cui tutti portavano almeno una fetta di responsabilità («ho passato una troppo cagna vita: e certe tracce non mi lasciano più»). La svolta si misura, per lui, quasi in extremis, tra l’autunno del ’43 e l’estate del ’44, che lo vedono ramingo nelle campagne toscane nella più completa disperazione. È in questi mesi cruciali che inizia a scrivere un ferocissimo pamphlet antifascista, nella forma di un caustico «j’accuse» che è troppo onesto per non trasformare presto in un «m’accuse» rivolto a se stesso e, di rimbalzo, al complesso della nazione e della società italiane.
Il frutto di questo slancio fu stampato in una collana di Garzanti, con il titolo Eros e Priapo, soltanto nel 1967, dopo un rosario di rifiuti, adattamenti e censure che ne avevano edulcorato in gran parte forma e contenuto. L’unico ad anticipare, sulla rivista «Officina», alcune pagine non censurate era stato – manco a dirlo – Pier Paolo Pasolini, nel maggio del 1955. E davvero il futuro regista di Salò o le 120 giornate di Sodoma era forse l’intellettuale più adatto a cogliere la portata eversiva non soltanto delle tesi del libello, ma anche della sua costruzione metaforica, attraverso la quale l’autore rilegge il fascismo alla luce di una regressione all’istinto sessuale da cui nessuno poteva dirsi indenne.
Questo è insomma il grande tema di Eros e Priapo: il ritorno, dopo aver accarezzato con la modernità le conquiste dell’età dell’oro, alla barbarica età del sesso, in cui tutto tende inevitabilmente ed esclusivamente al coito e alla sua smaccata rappresentazione, anche quando in apparenza si tratti d’altro (politica, società, guerra, cultura). Il testo, condotto con andamento saggistico, si apre con alcune pagine programmatiche («il male deve essere noto e notificato») che non risparmiano strali a una storiografia ritenuta troppo timida e pudica, cui fanno seguito tre capitoli organizzati attorno ad un «teorema centrale», cioè il prevalere «di un cupo e scempio Eros sui motivi del Logos». Inforcati gli occhiali dello psicanalista freudiano, Gadda può dunque considerare nel dettaglio le abitudini sociali fasciste (lo squadrismo, l’esaltazione del leader, l’elogio della guerra, della patria e delle donne fertili) quali esiti inevitabili di narcisismo ed esibizionismo, insomma delle più comuni abitudini sessuali dell’età puberale, qui trasferite dal singolo a un’intera comunità di persone.
Non stupisce allora che, in un simile contesto, la proverbiale fantasia gaddiana si esalti nelle più mirabolanti invenzioni lessicali, specie attorno all’immagine di Mussolini, il «Predappiofallo», il «Giuda pestifero dalle gambe a roncola», «il fass tut mè» che avrebbe fecondato tutto un popolo e che invece terminò i suoi giorni «appeso come Cola, con rivoltate coglia» («coi ball per aria», chiosa la voce milanese dell’autore, ripensando con disagio allo scempio di Piazzale Loreto). E nemmeno si risparmiano le molte figure femminili (dalla madre alla Petacci alle «Marie Luise» di ogni provincia e paese) che lo attorniarono e lo esaltarono lungo tutta la sua parabola: donne che videro in lui «il portatore del modello formale del branco o specie, il vessillifero della patria spaghettifora co’ ’a pummarola in coppa, il mastio unico, l’empito spermatoforo della stirpe gloriosa divenuto persona».
Parole dure, a tratti durissime, che nel descrivere la «ventennale maialata» del fascismo assumono i toni di una missione epuratrice non disgiunta da senso di colpa. Negli ultimi giorni della guerra Gadda sente di avere un compito, quello dello scrittore, che non può fare a meno di giudicare e nominare le cose. «Il Predappio era un brigante che ci ha rovinati nel modo più atroce», scriverà un decennio più tardi alla nipote Anita Fornasini, «nei miei scritti […] è chiamato solo con epiteti spregiativi, e più frequentemente e sistematicamente: il Merda. Spero di avere il lauro dell’immortalità solo perché quel fetente schifoso e vigliacco, a cui Belzebù sta facendo dei clisteri di acido solforico, passi a sua volta nell’immortalità col nome che io gli ho dato, e cioè il suddetto».
Dire la verità, renderla per sempre «chiara» grazie ai mezzi linguistici di cui dispone, è ciò che davvero preme allo scrittore di questo aspro libello restituito finalmente alla sua forma originaria. Una nuova tappa verso gli opera omnia che la casa editrice Adelphi, dando seguito a un progetto filologico di Dante Isella e favorita dal rinnovato accesso ai materiali dell’Archivio Liberati, ha intrapreso oramai da qualche anno (qui per mano di Paola Italia e Giorgio Pinotti, autori di inappuntabili apparati). Un vecchio libro, sì, ma un nuovo Gadda.
Bibliografia
Carlo Emilio Gadda, Eros e Priapo, Adelphi 2016. 451 pagine