I ragazzi della spiaggia di Lomé

È bella e invitante la spiaggia di Lomé, la capitale del Togo e capoluogo della regione Marittima. Una lunga striscia di sabbia gialla. Un mare dalle onde generose. File di palme sotto cui camminare o fermarsi a cercare l’ombra. Sul bagnasciuga grandi barconi, con a volte gruppi di uomini a ricucire gli strappi nelle reti della pesca precedente. La domenica mattina centinaia di persone a correre in gruppo, cadenzando il ritmo con canzoni o tamburi improvvisati. Nel pomeriggio, quando il caldo diventa meno soffocante, arrivano migliaia di famiglie. Chi a mangiare in gruppo, chi per guardare il mare fino al calar del sole, verso le 18. Pochi, pochissimi i bagnanti. La corrente è infida: innumerevoli le sue vittime che trascina al largo, lasciando poche vie di scampo. Questa, la spiaggia di Lomé di giorno. 
La notte invece diventa il territorio esclusivo dei ragazzi di strada e degli emarginati in genere. Centinaia di minorenni fuggiti da casa, a volte cacciati perché mancano i soldi per mantenere una famiglia diventata troppo numerosa. Ne incontriamo alcuni in un assolatissimo pomeriggio. Di solito a quest’ora sono in centro alla ricerca di qualche lavoro o a mendicare. Sono una decina, sdraiati sotto una palma. Oggi nessuno ha avuto bisogno di loro, ci dice Pità, che si presenta subito come il capo del gruppo. Era fuggito da casa dieci anni fa, terminato il primo anno di liceo. Suo padre gli aveva detto che non poteva più proseguire gli studi per mancanza di soldi. Allora aveva deciso di andarsene. Ma nella testa e nel cuore non ha cancellato il sogno di diventare medico. Snello, statura media, un accenno di baffetti e di barba che a difficoltà si riescono a distinguere sulla pelle scurissima. Addosso, una casacca e un paio di pantaloni di stoffa leggera con ampi disegni dalle tonalità che vanno dal verde al rosso scuro. In testa un berretto nero con visiera, ai piedi degli infradito di colore viola. È tutto quanto ha, ci dice con rassegnazione che però ha anche il sapore di sfida per stupirci. Non gli interessano i telefonini, avere vestiti di ricambio, poter dormire sotto un tetto. La spiaggia gli basta. Gli amici attorno annuiscono. A differenza di Pità parlano pochissimo, ma ascoltano con attenzione. Colpiscono i loro sguardi cupi, tristi. Tra di loro c’è però molta solidarietà. 
Si aiutano quando uno di loro è ammalato o non riesce a guadagnare i soldi per mangiare, spiega Boga con un filo di voce che sembra alleviare la sua imponente stazza. Anche lui vive in spiaggia da molti anni, non ricorda quanti. Se n’era andato da casa alla morte della madre. Ieri ha lavorato al mercato raccogliendo le scatole vuote dei verdurai per venderle per pochi spiccioli alle venditrici di pesci quando vanno ad acquistare il pesce dai barconi appena rientrati dal mare. Piccoli e miseri commerci che permettono però a molti di sopravvivere. 
Ragazzi visti comunque con reticenza dalla gente di Lomé. Nella cronaca non mancano racconti di furti. Il portamonete ai meno avveduti, turisti in particolare, tanto che si sconsiglia a tutti di frequentare la spiaggia dopo il calar della notte. Allora l’area diventa il regno quasi esclusivo dei senza casa. Bambini, anche di sei sette anni; ragazzi e adulti. Molti di questi ultimi con turbe mentali o dipendenti da alcol o stupefacenti. Yves, l’assistete sociale che si occupa dei più giovani, ci porta verso un’area dove pernottano delle ragazze. Il relitto di un barcone rovesciato, consumato dal tempo e dal mare, è il loro tetto per proteggerle dalle aggressioni, più che dalle rare piogge. Attorno, mucchi di vestiti e noci di cocco svuotate, probabili resti di misere cene. 
Moltissime ragazze vengono sfruttate sessualmente. Troppi adulti ne abusano, ma poi ci sono anche gli stessi ragazzi della spiaggia che a volte le aggrediscono. Yves racconta di neonati trovati sepolti nella sabbia con ancora il cordone ombelicale. Racconti che rendono la disperazione e il degrado della situazione. Nell’area sono attive alcune ong. Lo Stato invece è assente, ad eccezione di un servizio di sorveglianza contro furti e aggressioni rivolto ai cittadini che di giorno si recano sulla spiaggia. Ange è uno dei pochi centri di accoglienza in cui i ragazzi possono trovare un letto, dei pasti caldi e soprattutto figure professionali con cui iniziare a progettare un futuro. I posti però sono limitati, non più di trenta. 
Per i pochi operatori sociali che seguono i ragazzi sulla spiaggia, attenzione particolare viene anche prestata allo sfruttamento del lavoro minorile. Troppi, secondo Yves, i datori di lavoro che approfittano per proporre salari irrisori, oppure per far lavorare dei minorenni. Difficile comunque conoscere le situazioni di sfruttamento perché pur di poter guadagnare qualche soldo per mangiare i ragazzi denunciano molto raramente le situazioni di sfruttamento. «Un ragazzo di strada è potenzialmente pericoloso per la società. Salvare un ragazzo di strada vuol dire proteggere la comunità». Questa la filosofia di Yves. Trentacinque anni, una famiglia con tre figli. Ha studiato in Francia, ma ha scelto di tornare nel suo Paese. Il salario è molto basso, ci dice. Vive in un appartamento modestissimo, si sposta in motocicletta perché non può permettersi l’automobile, come invece avrebbe potuto fare se fosse rimasto in Europa. Ma è felice della sua scelta. E lo dice con un ampio sorriso che gli illumina il volto. 
Inevitabile riprendere l’argomento Europa con i ragazzi. Pità è lapidario: «Vivere la sofferenza in Europa vuol dire costruire la propria ricchezza in Africa». I compagni annuiscono. Gli chiedo di spiegarsi meglio. «Guadagnare in Europa anche svolgendo i compiti più umili, vuol dire poter vivere bene al momento in cui si torna in Africa». Lasciando la spiaggia incrociamo un gruppetto di giovanissimi. Parlano concitatamente in ewé, la più diffusa lingua del paese. Un ragazzino, traduce per noi Yves, con fare minaccioso dice a una ragazzina che questa sera andrà a cercarla là sotto il barcone. Non si capisce se lei si stia difendendo o lo stia provocando. Ambedue avranno sì e no dodici anni e da tempo vivono sulla spiaggia di Lomé. 

Related posts

L’anima rurale delle Alpi Albanesi

Hong Kong tra radici storiche e spinte globali

Balli, il primo ticinese a circumnavigare il globo