I primi segnali d’allarme vennero dagli addetti alla piscina della catena di hotel Wyndham Grand: servivano più sdraio perché nove ospiti su dieci, invece di fare il bagno, trascorrevano tutto il tempo navigando in rete. Una recente ricerca americana, basata su interviste a duemila adulti, ha confermato queste impressioni: più della metà degli intervistati usa lo smartphone in vacanza come se fosse a casa: in media lo controlla ogni dodici minuti, ottanta volte al giorno (ma c’è chi arriva a trecento…). Quasi nessuno riesce a resistere più di quattro ore senza dare almeno un’occhiata. E qualcuno racconta di aver scalato un albero, di essere salito in cima a una collina o di aver pagaiato sino al centro di un lago solo per trovare campo.
Troviamo sempre qualche scusa per giustificarci: ci ripetiamo che a volte proprio la possibilità di restare in contatto con il lavoro e la famiglia è la condizione per poter partire, oppure vogliamo condividere le nostre imprese attraverso i Social network. E lo smartphone non ci aiuta forse a viaggiare meglio, offrendoci più informazioni? Ma la verità è che stiamo sperimentando una dipendenza di nuovo tipo.
Come guarire? Per cominciare, la stessa tecnologia può venirci in aiuto. Per esempio in alcuni orari possiamo attivare la funzione «non disturbare» nelle impostazioni. Ed è utile sapere che possiamo comunque ricevere chiamate da numeri selezionati veramente importanti o possiamo sapere se qualcuno sta tentando ripetutamente di contattarci. In alternativa esistono apposite applicazioni, anche piuttosto divertenti.
«The Forest» per esempio pianta un seme digitale sullo schermo del nostro smartphone e ci mostra la lenta crescita di un albero per tutto il tempo nel quale non ci colleghiamo; la pianta però appassisce rapidamente se tentiamo di usare l’apparecchio. «Flipd», invece, più brutalmente blocca lo smartphone quando gli chiediamo di farlo e resta poi impassibile dinanzi alle nostre richieste se cambiamo idea. Tanto non casca il mondo e la sera possiamo comunque collegarci per un quarto d’ora e sbrigare rapidamente mail, telefonate, messaggi e aggiornamenti dei Social network.
In alternativa, per chi proprio non ce la fa da solo, si moltiplicano le proposte di Digital detox, cioè soggiorni volutamente sconnessi dall’uso delle tecnologie (il termine è entrato nell’Oxford Dictionary of English nel 2013). Alcune di queste esperienze sono di alto profilo. Dopo tutto, si sostiene, solo persone di un certo livello possono permettersi di ignorare le sollecitazioni altrui e non rispondere a messaggi e telefonate…
Una ricerca Nielsen conferma che in effetti le persone con minor reddito passano più tempo con lo smartphone: per cominciare spesso è il solo accesso a Internet disponibile; inoltre disconnettersi può significare perdere un’opportunità per chi fa diversi lavori su chiamata.
Dopo aver ascoltato i loro bagnini, gli hotel Wyndham Grand offrono ora aree phone-free nella piscina o nel ristorante, con speciali sconti e piccoli privilegi per chi accetta di chiudere il suo smartphone in una custodia con serratura. Anche l’Hotel Mandarin di New York – almeno 500 dollari al giorno per le stanze in lussuoso stile orientale – offre costosi programmi di benessere legati al Digital detox; mentre voi siete massaggiati con olii essenziali, anche il vostro smartphone è pulito e lucidato dal personale…
Sono poi perfetti i luoghi più remoti, dove magari manca del tutto la corrente elettrica, oltre alla connessione, così il problema si risolve alla radice. Da questo punto di vista la «Via dei silenzi» nelle Dolomiti, dalle sorgenti del fiume Piave a Vittorio Veneto, ha un nome che è tutto un programma. Anche le Alpi svizzere sono spesso promosse in questa prospettiva così come, dalle nostre parti, le Valli Bavona e Onsernone. E recentemente la BBC ha descritto Corippo, in Val Verzasca, come il regno del Digital detox, raccontando anche i tentativi di mantenerlo in vita attraverso la formula dell’albergo diffuso.
Ma infine cosa faremo quando ci saremo liberati dalla tirannia dello smartphone? Di certo saremo più presenti nei luoghi e nelle esperienze del nostro viaggio, dopo aver tagliato il cordone ombelicale digitale. Vedremo di più, capiremo di più, sentiremo di più e sarà più facile stabilire relazioni con i locali.
Senza distrazioni continue, potremmo anche fare curiose scoperte, a cominciare magari dal nostro stesso albergo. Per esempio l’hotel Kimpton Everly di Hollywood, Los Angeles, ha proposto ai suoi clienti un curioso esperimento social della durata di tre mesi. Dopo tutto una stanza d’albergo è simile a Facebook, è un grande contenitore di storie legate alle diverse persone che vi abitano di passaggio. Certo, gli alberghi non insistono spesso su questo aspetto: anche se non è un segreto, perché ricordare che poche ore prima un altro ha dormito nel vostro letto e usato la stessa doccia? C’è però anche un lato positivo, una ricchezza di relazioni. E così nella stanza 301 dell’hotel Kimpton Everly il libro degli ospiti pone domande esistenziali: «Qual è la tua più grande paura?»; «Quando hai pianto l’ultima volta?». Oppure: «Qual è stato il tuo risultato più importante?». E puoi leggere cos’hanno risposto gli altri. Sul tavolo c’è un iPad con una playlist di Spotify creata con il contributo dei diversi ospiti, caricando i loro brani preferiti. Una grande lavagna alla parete raccoglie confessioni anonime, mentre sulla bacheca si possono lasciare messaggi in bottiglia per chi verrà dopo di noi. In questo modo la storia di ciascun ospite si connette a quelle di quanti lo hanno preceduto e seguito. Il trenta novembre l’esperimento si concluderà e la prossima primavera tutti gli ospiti di quella stanza saranno invitati per un pranzo dove conoscersi di persona e scambiarsi impressioni.
Con questo stesso spirito lo scorso anno la regista casertana Barbara Rossi Prudente ha girato un documentario, Camera 431, raccontando di cinquanta sconosciuti che s’incontrano per alcune ore in una stanza d’albergo, raccontando la loro vita a una persona mai vista prima. «Quante volte vi siete soffermati a immaginare cosa accade al di là di una mia porta?», chiede in apertura la voce narrante…
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