Millennium bug

Che cosa fanno i giovani artisti? Soprattutto chi sono i giovani artisti? Qual è la loro identità? I giovani artisti italiani sono diversi da quelli svizzeri o francesi o indiani? Il Museo d’arte moderna di Bologna, da sempre attento alle ultime espressioni estetiche, dedica una mostra per interrogarsi, e interrogarci, su tali questioni. Il titolo è That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine. Dove IT è il codice europeo per identificare l’Italia e il sottotitolo richiama alcuni versi di Bruno Munari di Arte e confini del 1971 tratti da Codice ovvio: «In Italia l’arte ha da essere italiana / in Polonia polacca / in Turchia turca e se un turco va a dipingere in Polonia / che arte ha da fare? e se la Polonia occupa la Turchia? In Italia arte italiana e a un metro di distanza dal confine francese? / in Italia arte italiana / in Sicilia arte siciliana / in Piemonte piemontese / a Milano milanese / e in Corso Garibaldi 89? / in Italia l’arte ha da essere arte / in Polonia arte / l’etichetta verrà dopo». 
È vero, fino a qualche decennio fa si studiava la storia dell’arte come storia delle nazioni. C’erano l’arte greca, quella egizia, quella francese, quella indiana. Poi nei decenni scorsi la visione si è allargata e le frontiere si sono rarefatte. Gli artisti si spostavano, si mescolavano e i linguaggi procedevano per osmosi e contaminazioni. Ultimamente – in Europa, negli Stati Uniti e non solo – la tendenza è opposta. Si riscoprono i nazionalismi e le frontiere tendono ad essere ripristinate. Difficile prevedere cosa succederà. Michele D’Aurizio, caporedattore di «Flash Art», nel catalogo della mostra bolognese sostiene, riprendendo la teoria di Mario Tronti, che gli artisti sono estranei rispetto ai meccanismi sociali. Tronti riteneva che l’operaio fosse estraneo al proprio lavoro e che questa alienazione fosse la premessa per il rifiuto del lavoro e del capitalismo. Per D’Aurizio gli artisti hanno la stessa proiezione di estraneità, lo stesso rifiuto della realtà, e il programma di una nuova organizzazione risiede non nei contenuti ma nel linguaggio dell’opera. Perché «agli artisti è negato il solo ruolo che spetterebbe loro di diritto: quello di intellettuali pubblici». La funzione pubblica, e quindi politica, dell’artista non viene riconosciuta dai suoi interlocutori, i critici, i curatori, la società. 
Detto questo, Lorenzo Balbi, il curatore dell’esposizione – premesso che viviamo in una società fluida e in un mondo globalizzato – tenta di ridefinire i concetti di nazione e di confine. Gli artisti dell’esposizione sono stati scelti fra quelli che sono nati in Italia e che lavorano in Italia; che sono nati in Italia e che lavorano all’estero; che sono nati in Italia e che lavorano sia in Italia sia all’estero; che sono nati all’estero e che lavorano in Italia; che sono nati all’estero e che lavorano all’estero ma hanno studiato in Italia. Tutti sono nati dopo il 1980. La sua mostra, scrive in catalogo, è tutta raccolta nella prima sala dove vengono «illustrate al pubblico le biografie degli artisti, accompagnate da pubblicazioni, articoli e testi in consultazione». Ai 56 artisti coinvolti è stata data la possibilità – attraverso un dialogo comune – di scegliere l’opera da esporre o di crearne una nuova. Il risultato è frutto dell’intreccio fra arte del passato prossimo e l’utilizzazione dei nuovi media, che i giovani oggi hanno imparato ad usare come una volta si apprendeva il disegno. Un magma indistinto nel quale sono presenti installazioni, video, interventi sonori, fotografie, sculture, pitture, performance… 
Andrea Villani, direttore del Museo MADRE di Napoli, scrive che nella generazione nata dopo il 1980 «nel discrimine fra utopia e distopia, illusione e disillusione, lotta e compromesso, Autonomia ed Eterotopia, nessuna sicurezza o determinazione, forse, sono all’orizzonte, ma rimane l’esperienza… di un’incontrovertibile complessità e potenziale autonomia e di come (continuare a) raccontarla». 
Fra le diverse opere esposte ne segnaliamo alcune. 
A Celebration Day di Matilde Cassani del 2014. Cassani è interessata al pluralismo religioso e qui racconta ciò che accade a Novellara, un paese della Pianura Padana, durante la festa religiosa Sikh del Vaisakhi. Accorrono migliaia di fedeli che segnalano la complessa stratificazione delle comunità religiose in un paese tipicamente cattolico. A Celebration Day è una foto lenticolare della piazza principale del paese che, a seconda di dove la si guarda, è ora vuota ora piena di persone. 
Caterina Morigi presenta 1/1 del 2018. L’intenzione della Morigi è quella di focalizzare lo sguardo sul lavoro della tecnica di marmorizzazione, ovvero della riproduzione delle forme e delle trame del marmo. Il risultato è una grande lastra di ceramica sulla quale è stampato un arabesco statuario: un vero e proprio trompe-l’oeil fotografico. 
Michele Sibiloni presenta Fuck it del 2016. L’artista documenta le notti di Kampala in Uganda. Queste «avventure notturne» fotografate da vicino e dall’interno sono il resoconto del divertimento e dello sballo nei bar, nelle strade, nei club della città.
Diego Tonus realizza A Moment of Darkness del 2018. Si tratta di una scultura in cemento e alluminio raffigurante un falsario seduto e in grandezza naturale. Il ritratto anonimo cela una password per l’accesso a un Bitcoin crea- to insieme al contraffattore. 
Questi nuovi «Millennials», giovani nati dopo il 1980 in un periodo di depressione economica, sono sicuramente diversi dai cosiddetti «Boomers», quelli cresciuti prima di loro in una fase di sviluppo economico e di rifiuto dei valori tradizionali, e i lavori lo certificano. Anche se l’uso di internet e dei nuovi media non ha portato a una rivoluzione del linguaggio e del comportamento ma solo a una nuova modalità di interrogarsi sull’oggi e sul passato. 
Alla fine il risultato è quello di trovarsi davanti a lavori non particolarmente innovativi ma probabilmente interlocutòri. Curioso il catalogo, diviso in tre parti separate. La prima e l’ultima con testi istituzionali, interviste, appunti e considerazioni varie in italiano e in inglese. Nel mezzo un portfolio, stampato su pagine singole e divisibili, con i lavori degli artisti – e creato da loro con opere ad hoc – che può essere ricomposto a proprio piacimento.

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