Shinzo Abe: è tempo di pressioni

by Claudia

Giappone-Corea del Nord – I tentativi di dialogo con Pyongyang da parte del sudcoreano Moon Jae-in stanno facendo infuriare Tokyo

Il Gran torneo autunnale di sumo, la lotta tradizionale giapponese, e poi le vicende sentimentali della famiglia imperiale, hanno distolto soltanto per qualche giorno l’attenzione dei media giapponesi dalla minaccia nordcoreana. Del resto, negli ultimi mesi, la retorica del leader Kim Jong-un si è concentrata spesso sul «nemico» giapponese, colpevole di ospitare le basi militari americane e di appoggiare le politiche considerate «aggressive» della Casa Bianca. Ma anche nei fatti, l’arcipelago del Sol Levante è quello che attualmente sta subendo da parte di Pyongyang azioni sempre più provocatorie. Due missili balistici a medio raggio lanciati nel giro di un mese hanno sorvolato il territorio giapponese, nello specifico l’isola di Hokkaido, quella più a nord. Tokyo non ha potuto far altro che non reagire: cercare di rispondere intercettando e magari abbattendo un missile nordcoreano sarebbe troppo rischioso. 
Il primo motivo riguarda la geografia: i missili nordcoreani, finora, sono stati testati usando una traiettoria diretta verso l’alto, come si fa usualmente anche negli altri paesi per i test missilistici. Ma le ultime due volte non è andata così: Pyongyang aveva già da tempo minacciato dei «test operativi» da condurre contro l’isola americana di Guam, e così ha fatto, lanciando i missili in traiettoria standard. Geograficamente però la Corea del nord è circondata dai vicini, e nel punto in cui i due missili sono stati «costretti» a sorvolare il territorio nipponico erano comunque troppo alti per essere intercettati dai sistemi antimissile americani e giapponesi. Non solo: i missili hanno sorvolato il Giappone a un’altezza tale – oltre i cinquecento chilometri – che nel diritto internazionale viene considerata uno spazio libero dalla territorialità.
È questo il ginepraio di azioni, risposte e conseguenze in cui si muove attualmente il governo giapponese di Shinzo Abe, accusato di fare troppo poco da un lato, e dall’altro di essere troppo vicino a Donald Trump per essere credibile e riuscire a prendere in mano la leadership asiatica. Questa è la peggiore crisi nordcoreana dai tempi del bombardamento dell’isola sudcoreana di Yeonpyeong, nel 2010. Eppure, mentre il presidente americano minacciava la Corea del nord di rispondere alle provocazioni con «il fuoco e la furia», il leader nordcoreano Kim Jong-un rispondeva con un test atomico di una potenza nemmeno lontanamente pronosticabile, e con missili balistici capaci di arrivare alle basi militari statunitensi nel Pacifico.
La paura non fa parte del Dna dei giapponesi. Un Paese che è riuscito a trovare un modo per convivere con le peggiori catastrofi naturali non ha paura della geopolitica. Ma questa volta c’è qualcosa di diverso. Al nord, nell’isola di Hokkaido, dove il Giappone dista poche miglia di traghetto dalla Russia, sono già due volte che i giapponesi si svegliano con l’allarme antimissile. Negli anni – e soprattutto dopo la tragedia del terremoto e dello tsunami dell’11 marzo del 2011 – Tokyo ha sviluppato un sistema di allarme per i suoi cittadini che ogni anno salva centinaia di vite. Si tratta di altoparlanti diffusi nelle aree più a rischio, e poi di un sistema satellitare che funziona con un’applicazione sul telefono, che avverte qualche secondo prima dell’arrivo di un terremoto considerato «pericoloso» (gli standard non sono quelli occidentali), ma anche in caso di eventi metereologici, vulcani attivi, eccetera. 
In caso di allarme, a seconda della calamità, ogni abitante giapponese sa che cosa fare: niente panico, raggiungere le uscite d’emergenza, aspettare nei centri di raccolta. Nonostante qualche esercitazione in caso di attacco missilistico fatta nei mesi scorsi, in Hokkaido i residenti restano scettici. «La verità è che non sappiamo dove andare, abbiamo troppo poco tempo tra l’allarme e l’eventuale impatto», diceva qualche giorno fa all’«Asahi shimbun» un pescatore di Otaru. Non esistono rifugi antimissile, non siamo più nel Dopoguerra, e soprattutto non esistono rifugi antiatomici. «Le autorità chiedono di rifugiarci negli edifici, ma quali edifici sono davvero sicuri?». Il ministro della Difesa del governo Abe, Itsunori Onodera, in passato aveva più volte ventilato l’ipotesi di fermare i missili nordcoreani prima che sorvolino il territorio giapponese. Da qualche giorno ormai anche i falchi sono tornati su posizioni meno belligeranti: i lanci missilistici nordcoreani non «rappresentano» una minaccia effettiva per il territorio giapponese, e quindi siamo costretti a guardarli passare, senza poter fare nulla.
A porre una minaccia più concreta sono piuttosto i test missilistici che da qualche mese Pyongyang lancia verso le acque territoriali giapponesi. Dal maggio al luglio di quest’anno almeno sette missili norcoreani sono caduti nella cosiddetta zona economica esclusiva giapponese, quella porzione di oceano dove possono pescare soltanto le imbarcazioni autorizzate da Tokyo. Secondo lo «Yominuri shinbun», tra le compagnie che operano sulla costa occidentale giapponese, quella che si affaccia sul Mar del Giappone e quindi più vicina alla Corea del nord, sono più che raddoppiate le assicurazioni speciali per «guerra e altre emergenze». Si tratta di contratti che coprono i danni causati dalla guerra e da attacchi generici, così come l’eventuale cattura, il rapimento o la morte di qualcuno dell’equipaggio. Secondo l’inchiesta del quotidiano nipponico, se alla fine del 2016 erano 250 i pescherecci coperti da questo tipo di assicurazione, alla fine di luglio erano diventati 742. Gran parte di loro opera anche nella zona di Okinawa, l’area delle isole Senkaku, quelle militarizzate dal Giappone perché contese con la Cina. L’area di Yamatotai, al centro del Mar del Giappone, è poi sottoposta a frequenti incursioni di piccoli pescherecci nordcoreani: la guardia costiera giapponese avrebbe respinto più di ottocento imbarcazioni nordcoreane in acque internazionali e quindi fuori dalla propria zona economica esclusiva.
Dal punto di vista politico, questa crisi ha contribuito a far risalire l’indice di grandimento e popolarità del primo ministro Shinzo Abe, che sta preparando la campagna elettorale dopo aver deciso di sciogliere la Camera bassa per calcolo politico e pura strategia. Sin dal suo primo mandato nel 2007, il suo obiettivo politico a lungo termine è la famigerata riforma costituzionale, ovvero la modifica dell’articolo 9 della Costituzione nipponica che dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi impedisce a Tokyo di avere un esercito regolare. Se in un primo momento la revisione della natura pacifista della Carta aveva trovato forti opposizioni, le continue minacce nordcoreane stanno facendo risvegliare nei giapponesi la voglia di sicurezza e Difesa. Ma c’è anche la crisi della leadership mondiale americana: Washington è obbligata dal Trattato a difendere Tokyo, ma qui dove la politica è una fine arte retorica le sparate del presidente Donald Trump – il cui linguaggio è sempre più vicino a quello del leader Kim Jong-un – vengono comprese con difficoltà.
Il Giappone vuole tornare a guidare da solo l’Allenaza del Pacifico. È anche per questo che i tentativi di dialogo con Pyongyang del presidente sudcoreano Moon Jae-in sono criticati dal governo nipponico, che invece invoca pressioni su Pyongyang. Ed è anche per questo che durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite sia Trump sia Abe hanno parlato dei rapiti giapponesi. La questione è una ferita ancora aperta per i giapponesi: tra gli anni Settanta e Ottanta decine di persone furono portate via da agenti nordcoreani, strappate alle loro famiglie, senza che nessuno abbia più saputo nulla di loro. Shinzo Abe indossa sempre una spilla blu sul bavero della giacca, che rappresenta proprio le vittime dei rapimenti da parte di Pyongyang.