Stoccare energia nella roccia?

by Claudia

Progetti futuristici - Realizzato da una ditta ticinese un impianto pilota di immagazzinamento di energia con aria compressa nel cunicolo fra Pollegio e Loderio precedentemente usato per rimuovere i detriti di scavo dell’Alptransit

L’energia elettrica può essere immagazzinata chimicamente dentro batterie o fisicamente mediante impianti di idropompaggio. Una soluzione ancora poco sperimentata è lo stoccaggio di energia elettrica sotto forma di aria compressa. Un impianto pilota realizzato all’interno di una ex galleria della trasversale del San Gottardo conferma ora la fattibilità di principio di questa tecnica di accumulazione. I promotori della tecnologia sono convinti che i sistemi CAES (Compressed Air Energy Storage), che sfruttano l’aria compressa come mezzo di accumulo dell’energia, forniranno un contributo a medio e lungo termine all’integrazione nell’approvvigionamento energetico dell’energia solare ed eolica prodotta in modo discontinuo.
Il granito del San Gottardo è duro ma non impenetrabile. La roccia è attraversata da vene d’acqua e talvolta s’incontrano formazioni rocciose che si sbriciolano come sabbia. Se si vuole immagazzinare aria compressa nel Gottardo occorre quindi verificare prima se la roccia garantisce una tenuta d’aria sufficiente. Ed è esattamente ciò che ha fatto il Dr. Giw Zanganeh dell’azienda ticinese ALACAES SA negli ultimi mesi. L’ingegnere meccanico, laureato al Politecnico federale di Zurigo, ha trascorso diversi mesi con i suoi colleghi ricercatori nel cuore del San Gottardo per studiare la tenuta ermetica della roccia: «Con le nostre misurazioni abbiamo dimostrato che le gallerie del Gottardo hanno una tenuta ermetica sufficiente per consentire lo stoccaggio di aria ad alta pressione», ha spiegato Zanganeh. Una notizia che dà impulso alla visione di un accumulatore di energia elettrica nel granito del Gottardo: L’energia elettrica prodotta in eccesso, ad esempio con le centrali eoliche e solari, viene convertita in aria compressa e confinata in cavità sotterranee rocciose per poi essere utilizzata, quando necessario, per la produzione di energia elettrica mediante un generatore.
L’azienda ALACAES vuole costruire un serbatoio di questo tipo. Per questo motivo, dal 2014 ha allestito una galleria dismessa della Nuova Ferrovia Transalpina (NFTA) a nord di Biasca (TI) per testare l’utilizzo dell’aria compressa come mezzo di accumulo dell’energia. Una sezione della galleria, della lunghezza di 120 m, è stata chiusa alle due estremità con un «tappo di cemento» dello spessore di 5 m. Ciascun tappo presenta una porta in acciaio del peso di 7 t che consente di accedere alla camera a pressione. Le pareti della galleria di roccia sono rivestite di calcestruzzo a proiezione usato comunemente nei tunnel.
Nell’autunno 2016 è stata svolta una campagna di misurazione nella galleria NFTA. I ricercatori di ALACAES sono riusciti a immagazzinare l’aria nella roccia a una pressione di 7 bar. «Non abbiamo osservato perdite d’aria dalla roccia, pertanto possiamo concludere che la roccia è in linea di principio adatta per un serbatoio ad aria compressa», ha riassunto così Giw Zanganeh l’esito più importante dell’esperimento. Il team di Zanganeh è riuscito quindi a confermare con misurazioni sperimentali ciò che in precedenza erano solo calcoli teorici. «La montagna non si muove sotto l’effetto dell’aria compressa; non abbiamo osservato spostamenti rilevanti nella roccia».
Per giungere a questa conclusione i ricercatori hanno dovuto faticare molto. Basta uno sguardo al sito dell’esperimento per farsene un’idea. Dalla stazione di Biasca si arriva in pochi minuti in auto all’ingresso della galleria di quasi 3 km, che inizia a circa un chilometro di distanza dal portale NFTA meridionale e che serviva durante i lavori di costruzione per la rimozione dei detriti di scavo dalla Leventina (Pollegio) alla Valle di Blenio (Loderio) attraverso la montagna. La camera a pressione si trova a 700 m di profondità all’interno della montagna. A tale profondità, la copertura rocciosa è sufficientemente solida da resistere alle pressioni che si formano all’interno della camera a pressione quando è carica.
All’ingresso della camera a pressione lunga 120 m si trovano gli apparecchi che trasformano l’energia elettrica in aria compressa. In futuro sarà utilizzato un compressore adiabatico. Adiabatico significa che il calore generato durante la compressione dell’aria non viene ceduto all’ambiente esterno (mediante raffreddamento del compressore), bensì rimane nell’aria compressa. Poiché i compressori adiabatici non sono disponibili per l’impianto pilota, di dimensioni relativamente ridotte, l’aria compressa calda nell’esperimento in Ticino è stata generata con una costruzione ausiliaria: due compressori condensano l’aria esterna portandola gradualmente alla pressione desiderata, infine un riscaldatore la riscalda a 550 °C. L’aria calda compressa viene quindi condotta alla camera a pressione attraverso una tubazione.
Il cuore dell’impianto sperimentale si trova nella camera a pressione stessa: si tratta dell’accumulatore termico che assorbe il calore contenuto nell’aria compressa fino a quando il serbatoio è carico (vedere il riquadro di testo 1). L’accumulatore termico è di una semplicità disarmante: una vasca in calcestruzzo lunga 10 m, larga 2 m abbondanti e alta quasi 3 m, completamente riempita con 44 mc di sassi di fiume di circa 2 cm di spessore. L’aria calda compressa attraversa il letto di pietre durante il processo di carica cedendo loro il suo calore. Tanto è semplice il principio dell’accumulatore termico quanto la progettazione e la costruzione sono particolarmente ambiziose. Si è dovuto ottimizzare la forma sul piano termodinamico e meccanico e impiegare all’interno dei mattoni speciali in calcestruzzo che sono resistenti alle alte temperature e alle sollecitazioni meccaniche delle pietre. Quando l’accumulatore è carico, due terzi dell’energia sono qui immagazzinati sotto forma di calore, il terzo rimanente è trattenuto nell’aria compressa. Il processo di carica dura (così come il successivo processo di scarica) fino a 60 ore. La temperatura nella camera a pressione aumenta durante la carica dai 18 °C, che è la temperatura normalmente registrata nella roccia, a 21-23 °C.
L’impianto sperimentale, comprensivo di accumulatore termico, è dotato di una rete di circa 150 sensori di misura che durante gli esperimenti registrano temperatura, pressione e altri valori trasmessi fino alla sala controllo all’ingresso della galleria mediante un cavo in fibra ottica. Degli estensimetri superficiali registrano eventuali movimenti conseguenti alla reazione della roccia all’aumento della pressione. Inoltre, all’interno della camera a pressione sono installate 4 telecamere, usate normalmente nella ricerca sottomarina, che sopportano fino a 100 bar di pressione. I «tappi» che chiudono l’accumulatore alle due estremità vengono misurati con speciali sensori di movimento (tachimetri).
Con questo impianto sperimentale i ricercatori hanno ora dimostrato che un impianto adiabatico di immagazzinamento di energia con aria compressa, installato all’interno della roccia, potrebbe funzionare. Ma perché un impianto di questo tipo possa essere davvero usato per immagazzinare l’elettricità devono essere ancora superati alcuni ostacoli fondamentali: l’accumulatore dovrebbe essere ingrandito per aumentare la capacità di accumulo (attualmente di 1 MWh) a 100 MWh e oltre. Inoltre, nella camera a pressione devono essere integrati un compressore adiabatico (che trasforma l’energia elettrica in aria compressa durante il processo di carica) e la turbina ad aria compressa (che trasforma l’aria compressa in energia elettrica durante il processo di scarica). È evidente che le gallerie scavate nella roccia non sono ottimali per lo stoccaggio di aria compressa a scopi commerciali. Piuttosto, sarebbe opportuno scavare delle caverne di forma sferica, che sono fisicamente più adatte. Inoltre, è necessario raggiungere pressioni notevolmente più elevate dei 7 bar finora realizzati. 
Il progetto pilota e di dimostrazione condotto a Biasca con il sostegno dell’UFE ha prodotto risultati importanti. Sulla base di queste nuove conoscenze l’azienda ALACAES deciderà ora se affrontare la costruzione di un impianto adiabatico di immagazzinamento di energia con aria compressa. Francesco Bolgiani, presidente del Consiglio d’Amministrazione di ALACAES, si è così espresso a tale riguardo: «I colloqui con attori internazionali di eccellenza sono in fase avanzata per definire i passi successivi». I promotori calcolano i costi di stoccaggio con un accumulatore commerciale ad aria compressa in 150 EUR/kWh di capacità installata, nettamente inferiori a quelli di una batteria (1000 EUR/kWh).

Un impianto «adiabatico»
La sfida – Come generare aria compressa senza rilasciare calore
Il principio di funzionamento di un accumulatore ad aria compressa è estremamente semplice: l’energia elettrica che si desidera immagazzinare viene impiegata per il funzionamento di un compressore che genera aria compressa che viene racchiusa in un serbatoio in pressione. Quando si vuole scaricare l’accumulatore, l’aria compressa viene inviata a una turbina che aziona quindi un generatore elettrico. I calcoli dimostrano che con un accumulatore a pressione di forma sferica con diametro pari a 46 m è possibile immagazzinare 500 MWh di energia elettrica. Questa quantità di energia è sufficiente per coprire il fabbisogno di elettricità di una città delle dimensioni di Lugano per dodici ore. Un accumulatore di questo tipo avrebbe un tempo di carica/scarica di (almeno) 3-4 ore e un rendimento superiore al 70%.
Nella pratica, l’accumulatore ad aria compressa presenta ancora diverse problematiche: la compressione dell’aria (ad es. con una pompa per biciclette) genera calore. Ciò significa che l’elettricità per il funzionamento del compressore non viene trasformata solo in aria compressa ma anche in calore, e in misura addirittura del 60% circa. Per non disperdere inutilmente questa energia termica, all’interno della galleria NFTA viene installato un accumulatore termico che trattiene il calore prodotto in fase di compressione per poi restituirlo in fase di espansione (quando l’accumulatore viene scaricato) per generare energia elettrica.
Questo tipo di accumulatore ad aria compressa – per la precisione si dovrebbe parlare di CAES termico – non rilascia pertanto nessun calore al suo esterno durante la carica (compressione dell’aria) e non assorbe nessun calore dall’esterno durante la fase di scarica (decompressione). Questo modo di funzionamento è detto «adiabatico». Gli accumulatori ad aria compressa adiabatici promettono un rendimento fino al 75%. Il primo tentativo di costruzione di un accumulatore ad aria compressa di questo tipo, con una capacità di stoccaggio di 360 MWh, è stato effettuato dalla RWE, un fornitore di energia tedesco, all’interno di una miniera di salgemma dismessa a Staßfurt, nella Germania orientale. Il progetto è stato fermato nella primavera 2015 per mancanza di prospettive di mercato.
In tutto il mondo esistono attualmente due accumulatori ad aria compressa. Un impianto risale al 1978 e si trova a Huntorf (Bassa Sassonia) in Germania, il secondo impianto è del 1991 e si trova a McIntosh nello stato dell’Alabama negli USA. Ma nessuno dei due impianti funziona secondo il principio adiabatico in quanto in entrambi i casi, in fase di decompressione, l’aria viene riscaldata bruciando gas naturale. L’impiego di energie fossili per fornire calore abbassa il rendimento al 40% (Huntorf) e risp. 52% (McIntosh), inoltre vengono prodotte emissioni di CO2. 

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