Conquistadores e conquistati

by Claudia

Le date che hanno influenzato la storia – 5. La scoperta dell’America, nel 1492, da parte di Cristoforo Colombo e la successiva colonizzazione europea hanno cambiato il mondo. Il loro e il nostro

Anno 1492. La presunta «scoperta» dell’America. Cioè l’arrivo di uno di noi. Il navigatore genovese Cristoforo Colombo ci approda per sbaglio. In realtà voleva scoprire una rotta nuova, più corta e più economica, per trasportare merci dall’Europa all’India. Anzi, alle Indie orientali, come si diceva a quell’epoca: una definizione che includeva India, Indonesia, Giappone. Già a quei tempi noi europei compravamo tanto dai cinesi e dagli indiani, per esempio spezie e tessuti pregiati. I cinesi da noi volevano quasi una cosa sola: l’argento. Per arrivare fino a casa loro usando le navi, bisognava circumnavigare tutta l’Africa come fece il portoghese Bartolomeo Dias nel 1488 superando il Capo di Buona Speranza. Era un viaggio lungo, pericoloso, costoso. Colombo – grazie ai libri di Gutenberg! – era convinto che la terra fosse rotonda (cosa che era già abbastanza assodata ma non tutti avevano capito). La credeva molto più piccola.
Per la verità aveva letto anche dei libri sbagliati (fake news?) e s’immaginava un globo a forma di pera… Il genovese s’illudeva che partire dall’Europa puntando a Occidente lo avrebbe portato in India più velocemente. Non immaginava che in mezzo ci fosse un altro continente. Partì con tre caravelle: la Nina, la Pinta, la Santa Maria. Quando avvistarono una terra, non era quella che oggi intendiamo quando usiamo la parola America (spesso ci riferiamo agli Stati Uniti). Erano approdati nelle isole dei Caraibi, in un mare che sta fra gli Stati Uniti, il Messico, il Venezuela. Le prime isole toccate da Colombo oggi si chiamano Bahamas. Poi sbarcò a Hispaniola (oggi l’isola divisa tra Haiti e Repubblica Dominicana). I primi abitanti che incontrò erano per lo più dell’etnìa Taino, che lui chiamò indiani perché convinto di essere nelle Indie.
Anche chi ha viaggiato, ha letto tanti libri, e crede di sapere molto sull’America, spesso pensa che gli indiani fossero pochi e primitivi. Se è così, l’America era un continente quasi vuoto. E gli abitanti non potevano certo resistere di fronte all’arrivo di popoli numerosi e «moderni» venuti dall’Europa. La realtà è ben diversa. Le Americhe – il plurale è consigliabile perché l’America del Nord, quella centrale e quella del Sud hanno storie diverse – furono «scoperte» diecimila, forse ventimila anni fa o anche prima. I veri pionieri vennero quasi certamente dall’Asia. È probabile che i primi siano venuti dall’estremo Nord, in un’epoca in cui le terre dell’Alaska e della Siberia asiatica erano quasi attaccate oppure unite da ghiacci. Quei primi abitanti all’inizio erano nomadi, vivevano di caccia e di pesca. Poi inventarono l’agricoltura e divennero sedentari, proprio come gli abitanti del Medio Oriente (Mesopotamia) dei quali noi siamo i diretti discendenti. Si formarono delle civiltà importanti, soprattutto nell’America meridionale (gli Inca dell’odierno Perù) e in quella centrale (Zapotechi, Olmechi, Toltechi, Aztechi e Maya nelle zone che oggi sono Messico, Guatemala, Honduras). Anche nell’America settentrionale, lungi dall’essere solo nomadi, i nativi ebbero delle civiltà sedentarie e organizzate come ad esempio il conglomerato urbano Tsenacomoco dei Powhatan, situato dove oggi c’è lo Stato Usa della Virginia.
Le cosiddette civiltà «pre-colombiane» hanno avuto delle storie lunghissime e importanti. Un esempio di quanto fossero avanzate: padroneggiavano la matematica e l’astronomia, a volte meglio dei popoli europei a loro contemporanei. È probabile che abbiano «inventato» il numero zero, indice di un pensiero raffinato, astratto.
Un luogo comune diffuso tra noi, descrive gli «scopritori» europei come dei guerrieri formidabili in confronto agli indiani. I nostri usavano le armi da fuoco, i primi fucili, mentre gli indiani combattevano con archi, frecce, pugnali. Dunque era inevitabile che vincessimo noi europei? In realtà i fucili di quell’epoca (moschetti) erano armi rozze, spesso facevano cilecca, la precisione di tiro era scarsa. Se spaventavano gli indiani era soprattutto a causa del rumore e del fumo. Gli archi e le frecce, se maneggiati da guerrieri esperti, avevano una gittata più lunga e una precisione superiore. Ancora nel XVI secolo, nel primo incontro tra i cosiddetti Padri Pellegrini – coloni venuti dall’Inghilterra – e gli indiani, questi ultimi erano più alti, più robusti e meglio nutriti dei bianchi. Poiché la salute è un indicatore di benessere, erano loro il popolo ricco. Il paesaggio americano, lungi dall’essere quella natura incontaminata che immaginiamo, era segnato da millenni di gestione dell’ecosistema (foreste, praterie, fiumi e laghi, zone coltivate e aree per la caccia) da parte dei nativi, la cui agricoltura manteneva probabilmente decine di milioni di abitanti.
Le tende indiane come tenuta stagna e calore interno, proteggevano dalla pioggia dalla neve e dal gelo meglio di tante case inglesi dell’epoca. I Padri Pellegrini stavano per morire di fame e furono salvati dalla generosità di quegli indiani: a questo episodio risale la festa del Ringraziamento, Thanksgiving, che è rimasta tra le più importanti nel calendario degli Stati Uniti.
Allora perché l’America è stata a poco a poco invasa e colonizzata dagli europei? La causa decisiva della vittoria europea potremmo chiamarla, con un termine moderno, la «guerra batteriologica». Colombo e i suoi successori la fecero senza saperlo. In Europa esistevano malattie che potevano essere mortali a quei tempi: si moriva di vaiolo, malaria, epatite, perfino di morbillo. Però chi non moriva – la maggioranza – sviluppava delle immunità naturali, anche prima che venissero scoperti i vaccini. Le stesse malattie non esistevano in America. I primi esploratori, conquistatori, colonizzatori arrivati dall’Europa erano spesso portatori – magari portatori sani, senza saperlo – dei germi del vaiolo, dell’epatite, del morbillo.
Oppure trasportavano i vettori delle malattie europee sotto forma di animali o insetti o piante nelle stive delle loro navi. Contagiavano gli indiani, che non avevano protezioni immunitarie, non avevano resistenze naturali, non riuscivano a produrre anticorpi. Una malattia grave come il vaiolo in un’epidemia in Europa poteva uccidere il 10% della popolazione (che è già tanto); quando si trasmetteva a una popolazione indiana poteva arrivare a sterminarne il 90%. Questo spiega anche la falsa convinzione che l’America fosse quasi deserta, disabitata. In realtà alcune zone d’America nella fase del massimo splendore delle civiltà pre-colombiane avevano avuto forse più abitanti dell’Europa. L’ecatombe delle epidemie ne fece sparire la maggioranza.
Limitarsi a raccontare le nostre conquiste, ignora l’altra metà: «scoprendo» le Americhe, noi fummo anche conquistati. Dalle loro piante, dal loro cibo, dal loro tabacco, dalle loro malattie. Lo scambio di sementi e di germi non fu a senso unico. La manipolazione genetica avvenne su vastissima scala, per lo più inconsapevole, con risultati imprevisti da ambo i lati.
Una tecnologia dove i nativi americani non erano affatto arretrati, era l’agricoltura. Furono capaci di «addomesticare» un cereale molto nutriente, che non a caso ha conquistato il mondo intero: il mais, che noi italiani chiamiamo anche granoturco.
L’elenco degli alimenti che noi europei abbiamo importato dalle civiltà pre-colombiane, è molto lungo, dal pomodoro alla patata al cioccolato. C’è pure il tabacco che è una storia a parte, e non delle minori. Tra le malattie che ci hanno contagiato: la sifilide, e un flagello vegetale che è la peronospera della patata (indirettamente fece stragi di umani: vedi la grande carestia delle patate nell’Irlanda dell’Ottocento). Questa è l’altra metà della «scoperta dell’America», dove i colonizzatori furono colonizzati. È quello che è stato chiamato lo Scambio Colombiano, uno degli effetti più durevoli dello sbarco a Hispaniola nel 1492 e 1493.
Tra i miei autori preferiti su questi temi ci sono Jared Diamond (Armi acciaio e malattie), Charles C. Mann (1493. Pomodori, tabacco e batteri).
250’000 anni fa i continenti erano quasi completamente attaccati fra loro, le terre emerse formavano un’entità unica che è stata chiamata Pangea. Poi delle forze geologiche hanno smembrato quell’insieme. Con la deriva dei continenti hanno cominciato a prendere forma l’Eurasia e le Americhe. La loro separazione è durata abbastanza a lungo da dare origine a biosfere quasi totalmente separate e non comunicanti, con specie di piante e di animali (compresi i piccolissimi organismi viventi come i germi) che esistevano in un continente ma non nell’altro.
Separati dagli oceani, questi ecosistemi ebbero pochissimi scambi tra di loro, per lunga parte della storia umana. I viaggi di Colombo e poi dei suoi emuli, seguiti dai conquistadores, per gli studiosi di scienze naturali «ricostruirono Pangea», riunificarono le biosfere separate. È una trasformazione di tale importanza, che i biologi la considerano la più importante svolta nella storia della vita terrestre dopo l’estinzione dei dinosauri. Molto più delle storie di re e regine, papi e chiese, generali e battaglie, questa trasformazione epocale ha generato il mondo moderno quale lo conosciamo. È stata definita lo Scambio Colombiano.
Accade un cortocircuito tremendo all’interno dello Scambio Colombiano, che apre un capitolo totalmente nuovo. Le malattie importate dagli europei stanno sterminando le popolazioni indigene. Manca manodopera. Per i nuovi business trainanti, le piantagioni di tabacco e canna da zucchero, spunta la soluzione dello schiavismo. Tra il XVI secolo e il 1840, quasi dodici milioni di africani sono stati portati nelle Americhe in stato di schiavitù. La dimensione imponente della tratta dei neri fa sì che per un bel pezzo di storia le Americhe vengono «africanizzate» molto più di quanto vengano «europeizzate». È solo nel boom industriale dell’Ottocento che soprattutto l’America settentrionale comincerà a importare grandi masse di lavoratori immigrati dall’Europa. È a causa dell’immigrazione ottocentesca che l’America diventa più bianca, e la nostra memoria storica si appiattisce su quell’episodio più recente, facendoci dimenticare tutta la storia indo-africana o afro-indiana precedente.