I ministri delle finanze dell’Unione Europea hanno emanato una nuova lista di paesi che vengono considerati come oasi fiscali. Questa nuova lista concerne 17 paesi che sono definiti «non cooperativi» in materia fiscale. Altri 47 Stati – fra cui anche la Svizzera – hanno garantito di proporre una soluzione, su alcuni punti ancora controversi, entro termini ragionevoli.
Per la Svizzera si tratta di sopprimere i privilegi fiscali di cui alcune società (Holding e simili) godono in alcuni cantoni. La promessa di Berna è quella di portare in porto la riforma della tassazione delle imprese, che è già stata respinta una volta in votazione popolare. Il termine previsto per l’entrata in vigore della nuova legge è quello per i 47 paesi interessati e cioè il 2018 (rispettivamente il 2019 per i paesi in via di sviluppo).
Per il momento l’UE non ha inserito questi paesi in una vera e propria «lista grigia», come è subito stata definita, ma piuttosto «in attesa» di una serie di impegni, che variano da paese a paese. Con la Svizzera figurano ad esempio paesi come l’Isola di Man, il Liechtenstein e la Turchia, che presentano problemi ben diversi. Ma se alle promesse fatte nella procedura per l’allestimento della lista non seguono fatti concreti, c’è il rischio di cadere immediatamente nella «lista nera». Rispettivamente gli Stati compresi nella «lista nera» possono uscirne adottando i provvedimenti chiesti dall’UE. Questa lista sarà comunque seguita costantemente e attualizzata in base ai provvedimenti adottati dai singoli paesi.
Per la Svizzera, che da tempo si considerava sicura di non entrare più in una lista UE, questo significa che la lista d’attesa nasconde sempre il rischio di cadere in una lista di Stati non cooperativi in materia fiscale. Paradossalmente è stato proprio il Liechtenstein a chiedere l’applicazione della parità di trattamento e inguaiare la Svizzera. Nel 2014, la Svizzera aveva promesso di sopprimere i regimi fiscali che non rispettano gli standard internazionali, ma anche l’UE sa che il processo democratico in Svizzera può essere molto lungo.
Ci si può quindi chiedere a che punto siamo in Svizzera con la riforma della tassazione delle imprese: subito dopo il voto popolare negativo del 12 febbraio, il responsabile delle finanze Ueli Maurer aveva incaricato un gruppo di esperti di studiare la possibilità di correggere i punti più controversi del progetto. Due sono i punti principali che dovrebbero evitare un nuovo referendum da sinistra: la soppressione della deduzione degli interessi calcolatori sul capitale proprio dell’impresa da un lato e un aumento degli assegni familiari dall’altro.
Ma già subito dopo la presentazione delle correzioni è apparso chiaro che l’accordo su vasta scala non sarebbe stato possibile. Per la sinistra le correzioni non sono apparse sufficienti, mentre a destra si è parlato di un peggioramento della posizione concorrenziale; l’USAM ha parlato addirittura di un affronto alle piccole e medie imprese e al ceto medio artigianale elvetico. Le consultazioni sono terminate il 6 dicembre scorso, ma ancor prima di conoscerne i risultati si può prevedere che la ricerca di un punto d’accordo non sarà né facile, né breve.
Per la sinistra, il Consiglio federale starebbe ripetendo gli errori della riforma già respinta dal popolo. Per essa un aumento della tassazione dei dividendi all’80% nei cantoni e al 100% per la Confederazione è irrinunciabile. Inoltre chiede un aumento degli assegni familiari di almeno 50 franchi e aggiunge di essere stata troppo poco interpellata nella consultazione.
L’UDC giudica insufficiente la riforma e vorrebbe completarla. A seguito dell’annunciata diminuzione della tassazione sugli utili dei gruppi dal 35 al 20%, chiede in concreto una riduzione da 8,5 a 7,5 punti percentuali. Si lascerebbe così ai cantoni uno spazio sufficiente per adeguare la loro fiscalità. Anche i liberali-radicali chiedono alcuni adeguamenti, tenendo meglio in considerazione le differenze fiscali fra i cantoni, considerando le misure proposte facoltative e non obbligatorie, nella misura del possibile.
Il PPD ritiene che il nuovo progetto non sia ancora maturo per una discussione in Parlamento e propone di suddividerlo nelle sue componenti principali e di sottoporre al Parlamento solo quelle largamente accettate, poiché il tempo stringe. In particolare le regole per le società speciali, l’aumento della partecipazione cantonale all’imposta federale diretta al 21% e l’adeguamento della compensazione finanziaria.
I Verdi respingono tutto il nuovo progetto, perché senza compensazione delle perdite fiscali non è accettabile. Invece di abolire i privilegi, ne crea dei nuovi. Soprattutto si deve respingere la deduzione degli interessi dagli utili che alcuni cantoni stanno già introducendo.