Terremoto sociale

Il governo russo non poteva scegliere un momento migliore: l’aumento dell’età della pensione e dell’Iva è stato annunciato poche ore prima del calcio d’inizio del Mondiale in Russia, e il clamoroso risultato dell’esordio della nazionale russa – 5 a 0 contro l’Arabia Saudita – ha portato la notizia in fondo ai telegiornali. Il provvedimento veniva consigliato da molto tempo da economisti ed esperti, ma Vladimir Putin già anni fa promise che «non sarebbe mai accaduto fino a che rimarrò presidente», e in campagna elettorale per le elezioni di marzo, che gli hanno consegnato il quarto mandato al Cremlino, aveva evitato l’argomento. Un mese dopo l’insediamento del presidente, il premier russo Dmitry Medvedev invece ha presentato il brusco aumento – da 60 a 65 anni per i maschi e da 55 a 63 anni per le donne – come inevitabile: «Non c’è più tempo per le discussioni teoriche», ha dichiarato.
Il pacchetto leggi che rivoluziona il sistema pensionistico – l’età della pensione era rimasta immutata dai tempi di Stalin – verrà esaminato, e prevedibilmente votato, dalla Duma già a luglio. La riforma entrerà in vigore già dal 2019, quando nessuno andrà in pensione al compimento dei 55/60 anni: potranno ritirarsi l’anno dopo, e in seguito l’età della pensione aumenterà a scatti di un anno ogni due anni, per venire completata nel 2028 per gli uomini e nel 2034 per le donne. Gli attuali pensionati non ne verranno toccati, e per coloro che hanno svolto lavori usuranti, lavorato nel Nord o richiedono una pensione sociale per mancanza di anzianità lavorativa resteranno dei privilegi. Ma nonostante tutti gli ammortizzatori previsti si tratta di un terremoto sociale senza precedenti, anche perché arrivato senza preavviso, senza alcun dibattito se non tra gli esperti, senza aver preparato in alcun modo l’opinione pubblica. Che è assolutamente contraria: secondo i sondaggi, solo il 9% dei russi appoggia la riforma.
La rivoluzione delle pensione è stata resa necessaria dai conti dello Stato, e dalla demografia. Negli anni Trenta l’aspettativa di vita media dei russi era intorno ai 40 anni, oggi si aggira intorno ai 73 anni, 67,5 per gli uomini e 10 anni di più per le donne. Molto inferiore ai paesi sviluppati, ma in costante aumento rispetto anche a soli 10 anni fa: all’inizio del secolo era di 59 anni per i maschi e di 72 per le donne, in altre parole un buon numero di uomini non viveva abbastanza a lungo da andare in pensione. La struttura demografica della Russia segue trend occidentali, con un tasso delle nascite basso quanto quello italiano o tedesco. Il rapporto degli occupati rispetto ai pensionati si è ridotto dal 4,8 del 1959 al 2,16 del 2016, e nei prossimi anni il numero degli anziani da mantenere diventerà uguale a quello della popolazione che lavora. Il sistema è diventato insostenibile: il Fondo pensioni è in deficit da anni, e il suo budget viene regolarmente rabboccato dallo Stato, che però non ha più i ricchi mezzi dei tempi in cui il barile di greggio costava 110 dollari.
In questo modo lo Stato riduce drasticamente il numero dei pensionati a suo carico, e Medvedev sostiene che grazie a questo si potranno gradualmente aumentare le pensioni: il primo incremento, di mille rubli, circa 15 euro, dovrebbe arrivare subito. Attualmente la pensione media è di 14 mila rubli, circa 200 euro, in media un terzo del reddito lavorativo, e in molte zone e fasce sociali è spesso l’unica entrata garantita della famiglia. Nella crisi successiva al collasso del comunismo le nascite erano precipitate, e le nuove generazioni potrebbero non essere sufficienti a colmare comunque il mercato con sufficiente manodopera, ma nonostante questo le inserzioni con proposte di lavoro di norma escludono gli over 40 a favore dei più economici e dinamici giovani. Il rischio di creare una numerosa disoccupazione con conseguente povertà nella fascia 50-65 anni è alto. Inoltre, c’è il fattore umano: secondo le stime dei sindacati, il 40% dei maschi russi e il 20% delle donne non vivrà abbastanza a lungo per arrivare alla pensione.
Contemporaneamente, il governo ha annunciato l’aumento dell’Iva dal 18 al 20%, che andrà in parte a finanziare l’aumento delle pensioni e costerà, secondo le stime dell’esecutivo, almeno 4 mila rubli (circa 60 euro) a ogni russo. Tra le cause del prosciugamento dei mezzi dello Stato gli analisti indicano l’esaurimento dei fondi di riserva durante la recessione 2014-2017, l’incremento delle spese militari, le nuove voci di spesa pubblica promesse da Putin nella campagna elettorale e una gestione inefficiente delle ricchezze minerarie.
Un rapporto degli analisti di Sberbank CIB, una sussidiaria della maggiore banca di Stato, su Gazprom, il principale contribuente russo, sostiene che i tre mega gasdotti che vuole costruire – Potenza della Siberia verso la Cina, North Stream 2 verso il Nord Europa, e Turkish Stream verso la Turchia e i Balcani – non solo sono dettati da motivazioni politiche, in primo luogo bypassare l’Ucraina, ma sono economicamente insostenibili. Nel caso della Cina, il gasdotto conviene solo a un prezzo del barile superiore a 110 dollari, ma vincolando la Russia come fornitore a un unico consumatore probabilmente funzionerà in perdita. Nel caso dei due progetti europei, non si aprono mercati nuovi, e i costi rientrerebbero rispettivamente in 20 e 50 anni.
La capitalizzazione di Gazprom è scesa dai 360 miliardi di dollari del 2008 a soli 54 miliardi. Una gestione inefficiente, è il classico refrain degli analisti nei confronti del colosso del metano, il cuore del potere economico e politico di Mosca. Gli autori del rapporto di Sberbank però ribaltano il ragionamento: «Gazprom è invece ben gestita, dal punto di vista di chi lo controlla: non il governo (principale azionista), né tantomeno gli azionisti di minoranza che controllano quasi il 40%, ma i principali appaltatori della società». I nomi dei vincitori dei grandi appalti – dalle Olimpiadi al ponte per la Crimea e agli stadi dei Mondiali – in Russia sono quasi sempre gli stessi, gli oligarchi vicini al Cremlino. Gli analisti di Sberbank sono stati licenziati, e il potentissimo presidente della banca Gherman Gref ha dovuto scusarsi con Timchenko.
Ma intanto, finiti i gasdotti, per Gazprom è in arrivo un altro capitolo di spesa: il rinnovamento delle centinaia di chilometri di tubi dei condotti esistenti, che verrà affidato non ai fornitori storici, attualmente ridotti al 50% del loro potenziale produttivo, ma a un nuovo produttore di tubi, di proprietà, tra gli altri, del compagno di università di Putin, Nikolay Egorov. Se i prossimi sei anni saranno davvero l’ultimo mandato di Putin, prima di una transizione di potere tutta da inventare, saranno segnati non solo da riforme impopolari di cui non dovrà più pagare il prezzo in termini di sostegno, come l’aumento dell’età pensionistica, ma anche da una corsa dell’oligarcato vicino al presidente per accaparrarsi e ridistribuirsi la ricchezza rimasta.

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