«L’editoria “secondo Roberto Calasso” è, insomma, assai più un’arte che un’industria, una missione che un progetto, un divertimento che una professione: non so se tutto questo possa sul serio essere vero, ma sono certo che è molto, molto bello, e, quindi, conserviamolo intatto, teniamocelo il più vicino possibile, perché conforta e consola in tempi peraltro assai grami».
Tre cose chiamano subito a prendere in mano questo Editori vicini e lontani. La prima è materiale: il libro, come tutta la collana nella quale è inserito, ha un vestito molto tradizionale, nella grafica, nella scelta del carattere e dei corpi, nell’impaginazione, nella carta e nella confezione; tanto che viene venduto intonso, con le pagine dei sedicesimi non ancora tagliate, come si faceva una volta. La seconda cosa riguarda il nome della casa editrice, che si chiama «Italo Svevo» come lo scrittore triestino. La terza è che si tratta di una serie di ritratti di editori, scritta da un editore non secondario del panorama editoriale italiano come Cesare De Michelis, che è il presidente della casa editrice Marsilio, quella stessa Marsilio che era entrata nel gruppo RCS Mondadori ed era stata poi ricomprata, con gesto eroico, dalla stessa società di famiglia.
Per i motivi qui descritti, da un libro del genere ci si attendono anche una presa di posizione, un atteggiamento, quasi un impegno politico, e comunque un atteggiamento non neutrale di fronte alla funzione che la lettura ha in una società. All’idea di libro, ancora prima che alla sua materialità e quindi un po’ ancora al di qua delle polemiche su carta e digitale, questa posizione associa i valori storici di libertà, di partecipazione democratica, della vicenda non solo sociale ma anche culturale di un paese e del mondo.
I profili di editori sono circa una ventina, l’arco di tempo si estende dal napoletano Giuseppe Maria Galanti, che operò nella seconda metà del Settecento, a Gian Arturo Ferrari, che è stato direttore dei libri Mondadori ed è presidente del «Centro per il libro e la lettura» (gli si deve un libro, Libro, pubblicato in una collana dai titoli-parola dell’editore Bollati Boringhieri qualche anno fa); in mezzo i Salani, Bemporad, Bompiani, Mondadori, Bollati, Calasso, altri. A percorrere figure e situazioni per necessità storica molto differenti c’è la ricerca ostinata dell’identità dell’editore, che si fa più faticosa in questi anni delle concentrazioni feroci, della riproducibilità del prodotto su Internet e della conseguente liquidazione della proprietà sull’opera. Il libro è per sua essenza sia materiale che immateriale, è un oggetto ma è anche un’istituzione, un valore, «proprio come la vita dell’uomo ha un corpo e un’anima, né è immaginabile senza l’uno o l’altra». Così, la speranza per gli editori tradizionali piccoli o grandi è che possano resistere, del loro mestiere, i valori meno quantificabili e più simbolici, quelli che sorreggono l’idea diffusa di libro ancora prima che la sua industria.
Tra le originalità di questo Editori vicini e lontani c’è anche che sta, come quinta puntata, in una collana che si chiama «Piccola biblioteca di letteratura inutile»; collocazione che per un libro che dichiara e quasi impone il valore civile della letteratura suona un po’ snob. Le avanguardie di estimatori del valore-libro sono però come vedette: stanno lì, convinte di avere tra le mani uno strumento potentissimo ma di questi tempi decisamente sottovalutato e dileggiato. Hanno fiducia e lo considerano una specie di fiume carsico, temporaneamente sotto terra ma pronto a riemergere e a determinare i destini degli uomini e del mondo: starà forse perdendo materialità, dicono, certo si starà trasformando; ma la sua funzione socioculturale è ancora lì, intatta, a tracciare i nostri destini.
Bibliografia
Cesare De Michelis, Editori vicini e lontani, Trieste – Roma, Italo Svevo, 2017.