Interrail formato famiglia

by Claudia

Viaggiatori d’Occidente - Partire in carrozza verso mete europee in ricordo dei tempi in cui si pensava solo ad andare

C’è stato un tempo nel quale se avevi pochi soldi e tanta voglia di viaggiare l’Interrail rappresentava l’unica alternativa all’autostop. Il tappeto volante era un biglietto di seconda classe a prezzo fisso, introdotto nel 1972, che consentiva ai giovani di viaggiare per un mese senza limiti sui treni europei. Negli anni Ottanta io, l’Europa, l’ho vista così, dal finestrino del treno, quasi senza uscire dalle stazioni per l’impazienza di ripartire, felice solo di andare, mangiando scatolette e dormendo negli ostelli. Ho sempre pensato che quell’esperienza abbia unito noi giovani europei più della moneta unica, dell’Erasmus, della Champions League e dell’Eurovisione.
Poi sono venuti la famiglia, i figli, vacanze inevitabilmente più sedentarie. Sino a quando mi è sorta la strana idea di un «Interrail formato famiglia». 
«I miei figli hanno visto Roma, Venezia, Firenze, Vienna, Londra e tanti altri posti, ma Praga è la madre delle città, troppo diversa da tutto quello che conoscono»
Ho curiosato in rete scoprendo un sacco di novità. Con un Global Pass i Paesi visitabili ora sono trenta (invece di ventisei) e si posso scegliere diverse durate. Ma soprattutto ci sono tariffe molto vantaggiose per i bambini: dai quattro agli undici anni viaggiano gratis, dopo i dodici hanno una tariffa agevolata. E così il nostro Global Pass per viaggiare tutti e quattro liberamente per sette giorni, nell’arco di un mese di validità, è venuto via per una cifra abbordabilissima.
Pronti, via. Mia moglie e io, vecchi interrailer, morivamo dalla voglia di tornare a spasso per i binari d’Europa, con in più la curiosità di riscoprire il mondo con gli occhi dei nostri figli, di tredici e otto anni.
Un volo low cost ci ha portato in poche ore da Pescara a Copenaghen, dove è iniziato il viaggio vero e proprio: dapprima una settimana in giro per la Danimarca e poi, cammin facendo, Berlino, Praga, Linz e Innsbruck. Dopo i primi entusiasmi però siamo dovuti scendere a patti con la realtà. La prole non ha letto Paul Theroux ed è abituata a viaggiare facilmente per pochi euro, con Ryanair o Flixbus; pertanto il treno esercita un certo fascino su di loro solo se ad alta velocità e dotato di Wi-Fi. Da trent’anni non mettevo piede nelle grandi stazioni del nostro itinerario e ho sofferto un poco nel trovarle trasformate in «non luoghi», omologati seppur funzionali. I nativi digitali al contrario non hanno tradito alcuna emozione, rassicurati dalle insegne di Starbucks e McDonald’s. 
Muoversi nelle città è stato facilissimo. Molte offrono delle Card scontate – Berlin Welcome Card, City Pass di Copenhagen, ecc. – per utilizzare i mezzi pubblici. Ma soprattutto nessuna fila all’ufficio informazioni, nessun passante fermato in strada per elemosinare indicazioni, come ai miei tempi. Smartphone alla mano, i figli mi hanno sempre guidato, districandosi con disinvoltura nei meandri del trasporto pubblico di città mai viste prima. 
Anche i loro gusti alimentari sono ormai internazionali: il mio primogenito, nato e cresciuto in una cittadina delle Marche di cinquantamila abitanti, anziché mangiare danese o al limite italiano, con l’ausilio di Tripadvisor andava alla ricerca di un ristorante asiatico di catena dove gustare Chicken salma curry e Short rib ramen. La modernità è riuscita nell’impresa di sprovincializzare il provinciale… 
Lasciata Copenaghen, ho letto finalmente lo stupore nei loro occhi. Il Mar Baltico ha fatto il miracolo! Per fargli distogliere lo sguardo da telefonino e iPad c’è voluto lo Storebæltsforbindelsen, il «collegamento fisso del Grande Belt», imponente opera di ingegneria inaugurata nel 1998. L’Intercity diretto a Odense sull’isola di Fionia, dopo la cittadina di Halsskov, ha lasciato la Selandia e si è inabissato superando lo stretto del Grande Belt grazie al tunnel ferroviario sottomarino fino all’isola di Sprogø, dove è riemerso per continuare poi sul ponte sospeso. 
A Berlino, sotto la torre della televisione ad Alexander Platz, ho raccontato loro del Muro, di Berlino Est e di quella volta che attraversai il Checkpoint Charlie per ammirare la porta di Ishtar dell’antica Babilonia al Pergamonmuseum. Forse intimiditi anche dagli imponenti palazzi in stile gotico staliniano della Karl-Marx-Allee li ho visti vacillare appena un po’, per poi chiedermi incuriositi: «Ma chi è questo Karl Marx?». 
I miei figli hanno visto Roma, Venezia, Firenze, Vienna, Londra e tanti altri posti, ma Praga è «la madre delle città», troppo diversa da tutto quello che conoscono. Staré Město, Malá Strana, Nové Město e finalmente, sul tram della linea 22, alla fermata di I. P. Pavlova, ho letto nei loro occhi lo spaesamento. 
Nessuno stupore ha invece riservato loro l’attraversamento della Sassonia e poi l’ingresso in Boemia, con i binari che lungamente costeggiano la valle incantata del fiume Elba, con Dresda sullo sfondo: la raffinata delicatezza di un paesaggio fluviale non è roba da ragazzini. Quando però sul treno mi hanno sentito conversare con una cameriera ucraina grazie alle mie rudimentali nozioni di russo, apprese in gioventù, hanno capito che il mondo non sta tutto su Facebook, Instagram o YouTube. 
Tornati a casa, ho pensato questo. Noi provinciali avidi di conoscenza e di incontri partivamo sempre con la segreta speranza di non tornare più, perché la nostra città ci stava stretta. Poi era sufficiente che la mamma al telefono alzasse di un’ottava il tono della voce e facevamo immediatamente dietro front. Questi no. I nativi digitali si comportano da cittadini del mondo: ignorano chi era Honecker ma girano per Berlino come a casa loro, purché siano connessi. Casa è dove c’è il Wi-Fi…

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