Il fiume di Mury

Mury, classe 1947, nata a Montreux s
i forma in arti visive in Inghilterra, a Basilea e Berna.
Presenza e assenza, opacità e trasparenza, geometria e casualità: concetti apparentemente contrarie ne influenzano il lavoro. Il pensiero orientale, l’importanza dell’arte sacra e i frequenti viaggi in India contribuiscono alla sua ricerca.

Due questioni puntuali aiutano alla comprensione del suo lavoro. La prima concerne la sua espressione, che nel fruitore evoca delle memorie. Come ad esempio nella stratificazione di un muro che troviamo in una città come Parigi o in altri luoghi: emerge una materia che Mury osserva, reinterpreta e plasma su diversi supporti. Vi è una ricerca profonda sulla caducità, che si esprime in tale atto e nelle sue opere.

La seconda questione riguarda la scelta di un diverso punto di vista rispetto a quello di tradizione europea e il fatto di mostrare nei propri lavori solo una parte della figura, o della forma; decisione che già gli impressionisti – tra i più colpiti vi fu Degas – assunsero attraverso la diffusione delle stampe giapponesi. Ad esempio Utamaro, artista giapponese del XVIII secolo, non esitava a mostrare certe sue figure ritagliate, uscendo dal limite del supporto visivo. Lo stesso limite visivo che Mury supera, avvalendosi della libertà di dipingere sullo spessore del quadro.

In questo lavoro Mury si riferisce però alle Cento vedute celebri di Edo di un altro celebre artista giapponese del XIX secolo, Hiroshige; van Gogh ne ridisegnò due copie. Tutto ciò le suggerisce “uno spunto per guardare la città sotto angoli più paradossali: segno e snodo, la traccia che rimane nella memoria. Lasciando l’impulso del dipingere, senza agire mentalmente, adattarsi a tutte le trasformazioni: giardini, fiume e flânerie”.

Un segno evidente di trasformazione appare nei formati; non più quadrati e orizzontali, stabili come quelli dei precedenti lavori, ma verticali e instabili. Ciò attesta un cambiamento di direzione dell’artista dal punto di vista espressivo.

Le opere mantengono la numerazione cronologica di sempre, attestando il trascorrere del tempo, come lo scorrere di un fiume in continuo mutamento. “Il fiume, il suo elemento rappresenta la parte più naturale della città. Però anche ostacolo che scorre, trasporta e diventa pure luogo di divertimento. Paradossalmente separa e unisce”. Ben presente anche il tema della separazione: linee orizzontali che dividono spazio e forme, “dittici” da xilografie di Hiroshige trasfigurati, dove ripetizione e rievocazione prevalgono.

Se le cento vedute celebri di Edo erano per Hiroshige l’occasione di una ricerca sui luoghi più emblematici della sua città, Tokyo, e sulla nostalgia, Mury si concentra su Parigi e Meride.

Nella mostra troviamo quattro temi, Songes, Jardins, Flânerie e Reflets. Essi hanno una loro coerenza e prossimità. Escono da quel margine per entrare in un percorso di libertà che l’artista sempre si concede. In una dimensione onirica (Songes), una dimensione dell’abbandono (Flânerie), una dimensione dello spazio (Jardins), e non da ultimo nella dimensione illusoria dello specchio (Reflets), nel confronto con sé stessi. Mury manipola la materia e le immagini per indicarci una via di controtendenza; un percorso di rallentamento sia nella sua lettura del mondo che nella nostra visione dell’immagine, tra artificio e natura.    

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