Fra i libri

È il 1967 quando Charles De Gaulle dice per la seconda volta «non» all’ingresso del Regno Unito nella CEE (oggi UE). Alcuni europeisti approvano: credono che Londra voglia entrare nel mercato comune per minarlo dall’interno. Con Il golpe inglese l’Italia si aggiunge alla lista di quelli che credevano nella teoria cospirativa descrivendo un complotto britannico di lunga gestazione, che comincia due secoli fa e prosegue fino a oggi.
Già la nascita dell’Italia è in qualche modo il prodotto delle ambizioni di Londra. Dietro la decisione britannica di appoggiare il movimento violentemente rivoluzionario per l’unificazione italiana ci sono tre scopi. Nel 1854-1856, alla vigilia delle campagne per l’unificazione italiana, i francesi hanno cominciato a impegnarsi per scavare il canale di Suez. I lavori cominciano nel 1859. Londra intuisce le potenzialità di quella striscia d’acqua che consentirà di raggiungere in breve tempo i propri possedimenti in Oriente senza doppiare il capo di Buona Speranza. Capisce altresì l’importanza geografica dell’Italia, collocata nel bel mezzo del Mediterraneo, e quindi delle linee di comunicazione Nord-Sud e Est-Ovest. Se controllata con sapienza, in un futuro non lontano la penisola consentirà il dominio di una delle aree più strategiche del mondo. Quindi l’idea dell’unità italiana, che si realizza per lo più nel triennio 1859-1861, prende corpo soprattutto negli ambienti politico-diplomatici, militari e finanziari britannici.
Gli altri due motivi per appoggiare l’unità italiana sono la presenza economica degli inglesi «in Sicilia, con forti interessi nell’industria dello zolfo e nella produzione del vino. Ora però accarezzano progetti ben più ambiziosi, e non solo appoggiano senza riserve i disegni di Giuseppe Mazzini e di Camillo Benso di Cavour, ma creano addirittura le condizioni per lo sbarco dei Mille a Marsala, guidato dal massone Giuseppe Garibaldi, che da sempre mantiene assidue frequentazioni con l’Inghilterra».
Occorre formare in Italia «uno Stato robusto al punto da riuscire a contenere l’espansionismo nell’Europa meridionale e nel Mediterraneo dei nemici storici degli inglesi: Austria, Francia e Russia zarista. Ma non tanto da potersi sottrarre alla tutela del governo di Sua Maestà britannica, minacciandone gli interessi».
All’inizio del Novecento, quando l’era del carbone è al tramonto, appare una nuova risorsa energetica: il petrolio. L’«oro nero» diventa imprescindibile per lo sviluppo dell’industria, dei commerci e della macchina bellica. Tutti i conflitti finiscono così per scaricarsi nel Vicino Oriente, e la posizione geografica dell’Italia diventa, agli occhi degli interessi britannici, ancora più evidente. Occorre controllarne e indirizzarne la vita politica.
Gli autori spiegano in questo contesto tre omicidi eccellenti: quelli di Giacomo Matteotti (1924) di Enrico Mattei (1962) e di Aldo Moro (1978). Sono tre delitti legati al petrolio.
Quindi i divieti britannici condizioneranno l’Italia liberale, quella fascista (salvo la parentesi dell’Asse) e quella democratica, arrivando fino a oggi.
La conclusione del libro è: «Chiunque, nel ceto politico o industriale italiano, osi disubbidire alle regole segrete della dottrina Churchill, si chiami Enrico Mattei o Aldo Moro, è considerato dagli inglesi alla stregua di un nemico mortale».

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