«Catalogna al voto»

by Claudia

Psoe – Intervista a Esther Niubò, portavoce dei socialisti catalani, che difende «la normalità costituzionale in Catalogna». E spiega la rissa interna al suo partito

«Se il governatore Puigdemont rimane in questa irresponsabile ambiguità, se continua a chiedere dialogo a parole ma poi lo nega nei fatti perché vuole un confronto solo a patto che si accetti a priori una illegale secessione, noi socialisti daremo tutto il nostro appoggio al ritorno della normalità costituzionale in Catalogna. Siamo l’unico posto al mondo in cui i cittadini non sanno quale è la legalità vigente, in cui non hanno il diritto di sapere se vivono in un governo che ha dichiarato la secessione dallo Stato oppure no. Vi pare normale?». Lo dice ad «Azione» Esther Niubò, portavoce dei socialisti catalani, membro politico fondamentale del Psc al parlamento di Barcellona.
Signora Niubò, quindi voi appoggerete l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione compreso l’invio della Guardia civil in strada e la convocazione di elezioni indette da Madrid? E lascerete carta bianca al premier Rajoy?
Occhio, questo non significa che non prendiamo parte alle decisioni. Non diamo luce verde a scatola chiusa a qualsiasi mossa. Siamo una forza responsabile e costituzionalista. Abbiamo il dovere di impedire a Puigdemont di lasciare la Spagna, di portarci fuori dall’Europa, di decidere il destino dei catalani con un metodo anti democratico e follemente opportunista.
Quindi state con Rajoy se decide di avocare al governo centrale il potere di indire elezioni a Barcellona, cosa che non è mai avvenuta nella storia di Spagna e che può portare rivolte e una maggiore radicalizzazione del conflitto?
È nelle mani di Puigdemont evitarlo. È lui che vuole l’applicazione del 155 se non chiarisce. Noi non cadiamo nella trappola che ci tende di far finta che lui è costretto dalla rigidità di Madrid a staccare la Catalogna dalla Spagna. L’ha deciso lui, lo vuole lui. Sapete cosa penso davvero io di Rajoy? Es lo que hay, è quello che c’è. Bisogna tenercelo fino alle elezioni. Reggere il suo peso. E poi sconfiggerlo nelle urne. È irresponsabile dichiarare l’indipendenza. Non è legale tra l’altro, non vale nulla. Maggiore autonomia si chiede e si ottiene in uno spazio politico legittimo e costituzionale. Siamo d’accordo con Rajoy per una riforma costituzionale concordata, da discutere tutti insieme in Parlamento, che è l’unica maniera per parlare di rapporto con lo Stato centrale senza fare demagogia irresponsabile. Sul concedere quello spazio Rajoy ha già ceduto, la Commissione per la riforma costituzionale c’è. È lì il luogo della battaglia. Combattere altrove è da irresponsabili.
E come vi comportate con gli arresti dei leader indipendentisti? Li appoggiate? Così non vi pare di costruire dei martiri politici, di alimentare l’indipendentismo più duro, di regalare a Puigdemont la possibilità di vantare dei detenuti politici dalla sua parte?
Arrestare i leader dell’Associazione nazionale catalana e di Omnium è stata una mossa pessima. Non aiuta certo il confronto. Ma, soprattutto è da idioti perché le questioni politiche si risolvono con la politica non con i provvedimenti giudiziari. Io sono totalmente contraria.

Deteminata a non farsi politicamente schiacciare nella morsa in cui i socialisti sono finiti, la deputata catalana Esther Niubò spiega che l’offensiva del partito socialista catalano contro i nazionalisti indipendentisti affinché nel parlamento di Barcellona non ci fosse la dichiarazione unilaterale di indipendenza annunciata dal presidente catalano Carles Puigdemont, ha disinnescato la bomba che avrebbe fatto esplodere il conflitto con il governo centrale portandolo verso un punto di non ritorno. Ma non promette di durare per sempre.
I socialisti catalani continuano a opporsi all’appiattimento sul governo di Madrid (in mano al Partito popolare e che il Psoe, il partito socialista di Pedro Sanchez, sostiene dall’esterno) della leader socialista andalusa anti-Sanchez Susana Diaz, presidente dell’Andalusia e segretaria regionale del partito socialista. Stanno con il quarantacinquenne segretario generale del Psoe, che nel 2016 si illuse di saper formare un governo ma poi fallì malamente l’incarico.
La rissa interna al Psoe non è una qualsiasi bega interna di partito. Il Psoe è il pezzo fondamentale di qualsiasi alleanza di governo alternativa a quella al potere oggi in Spagna. E siccome il tentativo ambizioso del partito di sinistra Podemos e delle sue costole che popolano di bandiere stellate le strade di Barcellona di stringere un patto trasversale con indipendentisti vari, compresi i baschi, per disarcionare l’inossidabile Mariano Rajoy non può fare a meno dei socialisti, e poiché anche l’attuale governo centrale non può fare a meno dei socialisti perché è governo di minoranza, l’esito della guerra tra la Diaz e Sanchez interessa non solo il Psoe, ma il futuro della Spagna e la Ue.
Rajoy è già ai ferri corti con i suoi alleati che sostengono il governo a destra, la ex società civile prestata alla politica di Ciudadanos, quelli che tentarono riuscendoci non benissimo di far man bassa di voti alle elezioni politiche presentandosi come i Podemos di destra. Già Rajoy ha dovuto ribadire all’inizio della crisi catalana al loro leader Alberto Ramos, venuto a esigere l’applicazione immediata dell’articolo 155 della Costituzione che consente di intervenire in Catalogna indicendo d’imperio nuove elezioni nella speranza di procurarsi così una nuova dirigenza regionale con cui trattare, che Madrid non farà scattare il 155 perché non c’erano allora i presupposti per farlo legalmente. Non ha certo voglia Rajoy di litigare di nuovo anche con i socialisti, indispensabili per tenere in piedi il suo governo.
Ma i socialisti si stanno scannando tra loro, fingendo di litigare internamente su quale tipo di sostegno dare a Rajoy. Pedro Sanchez lo esorta a muoversi, a trattare con gli indipendentisti. Mentre la Guardia civil interveniva il 1.ottobre, il giorno del voto, utilizzando i manganelli nei seggi, Sanchez ha taciuto a lungo per poi prendere timidamente posizione e chiedere la censura della vicepremier Saen de Santamaria, considerata la stratega dell’azione della polizia. La Diaz invece, la figlia dell’idraulico sivigliano che non ha perso la speranza di fare le scarpe al fotogenico economista madrileño che ha soffiato la segreteria a lei, governatrice di una regione in cui risiede un quarto degli iscritti al partito socialista, difende le cariche, non ne invoca apertamente di nuove e più dure ma lascia intendere che le approverebbe e vuole blindare la posizione di intransigenza della vicepremier verso gli indipendentisti. Sono d’accordo con lei i grandi vecchi del partito che hanno diffuso una carta aperta in difesa di un unionismo meno ambiguo titolandola pericolosamente «Querido Pedro…».
Signora Esther Niubò, che cosa ne pensano i suoi di tutto questo? 
I firmatari della lettera sono la vecchia guardia socialista ormai tramontata, pensionati che fanno la voce grossa. È gente che non ha più responsabilità politiche, non ricopre più incarichi importanti, di fatto non rappresentano nessuno, ma approfittano dell’influenza che hanno sull’opinione pubblica per mettere in difficoltà Pedro Sanchez. Non va bene perché quella che è in corso è una grave crisi di Stato.
Lei ha affermato che nei confronti di Sanchez i socialisti hanno una relazione autonoma. Potreste quindi non difendere l’uso della forza anche se legittima se Madrid decide di intervenire?
Non ha senso scaricare Rajoy prima del tempo, bisogna caricarcelo fino alle elezioni per poi sapere se c’è una nuova maggioranza per fare un altro governo.