Occidente – Quando è iniziata e quando potrebbe ritirarsi? Difficile dirlo, ma l’origine è certamente stata l’elezione di Trump
Il mondo occidentale guarda atterrito l’onda populista, sulla cui cresta cavalcano partiti e movimenti autoritari e xenofobi apparentemente inaffondabili. Nessuno, con la notevole eccezione francese di Emmanuel Macron, sembra aver trovato la formula politica per anticipare il punto di rottura dell’onda e scalzare i populisti prima che i danni alle società libere e democratiche siano irreversibili. Eppure si sa che le onde prima montano, poi crescono e infine si infrangono: il problema è capire dove e quando. Al momento siamo ancora nella fase di crescita, come dimostra il recente caso italiano, con i partiti populisti usciti vittoriosi dalle elezioni del 4 marzo e, nonostante l’incapacità di formare un governo, pronti a fare il pieno di voti dopo l’estate.
Il voto italiano del 4 marzo 2018 è figlio della sconfitta del 4 dicembre 2017, quando i riformatori italiani provarono a cambiare la Costituzione e vennero respinti con grosse perdite. Entrambi i risultati sono arrivati sulla scia delle elezioni dell’8 novembre 2016, quando Donald Trump a sorpresa, a cominciare dalla sua, è stato eletto presidente degli Stati Uniti. Ecco, il trionfo di Trump è stato il momento esatto in cui si è capito che la grande alleanza tra sovranisti e xenofobi, alimentata dalla velocità di circolazione delle notizie via internet, comprese quelle fake, sarebbe uscita dal ruolo di ininfluente minoranza dei fuori di testa per diventare mainstream ed entrare nella stanza dei bottoni.
In quell’istante è cambiato il paradigma politico dell’Occidente, avvicinandosi a quello autoritario della Russia di Putin, della Turchia di Erdogan e della Cina di Xi Jinping.
Il primo segnale, in realtà, era arrivato qualche mese prima, il 23 giugno 2016, quando la Gran Bretagna aveva scelto sul filo di lana di abbandonare l’Unione europea (e ancora oggi, due anni dopo, non sa come riparare all’autogol). Avrebbero dovuto destare maggiore preoccupazione anche altri segnali, come le derive anti liberali dell’Ungheria e della Polonia, cioè di due paesi membri dell’Unione europea, e soprattutto l’invasione dell’Ucraina e l’annessione della Crimea da parte della Russia. E, in fondo, anche la rivolta islamista di questi anni, sia nel mondo musulmano sia in quello cristiano, è una variazione millenarista dello stesso fenomeno, solo aggravata delle secolari contraddizioni di una religione in guerra con se stessa da 14 secoli.
Il mondo occidentale, invece, si è girato dall’altra parte, stanco dei suoi stessi successi e obnubilato dalla dipendenza dai social network.
Il fronte della società aperta è riuscito a prevalere soltanto in Francia, con il formidabile azzardo fuori dai confini dei partiti tradizionali di Emmanuel Macron, ma anche facilitato dal fatto che i francesi hanno un sistema-paese serio, dispongono di una classe dirigente preparata e si sono trovati di fronte un vecchio partito fascista come il Front National di Marine Le Pen e non una nuova formazione, com’è capitato agli italiani o agli americani, che offre una proposta politica mai testata, da provare-e-poi-si-vede. Avere come avversario un partito para nazista come Alternative für Deutschland, anziché un Donald Trump o un Beppe Grillo o un Nigel Farage tedesco, ha favorito anche la tenuta di Angela Merkel e dei socialdemocratici in Germania, perché comunque il passato brucia ancora gli occhi degli elettori.
Il tema dell’irresistibile ascesa del populismo in Occidente è uno dei più affrontati dalla pubblicistica internazionale: molti saggi ci hanno spiegato, anche se quasi sempre ex post, i motivi e le ragioni della grande rivolta populista di questo inizio di XXI secolo, compresi gli errori commessi dalle famiglie politiche tradizionali e dai sistemi capitalisti. Un tema parallelo di indagine saggistica è stato quello dell’impatto delle nuove tecnologie nel processo di trasformazione sociale e politica: dall’automazione che cambia e, in alcuni casi, deprime il lavoro fino alla diffusione incontrollata delle notizie false (tra gli ultimi, i più interessanti sono entrambi inglesi: «The Digital Ape» di Nigel Shadbolt e Roger Hampson e «The People vs. Tech» di Jamie Bartlett).
Un po’ meno sviluppato è il tema della soluzione ovvero la risposta alla domanda «come ne usciremo?». Non si va molto oltre l’idea del reddito di cittadinanza che, però, più che una cura della malattia è benzina per il fuoco populista visto che consiste nel regalare soldi al popolo.
Soluzioni, insomma, non se ne vedono, forse perché non ce ne sono. Del resto non esistono, né posso esistere, strumenti tecnici per superare un delirio collettivo. Ma visto che siamo partiti dalle date in cui si è manifestata l’onda anomala del populismo, andrebbe fatto uno sforzo per individuare la prossima data, quella del momento di rottura dell’onda.
Il giorno che potrebbe riportare l’archetipo occidentale verso la società aperta potrebbe essere quello, ancora da stabilire, in cui il procuratore americano Robert Mueller chiuderà l’inchiesta sui rapporti tra il mondo Trump, presidente compreso, e la strategia di Vladimir Putin per creare caos nelle democrazie occidentali e influenzare l’opinione pubblica del mondo libero.
L’ingerenza russa è cosa nota e certa, in America come in Europa, per non parlare della Siria, ma se l’inchiesta Mueller riuscisse anche a provare che il Cremlino ha coltivato come asset alcuni personaggi che poi sono finiti nei posti di comando addirittura degli Stati Uniti d’America, magari potrebbe essere quello il momento in cui la riduzione dell’altezza del fondale costringe il muro d’acqua a infrangersi e, si spera, a far rientrare gli effetti dell’ondata populista.
Mueller, certo, potrebbe anche prosciogliere Trump, rendendo vano il tutto, ma le incriminazioni avanzate nei confronti di varie persone che giravano introno al presidente, compreso l’ex capo della campagna elettorale Paul Manafort, più quelle di una serie di intermediari, di avvocati e di consiglieri di politica estera, lasciano intendere che l’esito più probabile dell’inchiesta sia un altro, ovvero che l’ex direttore dell’FBI presenti le prove di collusion, di coordinamento tra il Cremlino e il mondo Trump, e poi lasci prendere le decisioni sulla colpevolezza o meno al Congresso. C’è anche la possibilità che Mueller chiuda l’indagine incriminando formalmente Trump, ma non ci sono precedenti al riguardo e, secondo gran parte della dottrina, la Costituzione americana impedisce di procedere penalmente contro Trump fintanto che è presidente. Questo giorno, in ogni caso, dovrebbe essere uno qualsiasi da qui a ottobre. Per non farsi trovare impreparati, il consiglio è di leggere in parallelo due dei saggi più intensi degli ultimi anni. Il primo, «The Road to Unfreedom», scritto dallo storico di Yale Timothy Snyder, spiega la sofisticata strategia illiberale di Vladimir Putin nei confronti dell’Occidente: quando il presidente russo ha capito che, per mancanza di risorse e incapacità di innovare, il suo paese non avrebbe potuto tenere il ritmo dell’Occidente, si è convinto di una cosa semplice e cioè che se la Russia non può diventare come l’Occidente, allora bisogna che l’Occidente si trasformi in una specie di Russia.
Il secondo libro è «The Russia Roulette» di Michael Isikoff e David Corn. Sembra una stagione di The Americans, la serie tv sulle spie russe integrate nella società americana degli anni Ottanta, ma di fatto è un’anticipazione dell’inchiesta di Mueller. I due libri andrebbero letti insieme, in attesa della rottura dell’onda.