Il Porto, oro liquido del Portogallo

«Ti senti come fuoco liquido nello stomaco… Ti brucia come la polvere da sparo infiammata, ha il profumo di spezie dell’India, scuro come l’inchiostro e la dolcezza dello zucchero del Brasile» Questa è una parte di lettera scritta nel 1754 dagli agenti inglesi dell’Associazione del Commercio del Porto, durante una loro visita lungo la valle del Duero.
Verso il 1620 i mercanti inglesi che dirigevano le spedizioni dello zucchero e che si erano stabiliti a Oporto, subirono un grande tracollo finanziario quando l’Inghilterra incominciò a importare lo zucchero a prezzi più bassi dalla Giamaica e dalle isole Barbados, colonie britanniche.
Disperatamente si ingegnarono a cercare un prodotto da esportare per salvaguardare i loro interessi. L’occasione arrivò nel 1667 quando scoppiò la guerra tra Francia e Inghilterra, che fece scattare una serie di dazi doganali e tariffe molto alte, da far cadere il commercio dei vini provenienti dalle zone del Bordeaux, molto amati dai nobili anglosassoni.
Il Portogallo viticolo del XVII secolo era diviso in due zone distinte: una comprendeva Lisbona e il sud del Paese, l’altra il nord con il distretto di Monçao e il centro di Viana do Castelo, da dove venivano vini simili agli odierni Vinhos verdes.
La recrudescenza della guerra del 1689 con la Francia e il conseguente aumento delle imposte doganali, fecero sì che le importazioni dei vini portoghesi aumentassero davvero. Gran parte di questo vino proveniva dall’isola atlantica di Madera e dall’Algarve, ed era un vino «pare» un po’ più resistente ai viaggi per mare.
Tra il 1670 e il 1680, alcuni intraprendenti mercanti inglesi si spinsero all’interno del Paese alla ricerca di vini più strutturati. Tra questi vi erano i figli di uno spedizioniere dello Yorkshire, mandati dal padre a far pratica di commercio di vini. Vuole la storia che i due arrivati nell’alta Valle del Duero, si fermassero in un monastero nei pressi di Lamego.
Bevuto del vino di Pinhão, offerto dall’Abate del convento, rimasero impressionati dalla morbidezza, dolcezza e struttura dello stesso, gli domandarono che cosa lo rendesse così diverso rispetto agli altri vini che avevano assaggiato durante il loro viaggio. L’Abate spiegò loro che era consuetudine in quel luogo introdurre dell’acquavite durante la fermentazione, per accentuare il corpo e dare più morbidezza al vino, i due inglesi rimasero talmente deliziati che comprarono l’intera riserva del pio luogo e la portarono in patria.
Fu comunque solo dopo il trattato di Methuen (1703) che sanciva l’entrata del Portogallo nella Santa Alleanza con l’Inghilterra contro Francia e Spagna, che il «Porto» iniziò la sua scalata grazie alle tasse agevolate applicate dagli inglesi.
Da documenti, siamo certi, che le prime tipologie di Porto introdotte in Gran Bretagna, non incontrarono di certo i favori degli aristocratici abituati ai vini di Bordeaux, ma essendo questi ultimi molto cari e introvabili restava l’amletico dubbio: «bere Porto o restare astemi»; lascio a voi la risposta.
Quando il trattato di Methuen stabilì per i vini portoghesi esportati in Inghilterra delle imposte di favore, a Porto erano già sorte molte aziende inglesi, ma anche tedesche, olandesi e francesi, benché fossero gli inglesi a monopolizzare il commercio, spesso abusando del proprio potere. Nel 1755 il Ministero del Commercio restrinse i privilegi di cui avevano goduto i mercanti britannici, confiscò molti loro beni e fece espellere dal Portogallo, dal Brasile e dalle Indie Occidentali, l’Ordine dei Gesuiti accusati di complicità con gli inglesi.
Istituì inoltre la Companhia General de Agricultura dos Vinhos de Alto Duero, investendola di quei poteri che gli inglesi si erano ormai abituati ad esercitare.
Nonostante le infuriate proteste inglesi, continuarono le riforme giuste, anche se impopolari, tra le quali il restringimento delle aree di produzione nella Valle del Duero ai migliori vigneti. Questo fece sì che la zona dell’Alto Duero diventasse la prima area vitivinicola geograficamente demarcata al mondo. Per delimitare questo territorio si piantarono lungo i suoi confini 201 termini di granito. Nel 1761 i termini diventarono 335. Queste colonne di pietra portano ancora il nome di «pombalinos» in onore al Marchese di Pombal, principale fautore delle riforme.
Proibì l’uso delle bacche di sambuco per dar colore ai vini e mise al bando l’uso dei concimi.
La produzione del vino di Porto non era ancora stata perfezionata, nonostante fossero passati 50 anni dall’incontro con l’Abate di Lamego, la pratica di correggere il Porto con il brandy, non era ancora chiara, come non erano chiari i tempi di correzione e le quantità del distillato.
Paradossalmente il vino dell’Abate era di qualità migliore, perché il distillato veniva aggiunto durante e non dopo la fermentazione, interrompendo così, o attenuando, il processo con una dolcezza naturale, che tanto aveva affascinato i due inglesi.
La Companhia, che aveva pure il potere di controllare tutte le esportazioni, in cambio riceveva l’equivalente in oro.
Il lungimirante marchese aveva fatto dividere i vini del Porto in due tipologie: il Ramo per l’uso interno e il Feitoria, per l’esportazione (da notare che esistono ben 48 varietà di uve impiegate per la produzione di questo vino, ciò che spiega anche perché ai giorni nostri le grandi variazioni di qualità e di carattere in una stessa tipologia).
Verso la fine del XVII secolo, i mercanti inglesi incominciarono a far maturare i vini a Vila Nova de Gaia alla foce del Duero. I vini erano portati a valle a bordo di rozze imbarcazioni chiamate: barcos rabelos che sfidavano scogli e rapide lungo circa 75 km di percorso, per maturare poi nelle grandi pipe da 550 litri.

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