A scuola con lo smartphone

Uno strumento utile, da non sottovalutare, da non demonizzare. Al suo uso si va educati dalla famiglia e dalla scuola come avviene per altri ambiti. Con il cellulare in tasca (di fatto un piccolo computer) si può crescere bene anche se pone indubbiamente nuove sfide. Di fronte all’accelerazione dello sviluppo tecnologico si cercano, in particolare a livello scolastico, strategie per affrontare la realtà in modo da sfruttare i valori aggiunti e contenere i rischi. La tendenza generale di puntare sull’educazione e la consapevolezza è però messa in discussione anche in Ticino da alcune visioni più rigide, come dimostra la recente mozione dei parlamentari Giorgio Fonio (PPD), Henrik Bang (PS) e Maristella Polli (PLR): «Vietiamo gli smartphone nelle scuole dell’obbligo». Ma quali sono le norme attualmente in vigore nella scuola ticinese? Su quale visione si fondano? Quali spunti di riflessione offre al riguardo un esperto del comportamento umano chiamato a seguire da vicino i giovani in difficoltà, a volte proprio a causa di abusi compiuti con lo smartphone? Hanno risposto ad «Azione» Daniele Parenti, direttore del Centro di risorse didattiche e digitali (CERDD) e lo psicologo e psicoterapeuta FSP Pierre Kahn. 
«Fino allo scorso anno scolastico – spiega innanzitutto il direttore del CERDD – ogni scuola media aveva la facoltà di definire le proprie regole sull’uso dei dispositivi mobili personali (cellulari, tablet). Era però già attivo un Gruppo di lavoro che abbiamo istituito nel 2015/16 per valutare l’uso di tali mezzi anche dal punto di vista didattico. Il Gruppo – composto da rappresentanti di ogni ordine di scuola e dei settori pedagogico, tecnico e giuridico – ha evidenziato la responsabilità educativa della scuola a livello di protezione e di sviluppo delle competenze. Di conseguenza ha elaborato una serie di norme raccomandando alle direzioni di introdurle nel regolamento interno di istituto a partire da quest’anno».
Il primo punto ribadisce che «nel perimetro dell’istituto scolastico i dispositivi tecnologici di comunicazione personali, se non spenti, devono essere non visibili e in modalità “aereo”». Alla direzione o a un’istanza scolastica designata è concessa la facoltà di definire se e quando è possibile scostarsi da questa regola. L’approccio, pragmatico e aperto, tiene in considerazione tre aspetti: psicopedagogico-didattico, giuridico e tecnico. Il primo concede ampio margine di scelta al docente per l’utilizzo attivo dei dispositivi a fini didattici. È la missione della scuola quella di educare e quindi questi nuovi strumenti possono essere integrati nell’insegnamento. Si tratta di un uso consapevole che permette di ragionare con gli allievi sui valori aggiunti e sui rischi ad esempio quando si compie una ricerca. Dal punto di vista giuridico gli allievi sono portatori di diritti costituzionali che impediscono un ritiro sine die del cellulare. Secondo Daniele Parenti è quindi valida la prassi applicata in situazioni analoghe con richiami al rispetto delle regole e un ritiro semmai limitato a prima del rientro a domicilio. Infine, per quanto riguarda l’aspetto tecnico, il Gruppo di lavoro privilegia l’impiego delle attrezzature scolastiche.
Le nuove regole mettono in guardia anche su fotografie, filmati e registrazioni e il necessario consenso delle persone oggetto di tali atti. «Gli eventi critici a questo livello – rileva il direttore del CERDD – non possono essere esclusi, ma non devono mutare il ruolo della scuola. Richiedono un intervento educativo come per fatti analoghi che avvengono senza l’uso di questi strumenti». Daniele Parenti ricorda pure l’impegno profuso da due anni a questa parte nella formazione dei docenti. «In ogni scuola media viene formato un gruppo di 4-5 insegnanti che fungono da guida e punto di riferimento per il resto del corpo docente. Gli obiettivi sono l’uso consapevole delle risorse tecnologiche e la costruzione di itinerari didattici mirati».
La visione dello smartphone quale strumento utile di cui fare un uso consapevole è condivisa da Pierre Kahn. Per lo psicologo e psicoterapeuta il cellulare può anche rivelarsi uno strumento relazionale, permettendo ad esempio ai più timidi di socializzare con maggiore facilità. «Occorre certamente fissare delle regole e porre dei limiti, in modo che il suo uso sia adeguato al contesto» spiega lo specialista. «I bambini e gli adolescenti hanno bisogno di questi “paletti”, che vanno però motivati e spiegati. Classe e scuola sono due contesti diversi. Nel primo sono d’accordo di vietare l’uso dello smartphone, soprattutto perché fonte di distrazione. L’attivazione ha un senso solo a fini didattici su richiesta degli insegnanti. Durante le pause, a livello di scuola media, sarei invece più cauto. È vero che esistono zone grigie a rischio elevato, come gli spogliatoi prima e dopo le lezioni di educazione fisica. Ancora una volta si deve sensibilizzare ed educare. Questo compito spetta sì alla scuola, ma prima ancora alla famiglia».
Pierre Kahn riferisce al riguardo anche la sua esperienza di padre che, seppure a fatica e in una realtà diversa poiché risalente ad una decina di anni fa, ha concesso il cellulare ai figli solo con l’inizio del Liceo. Chi regala oggi lo smartphone a bambini sempre più piccoli? Nella quasi totalità dei casi sono i genitori e per lo psicologo «questo gesto dovrebbe essere accompagnato da un modo d’uso non tanto tecnico quanto mentale. Le informazioni trasmesse dai genitori sono essenziali. Bisogna evidenziare e discutere rischi e pericoli a cominciare da quelli più semplici come i costi. Alla base vi sono la comunicazione con i figli e l’esempio che viene loro trasmesso. A questo livello la scuola svolge un ruolo importante ma complementare; i primi limiti sono i genitori a doverli porre».
Nel suo studio a Mendrisio lo psicoterapeuta è confrontato regolarmente con le conseguenze di usi impropri dei cellulari. Pierre Kahn: «I fenomeni di cyberbullismo e sexting negli ultimi anni sono aumentati e la collaborazione con i genitori resta determinante per superare le difficoltà, spiegare agli adolescenti le conseguenze di alcuni loro atti a volte inconsapevoli (come inviare al fidanzato foto sessualmente esplicite) e più in generale insegnare ad usare questo mezzo di comunicazione in modo responsabile».
Da rilevare, riguardo al valore dell’educazione, l’esperienza positiva delle sedi di scuola media più aperte che già da anni hanno sviluppato una cultura della tecnologia. Daniele Parenti cita l’esempio di Tesserete, dove l’uso del cellulare è autorizzato durante le pause. L’accresciuta presenza di giochi tradizionali offre agli allievi la possibilità di relazionarsi in modi diversi, tutti sfruttati e apprezzati. Nel resto della Svizzera la tendenza è all’apertura. Se il Canton Vaud – al quale fa riferimento la mozione ticinese – ha appena scelto di testare per quattro mesi in alcuni istituti il divieto di usare il cellulare durante le pause accompagnandolo con misure formative, Zurigo e San Gallo privilegiano invece da tempo l’investimento in mezzi e formazione. La Città di Zurigo, ad esempio, ha dotato di tablet ogni allievo di quinta elementare. Sul piano europeo al recente divieto di usare gli smartphone a scuola introdotto dalla Francia si contrappongono numerosi approcci più permissivi, in particolare nei Paesi del Nord e nella vicina Italia.
Lo smartphone, come gli altri dispositivi mobili personali, dovrebbe quindi sempre essere posto in modalità «responsabilità» sia esso nelle mani di adulti, adolescenti o bambini. Per questo non esiste però un semplice tasto, bensì i principi educativi e di convivenza civile che famiglia e scuola trasmettono alle nuove generazioni non senza fatica e cadute. Queste ultime, per chi lavora a stretto contatto con i giovani, significano però anche esperienze dalle quali potersi rialzare più forti.

Related posts

Lo smartphone ha conquistato anche gli anziani

La noia è sana e stimola la creatività

Sognare per migliorare il mondo