Cronache di mezza estate. Barcellona: davanti allo stadio Camp Nou un gruppo di giovani della sinistra radicale col volto coperto assalta uno dei numerosi bus turistici a due piani Hop on Hop off. Prima di far perdere le loro tracce, tagliano una gomma dell’autobus e con una bomboletta spray scrivono sul lunotto: «Il turismo uccide i quartieri». È un gesto estremo (e criticabile) ma radicato in un contesto di diffusa esasperazione. Già alla fine dello scorso gennaio, i residenti sulla Rambla, la principale strada del centro di Barcellona, avevano occupato la loro strada per protestare contro i troppi turisti. E in risposta a un sondaggio del municipio, gli abitanti hanno indicato nel turismo il problema più grave della città, davanti a disoccupazione e traffico.
Venezia: alle cinque del mattino un barcaiolo sorprende due turisti che dormono completamente nudi, abbracciati su un pontile vicino a un hotel di lusso. Sempre a Venezia, pochi giorni prima, giovani turisti belgi si erano tuffati nel Canal Grande dal Ponte di Calatrava, davanti alla stazione. I veneziani rispondono con un manifesto sul quale campeggia un maiale in mutande e la scritta: «Non siete benvenuti!».
Magaluf, Baleari: giovani turisti inglesi e tedeschi entrano in una spirale di degrado con ubriachezza, atti osceni, risse di strada. I locali protestano davanti ai ristoranti gremiti di turisti. Qualcuno scrive sul muro: «Turisti, i terroristi siete voi!».
Quando perfino la compassata Oxford rimprovera ai turisti di creare un «inferno in terra» è chiaro che la situazione rischia di sfuggire al controllo.
Che cosa è successo? Semplicemente questo: tutti i luoghi citati hanno superato la loro soglia di carico, la capacità di ospitare turisti in condizioni ragionevoli. Barcellona, con un milione e mezzo di abitanti, accoglie trenta milioni di turisti; erano ancora soltanto un paio di milioni all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. Si stima che Venezia possa ricevere una decina di milioni di turisti all’anno: oggi sono trenta milioni…
Non è solo una questione di quantità ma anche di qualità. Alcuni gruppi di turisti hanno un impatto maggiore di altri. Per esempio gli escursionisti, che oltretutto lasciano poche risorse sul territorio rispetto a chi si ferma più a lungo. E pochi turisti particolarmente trasgressivi possono rovinare la vita quotidiana di una destinazione: sono ben conosciute le feste di addio al celibato all’estero dei giovani inglesi.
Oltre un certo limite, il turismo si impadronisce dei luoghi. E se in un primo momento i turisti utilizzano i mezzi di trasporto e i negozi dei locali, con effetti anche positivi, poi i ruoli si invertono e i residenti sono costretti a usufruire dei servizi pensati per i turisti, per esempio mangiando in trattorie dove il menu, in mancanza di una lingua comune, mostra le foto delle portate. E se il residente ha bisogno di riparare le sue scarpe, ma il turista è disposto a pagare di più per un tramezzino, come pensate che finirà? La bottega da ciabattino chiude in favore di un fast food.
Al di là dei singoli episodi, il turismo sembra entrato in una nuova fase del suo sviluppo. È sempre più veloce, massiccio, invasivo, è un turismo al quadrato; si comincia a usare il termine iperturismo. Le nuove tecnologie, in particolare, hanno spinto il turismo verso una crescita senza freni. Piattaforme come Airbnb mettono in collegamento domanda e offerta con una facilità mai sperimentata prima. Al tempo stesso però questi intermediari non si fanno carico delle conseguenze delle loro azioni, quando il prezzo delle case sale e in interi quartieri i proprietari espellono i residenti in favore dei più redditizi affitti turistici.
Le compagnie low cost per parte loro hanno il merito di aver reso il viaggio più facile ed economico, ma proprio per questo la durata media del soggiorno si è accorciata. Alla tradizionale vacanza lunga si preferiscono numerosi city break di pochi giorni nelle principali città europee servite da Ryanair o easyJet. In questo modo però l’impatto ambientale dei nostri viaggi aumenta a dismisura. Non fatevi ingannare dall’apparente leggerezza del turismo: già ora la metà degli arrivi internazionali (parliamo di un miliardo e 235 milioni nel 2016) avviene in aereo e in un caso su due la motivazione è turistica.
Se società e ambiente soffrono, tutti i vantaggi di questa crescita impetuosa del turismo sono economici. Nel 2012 la Spagna riceveva 57 milioni di turisti stranieri, quest’anno supererà ampiamente quota ottanta milioni: vuol dire undici per cento del PIL, due milioni e mezzo di posti di lavoro in tempi di crisi. Difficile dire basta, anche quando si toccano con mano i limiti dello sviluppo. Ma se il turismo diventa soprattutto un consumo – anziché un’esperienza – non peggiora solo la qualità di vita dei residenti; ne soffrono anche l’interesse e la bellezza dei nostri viaggi.
I tecnici propongono diverse soluzioni per ridurre le conseguenze negative dell’iperturismo: estendere la stagionalità, incoraggiare il ritorno dei visitatori (perché eviteranno probabilmente le zone più famose, avendole già viste), valorizzare le produzioni locali ecc. Ma niente sembra così urgente quanto il recupero di un’arte del viaggio, una nuova capacità di vedere e trarre piacere dalla bellezza del mondo. Poco, piano, bene: è così che vogliamo viaggiare.