Il mondo moderno, come lo intendiamo noi, si è venuto a formare in queste tre date: 1450, 1492, 1648. Gutenberg, Colombo, Vestfalia. Sono tre eventi-chiave essenziali per capire gli sviluppi successivi, e anche per distinguere «quanto sia nuovo il nuovo»: se oggi la nostra Età del Caos è figlia di una rottura epocale rispetto alla modernità, o se si inserisce nella continuità e fa parte dei frequenti corsi e ricorsi della storia.
Per primo viene Gutenberg che con la sua tecnologia tipografica consente il salto nell’èra della stampa, dell’alfabetizzazione, della riproduzione dei libri; agevola quella Riforma protestante dalle enormi conseguenze politiche sull’Occidente; sia il Rinascimento che l’Illuminismo si nutrono di libri, che nel Medioevo erano delle rarità custodite nei monasteri. L’impatto della stampa sulla Riforma è talmente immediato che spesso Gutenberg e Martin Lutero vengono studiati insieme. L’impresa di Cristoforo Colombo è resa possibile anch’essa da Gutenberg, vista l’importanza dei libri di geografia stampati a quell’epoca.
A sua volta la cosiddetta «scoperta» dell’America ha diramazioni verso la globalizzazione biologica, l’unificazione dell’ecosfera, con conseguenze molto più vaste e sorprendenti di quanto si creda, per esempio nelle epidemie o nello stravolgimento delle nostre abitudini alimentari millenarie. Considerare il Rinascimento dal punto di vista dell’impatto di Gutenberg-Colombo, impone di ricordare che anche quella fu un’Età del Caos, con le stesse insicurezze che viviamo oggi, e una risposta simile: il populismo. Segue una lunga instabilità, le guerre tra i fondamentalismi religiosi (per lo più cristiani). Qualcuno accosta i populisti come Trump e Grillo a Frate Savonarola.
A quel Caos il Trattato di Vestfalia cerca di porre fine nel 1648. E la pace di Vestfalia – fragile – ci lascia in eredità un «formato», lo Stato-nazione come attore delle relazioni internazionali, dentro il quale torniamo a cercare protezione e rifugio nel nostro turbolento presente.
Quanto siamo ancora «figli» di quell’epoca, condizionati da quelle mappe della storia? E quanto invece abbiamo vissuto una rottura, l’ingresso in un’èra nuova, che ci trasporta verso orizzonti sconosciuti? È giusto – ad esempio – teorizzare che Internet e i social media hanno creato un universo completamente inedito? L’intelligenza artificiale applicata alle comunicazioni di massa da Google e Facebook segna una rottura, un passaggio di civiltà, con lo stesso potenziale dirompente che ebbe la stampa di Gutenberg cinque secoli prima?
E ancora: quanto il nostro corpo, la nostra salute e la nostra longevità, la flora e la fauna dell’ambiente in cui viviamo, sono condizionati dalla globalizzazione agroalimentare e batteriologica scatenata inconsapevolmente dalle grandi scoperte di Cristoforo Colombo & C.? Quanto invece siamo entrati in un’epoca di manipolazione genetica senza precedenti nella storia umana?
Non fu Gutenberg a «inventare la stampa». Come sempre il nostro eurocentrismo ci ha tramandato una storia parziale e incompleta, dove quasi tutto ha inizio in Occidente. Invece anche in questo campo ci hanno battuto i cinesi, e non di poco: due millenni circa. È nel 600 prima di Cristo che in Cina appare la prima tecnica di stampa, con blocchi di legno che imprimono caratteri a inchiostro sulla carta. Però, a volte non basta inventare. Se la tecnologia innovativa viene usata in un contesto inadatto, può non dispiegare tutti i suoi effetti. La Cina fa tantissime cose prima di noi ma non sempre riesce a estrarre i benefici potenziali delle sue invenzioni (o i malefici, vedi la polvere da sparo che loro usarono per i fuochi d’artificio, noi per i moschetti e i cannoni). Nel caso della stampa il suo problema forse è banale ma insormontabile: con diecimila ideogrammi «di base», il mandarino ha una complessità che ostacola l’uso della tipografia quale verrà fatto in Europa cioè con una produzione relativamente veloce e una diffusione di massa dei libri e dei giornali.
Prima di Gutenberg ci vogliono tre anni per produrre una Bibbia, visto che la tecnologia disponibile è la copiatura a mano. Invece delle tipografie ci sono gli amanuensi, che ci hanno tramandato delle pregevoli opere d’arte come gli incunaboli, ma in edizioni talmente limitate che se le contendono i musei. Nel corso della sua vita Gutenberg stampa duecento Bibbie, un numero che oggi è da collezionisti ma per l’epoca era ragguardevole. Presto molti lo imitarono e senza pagargli un centesimo di copyright: l’invenzione della stampa precede quella del brevetto industriale.
Il tedesco Johannes Gensfleisch zur Laden zum Gutenberg nasce nell’anno 1400. È un artigiano poliedrico e creativo. Fabbro e orefice di formazione, intorno al 1440 fa i suoi primi esperimenti con i caratteri mobili per la stampa e l’uso dell’inchiostro oleoso, mentre vive a Strasburgo. Nel 1455 stampa la sua prima Bibbia a Maenza. È l’inizio di quella che sarà una vera rivoluzione culturale. Della quale lui non può neppure immaginare gli sviluppi futuri. Solo nel 1504, sei anni dopo la morte, per la prima volta uno studioso cita Gutenberg come l’inventore della stampa. Nel frattempo la sua tecnologia – scopiazzata gratis – è migrata in altre parti d’Europa, soprattutto in Italia dove Venezia diventa il principale centro di produzione di libri. L’Italia dei Comuni e delle Città-Stato, con una borghesia mercantile fiorente e dallo spiccato spirito d’indipendenza, è un mercato ideale per il nuovo supporto o piattaforma tecnologica che diffonde conoscenze, idee. Il social media della carta stampata si candida a sostituire (lentamente) il social media più antico: la trasmissione orale di leggende, miti, credenze religiose.
Ma il libro è anzitutto il Libro. Il fatto che Gutenberg abbia stampato prevalentemente delle Bibbe, è quanto di più normale vista la centralità della religione nella cultura di quel tempo. E tuttavia è anche gravido di conseguenze, proprio nella Germania di Gutenberg. Che a quell’epoca non è certo una nazione, bensì come l’Italia di allora è un’espressione geografica e soprattutto un’area linguistico-culturale. Proprio come l’Italia, anche la Germania non ha nel Medioevo una lingua nazionale e l’élite parla latino; l’unificazione linguistica comincia dai testi religiosi. Nel nostro caso Francesco d’Assisi e Dante Alighieri, cioè una letteratura d’ispirazione religiosa. Nel caso tedesco è la Bibbia stessa a «creare» la lingua nazionale.
Il 31 ottobre 1517 il prete sassone e professore di teologia Martin Lutero affigge in pubblico a Wittenberg le sue 95 Tesi, il cui nucleo è la protesta contro un malcostume imperante nella Chiesa allora: la vendita delle indulgenze. Il clero offriva «sconti di pena», e passaggi accorciati dal Purgatorio al Paradiso, per chi poteva pagare. Lo storico medievalista Jacques Le Goff ha spiegato come il Purgatorio sia stato letteralmente inventato per offrire una prospettiva interessante alla nascente classe mercantile, e quelle transazioni pecuniarie sul destino delle anime accompagnano le prime forme di capitalismo europeo nel tardo Medioevo. Il moralista Lutero è l’interprete di una diffusa indignazione tra i fedeli. Ma nelle Tesi oltre a fustigare la gerarchia ecclesiale avida e corrotta, afferma anche dei principi nuovi, davvero rivoluzionari. Tra questi c’è sola Scriptura, che è considerato il principio fondante del futuro protestantesimo. Sola Scriptura sta a significare che il Libro divino, la Bibbia, è l’unica autorità ed è auto-sufficiente, non richiede l’interpretazione del papa e dei sacerdoti. Il fedele deve leggerla e può capirla da solo, Dio l’ha dettata per lui. Questo principio che avrà enormi conseguenze, lega immediatamente Lutero a Gutenberg.
Nel 1518 le 95 Tesi, originariamente scritte in latino, vengono tradotte in tedesco. Diventano uno dei primi testi stampati con la nuova macchina di Gutenberg. Poi Lutero si decide a tradurre la stessa Bibbia in tedesco. Molti lo considerano per questo il vero padre della lingua e poi della coscienza nazionale della Germania. Il teologo sassone è uno dei primi a intuire la potenzialità del nuovo social media. La tipografia gli consente direttamente l’accesso al popolo, by-passando gli intermediari che controllavano il Verbo fino a quel momento, cioè i preti. (Così come oggi Beppe Grillo può evitare la tv e parlare in Rete coi suoi seguaci; Donald Trump può aggirare i giornalisti e lanciare via Twitter i messaggi agli americani).
La Bibbia scritta nella lingua del popolo, strumento della Riforma protestante, apre l’era moderna in tanti sensi. È un potente strumento di emancipazione: mettendo in comunicazione diretta il fedele e Dio attraverso la lettura individuale del Verbo, fa vacillare paurosamente in mezza Europa il «potere forte» per eccellenza che è la Chiesa, titolare fino a quel momento di una prerogativa esclusiva: al popolo incolto da secoli solo i preti potevano spiegare il Nuovo e il Vecchio Testamento; la loro messa in latino suonava come un rito composto di formule magiche, incomprensibili alla massa. La Bibbia tradotta e stampata è anche un formidabile incentivo all’alfabetizzazione, promuove l’accesso individuale alla cultura. La visione moderna del mondo, in Occidente, si forma in quel periodo quando al centro viene messo l’individuo. Naturalmente un mondo dove la conoscenza è alla portata delle masse è anche un mondo più difficile da governare. Tanti lettori, tante teste pensanti, si lasciano dominare meno dal papa o dal sovrano, rispetto a una plebe ignorante e credulona. Gutenberg più Lutero fanno fare un balzo avanti prodigioso alla conoscenza umana, ma creano anche le premesse di una Età del Caos.