Madrid fa i conti con il proprio passato

Vittime e carnefice assieme nello stesso luogo, per 43 lunghi anni. Troppi secondo il governo socialista. L’esecutivo di Pedro Sánchez ha così deciso l’esumazione del corpo del dittatore Francisco Franco dal mausoleo che ospita il feretro del caudillo assieme ai resti di 34’000 persone morte durante la Guerra civile o uccise dal regime franchista fino al 1975. «Non è più accettabile una tomba di Stato dove si continua a glorificare la figura di Franco», ha dichiarato la vicepremier Carmen Calvo per spiegare il decreto-legge che ha dato inizio al processo di allontanamento del dittatore dal «Valle de los caídos», la gigantesca struttura situata 50 km a nord di Madrid che è diventata nel tempo anche luogo di pellegrinaggio di neofascisti e nostalgici del franchismo.
La decisione, presa dal governo socialista nell’intento di portare a termine la cosiddetta «Legge sulla Memoria storica» approvata già dal premier Zapatero nel 2007 ma lasciata inapplicata da Rajoy per sette anni, riapre però le ferite di un Paese che per più di 40 anni ha preferito non affrontare il problema. Lo spettro delle «due Spagne», quella del bando nazionalista opposto a quello repubblicano, riaffiora fino ai giorni nostri nella vita quotidiana della società spagnola, ancora divisa da un’eredità storico-politica che risale indietro di 80 anni, e accende i dibattiti su radio, tv e social media iberici. D’altronde non potrebbe essere diversamente se ancora oggi ci si imbatte in monumenti e strade dedicate al Generalísimo in tutta la Spagna. La legge in vigore obbliga però a mettere fine a tutti i simboli della dittatura franchista dagli spazi pubblici e negli ultimi anni sono stati effettivamente cambiati i nomi ad alcune strade dedicate a Franco o abbattuti monumenti del dittatore. Tuttavia questo è avvenuto solo nei Comuni amministrati da giunte progressiste, generalmente composte da Partito socialista e Podemos, come nel caso di Madrid.
Le polemiche sorte dopo l’annuncio dell’esumazione del corpo di Franco, con le accuse mosse dall’opposizione di centro-destra a Sánchez risultano piuttosto pretestuose. Secondo il Partito popolare e Ciudadanos questo non sarebbe il momento più indicato per affrontare il tema, a fronte di problemi più urgenti del Paese quali la questione catalana o l’immigrazione. I liberali di Ciudadanos però si contraddicono in quanto un anno fa avevano votato un progetto di legge (in seguito affossato dal governo Rajoy) in senso contrario ad oggi, dichiarandosi favorevoli all’esumazione del dittatore. Questi fatti evidenziano le contraddizioni politiche e la fragilità della democrazia spagnola, più dichiarata che realmente compiuta. La Spagna non ha saputo fare i conti con il suo passato, preferendo credere che bastasse passare dalla dittatura alla democrazia (con un’amnistia generalizzata durante il breve periodo della Transizione del 1975-78) per entrare di diritto nel novero dei Paesi democratici.
In realtà non si è voluto affrontare questo tema fino ad oggi perché ritenuto troppo spinoso ma anche per la ferrea opposizione che ha sempre manifestato il Partito popolare, fondato sin dalle sue origini da un ex ministro franchista, e la cui cultura politica discende direttamente dal periodo del regime autoritario. Ne è un esempio anche il giovane neoeletto presidente del Pp Pablo Casado che, nel corso della sua carriera politica, si è distinto proprio per i durissimi attacchi alla Legge sulla Memoria storica con ripetute accuse a tutta la sinistra, descritta come formata da «un gruppo di vecchi sempre in preda all’ossessione delle fosse comuni». Sta di fatto che nel mausoleo dove giace Franco, eretto proprio per volontà dello stesso caudillo, si trova oggi la più grande fossa comune di tutta Europa. In essa vi sono i corpi degli oppositori repubblicani fucilati dalla dittatura, sepolti affianco ai morti del bando franchista e a pochi metri dal corpo di Franco.
Difficile quindi liberarsi facilmente di un corpo così ingombrante per il suo alto significato simbolico. Sánchez ci sta provando, cercando di portare la Spagna sulla via di una normalità giuridico-internazionale, come avvenuto in altri Paesi con un passato autoritario. Si pensi ad esempio alla Germania, dove le responsabilità del proprio passato sono state assunte attraverso un processo di riconoscimento ed elaborazione degli errori commessi, e le distanze con il regime nazista sono state prese in modo netto dai vari governi e regolamentate per legge. La situazione in Spagna era diventata politicamente insostenibile al punto che persino un rapporto dell’Onu già nel 2014 invitava il governo a mettere fine a questo anacronismo democratico, ma l’allora primo ministro Rajoy non fece nulla.
In vista dei festeggiamenti per i 40 anni dalla nascita della Costituzione spagnola previsti per il prossimo dicembre, il governo Sánchez ha pensato quindi di chiudere questa spinosa pagina della storia spagnola per cercare di dimostrare anche sul piano internazionale di essere tornati a una certa normalità democratica, in uno Stato sopraffatto dagli eventi della crisi catalana. D’altro canto va detto anche che Pedro Sánchez ha preso questa decisione non solo per il valore simbolico che rappresenta ma anche per ragioni di opportunità politica.
Il premier socialista sta infatti cercando di ricompattare i suoi alleati del governo di minoranza (Podemos, i nazionalisti baschi e catalani) in vista di un «autunno caldo», quando dovrà approvare la legge finanziaria e, soprattutto, dovrà affrontare una nuova grande ondata di manifestazioni degli indipendentisti catalani. Sánchez ha certamente teso la mano verso queste forze politiche perché ha bisogno del loro appoggio in Parlamento per convertire in legge il decreto, ma forse riuscirà una volta per tutte a portare fuori la Spagna dal pantano storico-politico in cui annaspa dai tempi della Transizione. Un passaggio necessario per un Paese che si voglia definire democratico e moderno a tutti gli effetti.

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