Nuove forme di volontariato

by Claudia

Uno svizzero su quattro partecipa ad attività di lavoro non retribuite all’interno di associazioni e gruppi. Il numero però continua a calare. Uno studio del Gottlieb Duttweiler Institut spiega perché e mostra che, comunque, non c’è da preoccuparsi

Licia Aregg, 11 anni, Marc Angst, 42 anni, e Susanne Rickenmann, 72enne, hanno, nonostante la loro differenza anagrafica, una cosa in comune: fanno volontariato, anche se in forme e modi diversi e per diverse motivazioni. La giovane insegna a una anziana l’uso di un iPad; il responsabile di progetti Marc si impegna affinché una fonte di acque termali a Baden non finisca nella Limmat senza che qualcuno l’abbia potuta apprezzare; la pensionata Susanne accompagna a fare la spesa un conoscente avanti negli anni.
Secondo Jakub Samochowiec, ricercatore 39 enne che lavora per il Gottlieb Duttweiler Institut (GDI), sono «volontari di nuova generazione». Si tratta cioè di persone che non soltanto si accollano gratuitamente dei compiti benevoli, ma lo fanno portandovi le proprie idee. E ancora più importante: utilizzano tecnologie digitali per organizzarsi e dare uno sbocco al proprio impegno.
Un quarto della popolazione svizzera, secondo il «Freiwilligen-Monitor 2016», si impegna in progetti socialmente utili. Il numero però, negli ultimi anni, è andato calando. Ciò si deve al fatto che il classico lavoro di volontariato è stato svolto da donne, e in realtà non era proprio veramente volontario: «Era un modo per mantenersi inserite nella società e non perdere il contatto con la comunità. E in questo senso non era scelto liberamente» spiega Samochowiec.
Nonostante questa tendenza al ribasso, il ricercatore del GDI Institut vede il fenomeno con una connotazione positiva: «Il volontariato sta mutando e le nuove forme in cui si esprime sono difficilmente computabili dal punto di vista statistico». Cita come esempio l’esperienza del web 2.0, cioè le piattaforme digitali che utilizzano i contenuti degli utenti, come Wikipedia, Tripadvisor o Youtube. 
Nello studio, intitolato I nuovi volontari. Il futuro della partecipazione nella società civile, Samochowiec e i suoi colleghi spiegano quali chance offra la digitalizzazione al volontariato. Ora le persone possono interagire anche spontaneamente e temporaneamente collegandosi tra loro in rete. Una dinamica che rispetta pienamente lo spirito dei nostri tempi, in cui non si desiderano più legami a lungo termine ma si può decidere di impegnarsi volentieri per un progetto significativo.
Il ricercatore: «I nuovi volontari hanno nuove abitudini»
Jakub Samochowiec, nel suo studio parla di «nuovi volontari». Cosa intende?
Sono individui che non prestano semplicemente forza lavoro gratuita per svolgere i compiti loro assegnati. Sono più facilmente motivati dal potenziale che non dalle difficoltà. Organizzano per esempio un mercatino delle pulci di quartiere, dove non esiste la classica ripartizione dei ruoli tra chi presta e chi richiede aiuto. Di conseguenza sono necessarie parecchie persone, poiché una forte rete di contatti tra il vicinato ha molti effetti secondari positivi. I partecipanti vogliono soprattutto imparare qualcosa, partecipare alle decisioni e divertirsi.
Per questo parla di partecipazione anziché di attività di volontariato?
Esatto. La codecisione spesso non fa parte delle attività di volontariato classico. Dicono per esempio: porta questo cibo da una casa anziani all’altra. Nelle comunità di paese di una volta era chiaro che qualcuno lo avrebbe fatto, anche a causa della pressione sociale.
Queste attività spesso sono e rimangono di competenza delle donne.
Sì, il classico volontariato è declinato al femminile. E spesso l’impegno non era così volontario. Ma se una donna non voleva un suicidio sociale, doveva assumersi un qualche impegno, anche quando non ne aveva alcuna voglia.
E chi si occuperà in futuro delle persone anziane, indigenti o svantaggiate?
Le istituzioni che cercano volontari devono maggiormente riflettere su come motivare le persone. E dovrebbero porsi questa domanda: ma non è che stiamo cercando un automa? Se sì, non devono stupirsi se non trovano alcun volontario.
Gli automi per assistere gli anziani invece potrebbero diventare realtà.
La digitalizzazione non va guardata solo in bianco e nero. Si perde qualcosa, ma ci si guadagna anche. Un esempio: oggi le famiglie comunicano in un altro modo rispetto al passato, ma non necessariamente meno. Alcune hanno una chat di famiglia su Whatsapp e sono attive anche durante la giornata, quindi nel complesso hanno uno scambio maggiore.
Associazioni e organizzazioni, come possono motivare i volontari?
I volontari non andrebbero considerati come forza lavoro gratuita, bensì come partner alla pari. Chi fa volontariato deve avere la possibilità di partecipare al processo decisionale. Perché oggi ci si impegni ancora sono importanti il sentimento di appartenenza e il riconoscimento dell’utilità del proprio operato.
Nel reclutare volontari si ripongono grandi speranze negli strumenti digitali. Quali vantaggi vede?
Le possibilità offerte dalla digitalizzazione sono immense. Credo che molte persone sarebbero pronte a impegnarsi in un progetto, ma non sanno dove e come. In tal senso le piattaforme digitali sono l’ideale. Un buon esempio è «Benevol-Jobs», una borsa per le attività di volontariato. Analogamente alle piattaforme di lavoro, i progetti possono essere filtrati per tipo e località di impiego. Qui ognuno trova qualcosa. Altre piattaforme, come www.2324.ch o fuerenand.ch, funzionano come la piazza di un paese, semplicemente online. Le persone sole possono trovarsi grazie a Internet e collegarsi l’una all’altra, anche spontaneamente e per un tempo limitato. Il potenziale delle reti digitali di questo genere di attività è lungi dall’essere esaurito.
Ne risultano anche svantaggi?
Ce ne sono sempre. Più è facile pagare e maggiore è il pericolo che tutto giri attorno ai soldi. Un esempio: su Airbnb il trasferimento di soldi avviene con un clic. Prima non era così. Chi propone una camera sulla piattaforma, esita anche con amici a offrire un pernottamento gratuito. In futuro si potrebbe pensare di versare un importo minimo anche a chi tiene aperte le porte di casa propria. Ma in tal modo ci si insinua in attività che dipendono dalla volontà individuale.
Desidera vivere in un mondo come questo?
Dalla nostra prospettiva è difficile valutare. Se fossimo ancora raccoglitori e cacciatori e qualcuno ci raccontasse che in futuro dovremo segnalare il nostro luogo di residenza al comune e restare seduti per otto ore al giorno tra quattro mura e di fronte a una scatola, ce ne faremmo un’immagine spaventosa. Ma come raccoglitore e cacciatore non avrei modo di considerare i vantaggi che la vita moderna comporta.
Con lo studio la sua immagine dell’uomo è cambiata?
Sì, ho acquisito una visione più positiva della nostra società individualista. L’individualismo viene spesso equiparato all’egoismo. Abbiamo però appurato che nelle società individualiste le persone si impegnano maggiormente per gli amici, rispetto alle società la cui organizzazione ruota attorno al nucleo famigliare.
Come mai?
Il classico «noi» rispetto a «gli altri» in una società individualista si annulla. Per allontanarsi dal proprio clan bisogna credere che anche gli estranei si prendono cura di qualcun altro. Nel contesto dell’impegno, la fiducia è molto importante: le società dove le persone dimostrano maggiore fiducia sono anche più impegnate a favore del bene comune.

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