Viaggiatori d’Occidente - Il viaggio al tempo del terrorismo
Addio, mondo crudele. In aprile uno studio sul comportamento turistico della popolazione, realizzato dall’istituto di ricerca bernese GfS su incarico del Touring Club Svizzero, diede indicazioni ben chiare. I viaggiatori intendevano trascorrere l’estate 2017 in patria o nei vicini Paesi europei: Germania, Austria, Italia, Francia, Spagna o Portogallo; di Turchia, Egitto o Emirati Arabi neanche parlarne. La principale motivazione di queste scelte (60 per cento degli intervistati) era la paura del terrorismo e la mancanza di sicurezza.
La realtà ha confermato queste previsioni e anche i risultati positivi del turismo ticinese in fondo ne sono la prova. I Paesi della sponda sud del Mediterraneo – la Tunisia, per esempio – sono stati completamente abbandonati dai turisti. Per due anni dopo la strage di Susa (dove trenta dei trentotto morti erano inglesi) il Foreign Office britannico ha mantenuto la Tunisia nella lista nera dei Paesi dei quali è sconsigliata la visita. Solo a inizio agosto le restrizioni sono state attenuate e grandi Tour Operator, come Thomas Cook, hanno annunciato il loro graduale ritorno per la prossima primavera. Queste indicazioni (warning) dei Ministeri degli esteri hanno effetti terribilmente concreti – il calo delle presenze inglesi in Tunisia è stato del 90 per cento – anche per ragioni di mancata copertura assicurativa in caso di incidenti.
Ma chi ha scelto comunque di andare ha trovato buoni servizi, pochissimi turisti, prezzi stracciati, condizioni di sicurezza aumentate dopo i precedenti attentati; dando così ragione anche a quei governi – Germania, Belgio e Francia – che non hanno adottato provvedimenti nei confronti della Tunisia (simile la linea del nostro Dipartimento federale degli affari esteri: «Il DFAE ritiene che non vi sia motivo per sconsigliare in generale i viaggi in zone a rischio attentati. Una tale misura sarebbe sproporzionata… e non farebbe che fomentare l’insicurezza e la paura»). Questo non significa naturalmente che si debbano prendere alla leggera tali avvertimenti, ma solo ricordare il loro carattere indicativo e quanto il terrorismo contemporaneo sia per sua natura poco prevedibile.
E tutti gli altri, i più, che hanno invece preso sul serio gli avvertimenti? Dopo l’attacco terroristico a Barcellona, una delle più popolari destinazioni in Europa, può sembrare sin troppo facile e quasi impietoso sottolineare l’errore di chi ha scelto la «sicurezza». Ma qui vogliamo fare un ragionamento più ampio, anche perché la questione rimarrà d’attualità per i prossimi anni: Rob Wainwright, capo di Europol, ha chiaramente spiegato che la minaccia di attacchi terroristici nei luoghi di vacanza non è mai stata così elevata negli ultimi decenni. Se un tempo i turisti erano lasciati fuori dagli scontri, oggi sono un bersaglio privilegiato. Filmati su YouTube suggeriscono come comportarsi in caso di attacco («Run, hide, tell»: scappa, nasconditi e solo quando sei al sicuro chiama la polizia).
Neppure restare a casa però può essere la soluzione, quantomeno per chi vive in una grande città. Infatti quella che per noi è «casa», per altri è una destinazione turistica. Inoltre come hanno sottolineato diversi studi (per esempio del politologo francese Olivier Roy) i terroristi sono spesso immigrati di seconda generazione, saldamente insediati in Occidente. Meglio allora controllare la paura e scegliere sulla base della ragione.
Per cominciare i terroristi applicano una strategia mediatica: non vogliono solo uccidere gli «infedeli», vogliono dare alle loro azioni la massima visibilità e quindi scelgono luoghi centrali, famosi, come appunto le rambla di Barcellona. E anche se molti turisti si sono spaventati per gli attacchi in Egitto o in Tunisia, ormai di qualche tempo fa, è bene ricordare che la geografia del terrore parla di New York e Londra, Bruxelles e Parigi, Berlino e Manchester, Madrid e Barcellona, Stoccolma e Turku…
Che fare? Evitare per qualche tempo i luoghi turistici più famosi (per esempio la Torre di Pisa o Piazza San Pietro a Roma) potrebbe bastare per ridurre di molto il rischio. Anche le concentrazioni di turisti possono costituire un bersaglio allettante, siano esse una grande nave da crociera, un villaggio vacanza o un gruppo particolarmente numeroso. Va anche detto peraltro che quasi sempre questi luoghi sono ben protetti, anche se a volte con discrezione, come nel caso delle navi da crociera; nel dubbio, prima di rinunciare, informatevi sulle misure di sicurezza adottate.
Di certo, anche in una situazione tanto difficile, io non rinuncerei a viaggi all’estero, anche in Paesi di cultura e religione islamica. In primo luogo gli abitanti di quei Paesi non sono nostri nemici, anzi sono spesso a loro volta vittime del terrorismo; abitate nelle loro case, frequentateli, stabilite un dialogo e saranno proprio loro a dirvi quali luoghi o persone evitare, se necessario.
C’è poi una seconda considerazione. Nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo, in mancanza di altre attività, l’importanza economica del turismo è maggiore. L’attuale interruzione dei flussi turistici vuol dire disoccupazione, povertà e quindi disperazione, aumento dell’emigrazione clandestina, rischio di influenze da parte degli estremisti… Nel medio periodo la paura di viaggiare potrebbe alimentare proprio quel terrorismo dal quale fuggiamo. Al contrario, l’esperienza diretta evita quelle rischiose amplificazioni e contrapposizioni alle quali è esposto chi conosce il mondo solo attraverso i media.
Anche in passato del resto non sono mancati momenti difficili, ma i viaggiatori hanno sempre scelto di non rinunciare alla bellezza del mondo. Così sia anche per noi.