Un patriota, non un globalista

«Non mi aspettavo questa reazione, ma è ok». Donald Trump incassa così la risata spontanea con cui altri leader hanno reagito alla sua vanteria. Pochi attimi prima, parlando al Palazzo di Vetro, lui aveva detto: «La mia Amministrazione ha realizzato in meno di due anni più cose di quasi tutte quelle che l’avevano preceduta». I media Usa sono balzati sull’incidente, per ricordare che quand’era candidato Trump accusava Barack Obama di «farsi ridere dietro dal mondo intero». Sia consentita qui una parentesi sui media americani: hanno relegato il summit mondiale dell’Onu a evento secondario, rispetto alla politica interna (cioè il processo pubblico al giudice Brett Kavanaugh, candidato di Trump alla Corte suprema). Visto il suo provincialismo, la stampa liberal «si merita» il presidente che ha.
Il secondo intervento di questo presidente all’assemblea generale delle Nazioni Unite (la 73esima dalla nascita dell’organizzazione) è stato un inno al sovranismo, sulla stessa lunghezza d’onda di quello pronunciato un anno fa. Scritto dai due ideologhi più radicali del neo-nazionalismo alla Casa Bianca, John Bolton e Stephen Miller, il discorso di Trump ha ribadito orgogliosamente i temi America First: «Noi non cederemo mai la sovranità americana ad una burocrazia globale che non è stata eletta e non rende conto a nessuno. Rigettiamo l’ideologia del globalismo. Abbracciamo la dottrina del patriottismo». 
Trump si è dilungato sulle conseguenze nel commercio internazionale. Proprio il giorno prima erano entrati in vigore i suoi dazi contro 200 miliardi di importazioni cinesi, e il presidente ne ha difeso la logica: «Non permetteremo più che i nostri lavoratori siano danneggiati, che le nostre imprese siano defraudate, che la nostra ricchezza sia saccheggiata. L’America non deve chiedere scusa a nessuno se protegge i propri cittadini. L’intero sistema del commercio globale ha un disperato bisogno di cambiamento. Nella World Trade Organization furono ammesse nazioni che violano i principi di quell’organizzazione». Ricordando di avere appena firmato un accordo bilaterale con la Corea del Sud sulla liberalizzazione degli scambi, Trump ha difeso la necessità di un commercio «equo e reciproco». Ha detto di avere «rispetto e amicizia per il presidente cinese Xi Jinping» (il grande assente con Putin, all’assemblea di quest’anno), ma di non poter tollerare «le distorsioni di mercato e i metodi dei cinesi negli affari». Un duro attacco lo ha riservato anche ai paesi dell’Opec, per via del recente rialzo del petrolio: «Stanno derubando il resto del mondo, quei prezzi sono orribili».
Ha colpito il diverso trattamento riservato a due avversari tradizionali, Iran e Corea del Nord. Evidentemente affezionato al bilancio del proprio vertice con Kim Jong un (tenutosi a luglio a Singapore), Trump ha rivendicato il progresso rispetto a un anno fa: «I missili non volano più, i test nucleari si sono fermati, alcune basi militari vengono smantellate. Vorrei ringraziare il presidente Kim per il suo coraggio e i passi che ha intrapreso, anche se rimane molto da fare». L’anno scorso a quest’epoca, al Palazzo di Vetro Trump aveva definito Kim «l’ometto razzo in una missione suicida».
Ben altro il tono verso Teheran. «Dittatura corrotta, usa i soldi dell’accordo nucleare per seminare distruzione e morte in tutto il Medio Oriente. Non rispettano la sovranità dei loro vicini». Però in occasione di quest’assemblea a New York il governo iraniano ha incassato un successo prezioso. La responsabile della politica estera europea, Federica Mogherini, ha annunciato col ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif un accordo per consentire le relazioni economiche. Si tratta di uno «strumento speciale» che gestirà i pagamenti di petrolio iraniano importato in Europa, e «assicurerà gli operatori economici europei che fanno legittimi affari con l’Iran». Cioè uno scudo per proteggere le imprese Ue dalle sanzioni americane. 
«Sfortunatamente abbiamo scoperto che la Cina sta cercando d’interferire nella nostra prossima elezione, contro la mia Amministrazione». Al suo intervento numero due, dopo il discorso in assemblea Trump dirige i lavori del Consiglio di sicurezza Onu. Ne approfitta per lanciare un’accusa grave. «Non vogliono che io e il mio partito vinciamo, perché sono il primo presidente a sfidare la Cina sul commercio. E stiamo vincendo quella sfida, la stiamo vincendo a tutti i livelli». Si riferisce a un tipo d’ingerenza diverso rispetto a quello «made in Russia» che lo favorì nel 2016 contro Hillary Clinton. I cinesi non sono accusati – almeno per il momento – di manipolare le notizie e i social media dissimulando la propria identità. L’interferenza di cui parla Trump avviene in modo abbastanza trasparente. Si tratta dei contro-dazi che la Cina sta applicando su prodotti americani, per rappresaglia dopo che Trump ha colpito 200 miliardi d’importazioni cinesi. Pechino ha preso di mira dei prodotti – per esempio derrate agroalimentari – che fanno capo alle constituency del partito repubblicano.
Tenta dunque di concentrare il danno su alcune categorie di elettori, per indurli a disertare i candidati repubblicani il 6 novembre, quando si rinnova la Camera e un terzo del Senato. Trump rinfaccia ai cinesi una pratica per la verità abbastanza consueta, nelle ripicche commerciali si cerca sempre di calcolare anche l’effetto politico di un dazio (gli europei lo hanno fatto colpendo la marca di moto Harley Davidson). L’accusa di Trump conferma che in questo momento la Cina è uno dei suoi bersagli favoriti. Le tensioni tra le due superpotenze si stanno allargando alla sfera militare. Il governo cinese ha negato il permesso ad una nave militare Usa di attraccare nel porto di Hong Kong, un accesso che in tempi normali veniva accordato senza difficoltà.
Trump non ha assegnato importanza alla decisione di creare uno «scudo» legale che protegga le aziende Ue dalle nuove sanzioni americane, e consenta di operare in Iran. «Andrà tutto bene con gli europei», ha commentato il presidente confermando che le nuove sanzioni Usa contro Teheran «saranno durissime».  

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