La bellezza di un giardino imperfetto

Un giardino imperfetto, ricco di imprevisti, dove ci sia spazio per una bellezza spontanea e lontana da quella imposta dai canoni pop: il punto di vista dell’architetto e giardiniere Paolo Pejrone – che con Un giardino semplice. Storie di felici accoglienze e armoniose convivenze (Einaudi, 189 pagg, 16 euro) ci regala un libro pieno di poesia e stupore – non è lontano da quello di altri giardinieri con i quali ci siamo confrontati in questa rubrica, come Pia Pera e Umberto Pasti. 
Aberrante gli orrori che un eccesso di controllo esercita sul tessuto naturale, questo scritto preferisce accordarsi sui ritmi delle stagioni. Si parte dalla primavera, che offre fiori timidi nella loro grazia, talvolta demodé, come i narcisi, gli iris, i mughetti, le viole, le primule (che non sono piante annuali, ma biannuali).  Non mancano, nei vari paragrafi che deliziano anche chi pur non avendo il pollice verde ama lo spettacolo della natura, annotazioni storiche: in questa parte del libro veniamo per esempio a sapere che le primule furono amate in particolare in Inghilterra, dove a metà Ottocento si esibivano come opere d’arte in appositi teatrini di legno rivestiti di velluto scuro per esaltarne il colore e la forma. 
Le «forme nuove e nevrotiche» di giardinaggio hanno ucciso una pianta gentile, i giacinti romani, indipendenti e non amanti di eccessive attenzioni da parte del giardiniere: sarà questo che li ha resi, oggi come oggi, una rarità? E non dimentichiamo le rose, le immancabili rose che tornano a  fiorire e a mostrarci il loro mistero: sul sito del vivaio di Anna Peyron, facilmente recuperabile con una ricerca su Google, si trovano innumerevoli specie, con tanto di spiegazioni storiche. 
Il giardino, nell’ottica di Pejrone, deve essere generoso e accogliente: ben vengano le mangiatoie e gli abbeveratoi per gli uccelli, che però non amano i giardini patinati e «tutti erba e diserbante» di cui siamo soliti circondare le nostre case per rispondere ai dettami di una moda globalizzata, che ci vuole tutti uguali e asettici da Nord a Sud, da Est a Ovest: se vogliamo che la nostra oasi verde sia frequentata da pettirosse e cince (che delizia), bisogna che il giardino sia un po’ sporco, che lasci crescere in qualche angolo ombroso foglie e rametti, e perché no, come consiglia Pejrone, anche un po’ di sano letame, preso magari da qualche alpeggio qui vicino. 
In primavera, se avremo voglia, potremo strappare dal generoso suolo che la Terra ci mette a disposizione profumi e odori per piatti deliziosi: borragine, tarassaco, soncino, dragoncello. L’estate si apre con i papaveri, che, quando inondano i campi, sono uno degli spettacoli più belli di sempre (non a caso la letteratura – ma anche la pubblicità – hanno saccheggiato a man bassa): non si trovano facilmente in giardino perché hanno una fioritura breve, eppure il sogno segreto di ogni giardiniere resta la Meconopsis, il papavero blu himalayano, che però per sopravvivere ha bisogno di fresco (in montagna forse si può tentare): arrivarono in Europa a inizio Novecento portati dal botanico inglese Kingdon-Ward che «in una ventosa giornata d’estate, tra sogno e realtà, li scambiò per uno sciame di farfalle azzurre». 
L’estate è il regno dell’orto: se si è lavorato bene, i frutti esploderanno deliziando il naso e il palato. Pomodori, melanzane, cocomeri, tutto cresce bene se evitiamo di ammassare le piante, ma al contrario le facciamo respirare. E poi, non accontentiamoci dei semi più gettonati, troviamone di rari, osiamo. Come ci spiega Pejrone, c’è chi nel suo orto coltiva più di seicento varietà di pomodori. 
I bulbi in tanti casi si piantano in autunno, una stagione che si apre sotto il segno del ciclamino: il consiglio vale anche per chi non ha un giardino, raccomanda l’autore, bastano dei vasi in terracotta. Via libera alla creatività: crochi, narcisi, fritillarie, tulipani. Si mette un bulbo sottoterra e dopo un po’ di mesi, vedremo che l’alchimia della natura ha fatto il suo corso. 
Fra i frutti da non perdere, ci sono la melagrana, con carattere, e la più dolce e remissiva nespola. Senza dimenticare le castagne, che possono regalare momenti magici. L’inverno è il capitolo – si capirà – più breve. Sembra che nulla fiorisca, eppure qualche rosa fa sempre capolinea. È tempo di riti propiziatori, poi tutto ricomincia. E, dopo aver letto questo libro, ci fa rabbia pensare che la ricchezza delle stagioni stia via via scemando. 

Related posts

Poliedrica, ma soprattutto salubre Sansevieria

La perfetta sfericità

L’eleganza rustica del salice contorto