Le protagoniste della trilogia di Carmen Korn sulla copertina della versione italiana del libro

Una nuova era

by Claudia

A cento anni dal primo voto delle donne in Germania, nell’era del movimento #Metoo e a poche settimane dall’insediamento del 116esimo Congresso americano – che ha registrato un record di donne e visto la neodeputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez omaggiare le Suffragette con la sua mise bianca – c’è una trilogia che sta facendo molto parlare di sé. Sin dalla prima pubblicazione uscita nel 2016, ora disponibile in italiano per Fazi editore dal titolo Figlie di una nuova era, la trilogia è subito balzata tra i bestseller.
Questo primo volume – che esordisce con la primavera del 1919 – molto si sofferma sulla Germania del primo dopoguerra e su quella nazista. Agli inizi del Novecento alle insegnanti non era consentito sposarsi, pena la perdita del posto di lavoro e della pensione. Quando salì al potere, il partito di Hitler promosse l’esclusione delle donne dalla vita politica del Paese e l’idea che dovessero dedicarsi alla maternità e alla procreazione. Le donne furono escluse dall’insegnamento universitario e dalle professioni mediche.
In quest’epoca, nella città di Amburgo, si muovono i destini delle quattro protagoniste scaturite dalla penna di Carmen Korn: Henny, Käthe, Ida e Lina. Henny, di buona educazione borghese, ambisce a diventare ostetrica, Käthe, di estrazione più modesta, emancipata e comunista convinta, non vuole piegarsi alle convenzioni del tempo e quando Rudi chiede la sua mano risponde «Tu mi piaci. Ma la faccenda del matrimonio te la puoi anche scordare». Ida è una rampolla ricca e viziata, Lina un’insegnante, una donna indipendente e anticonformista, che ha visto i genitori morire di fame per salvare la vita sua e di suo fratello.

Classe 1952, nata a Düsseldorf, da diversi anni di casa ad Amburgo, Carmen Korn è giornalista – è stata redattrice dei settimanali «Die Zeit» e «Der Stern», testata con la quale ancora oggi collabora – e scrittrice. Le abbiamo fatto qualche domanda per capire perché le storie di quattro donne – che oltre ai loro destini ritraggono un secolo di storia e di lotte per l’emancipazione e i diritti femminili – hanno riscosso un così grande successo di pubblico.
Nel settembre del 2018 è uscito il terzo e ultimo volume della sua trilogia e molti lettori lo attendevano con trepidazione. Si aspettava un tale successo?
Non avrei mai sognato un successo del genere. È stata una grande fortuna dovuta credo al fatto che le lettrici siano pronte a confrontarsi con la vita dei loro nonni e della generazione dei loro genitori. C’è una grande identificazione da parte delle lettrici con i miei personaggi e le loro storie famigliari.

In italiano è appena uscito il primo volume e presto uscirà il secondo: come è nata l’idea di scrivere un seguito, addirittura una trilogia che racconta la vita e i destini di quattro donne nella città di Amburgo?
Per descrivere un’epoca violenta come il ventesimo secolo tre libri non sono troppi, sono necessari. All’inizio avevo intenzione di scriverne soltanto due e di finire con la caduta del muro nel 1989, ma ho poi deciso di seguire il consiglio della mia lettrice e di raccontare la storia fino al volgere del secolo. Ho scelto Amburgo perché è la città a me più vicina, la città nella quale vivo, una città portuale sfaccettata e appassionante.

Henny, Käthe, Ida e Lina sono donne realmente esistite?
Henny, Käthe, Lina e Ida sono personaggi fittizi che però incorporano caratteristiche, elementi e vissuti di persone realmente esistite. Käthe, ad esempio, ha molto della mia prozia, lei era ugualmente ostinata, proprio come Käthe faceva sempre discussioni con i nazisti e non in quanto comunista ma in quanto socialdemocratica. Anche nelle altre figure si riscontrano elementi appartenenti alla mia famiglia come i racconti di mia nonna e delle sue sorelle che da bambina ho ascoltato e impresso bene nella memoria. Oggi queste storie mi hanno permesso di fare miei il sentimento e lo spirito di quel tempo. E poi ho attinto a biografie, vecchie fotografie e filmati.
Perché la scelta del titolo Figlie di una nuova era?
La stagione che seguì la Prima guerra mondiale è stata per le donne l’inizio di una nuova era. Già nel novembre del 1918, solo pochi giorni dopo l’armistizio, fu introdotto il diritto di voto alle donne e fu abrogato il divieto di sposarsi per le insegnanti. Il fatto che la storia inizi nella primavera del 1919 con la figura di Käthe, una donna attiva in politica e di sinistra, non è un caso.
A quei tempi ci si tagliava i capelli, si accorciavano le gonne, si eliminava tutto ciò che veniva considerato zavorra. La nonna zurighese di mio marito si è tolta la forcina dallo chignon e si è fatta fare una testa da paggetto per sentirsi più libera. Le donne che vivevano nella grandi città avevano senza dubbio una vita più semplice di quelle in campagna. La mia famiglia ha sempre vissuto nei grandi centri urbani e sono state proprio le esperienze di vita di chi mi è stato intorno a guidarmi e a ispirarmi.
Henny e Käthe sono legate da una profonda amicizia, entrambe diventano ostetriche e come molte donne di oggi ben presto si trovano a un bivio: in che cosa si mostrano emancipate e controcorrente?
Se penso a mia nonna e alle sue sorelle, Henny e Käthe non erano poi così controcorrente. Entrambe non mettono mai in dubbio la loro professione, quella per la quale hanno fatto tanti sacrifici. Henny, involontariamente, inciampa presto nel ruolo di madre ma trova sostegno nella sua famiglia: grazie all’aiuto della madre Elsa e della suocera Lina, riesce a coniugare lavoro e famiglia. Käthe dal canto suo è innamorata di Rudi ma non vuole piegarsi alle convenzioni e non vuole sposarsi. È molto autodeterminata ma il corso del tempo semina grossi macigni sul suo cammino. Ancora oggi, coniugare famiglia e lavoro, rimane una grande prova di forza. Lo vedo guardando mia figlia e le sue amiche: per una mamma lasciare il bambino piccolo all’asilo non è semplice, ma a nessuna giovane donna di oggi viene il dubbio di essere una madre snaturata.
Con forza emerge anche il conflitto generazionale…
Elsa, la madre di Henny, è una donna dal carattere dominante ancora molto influenzata dall’immagine del mondo dell’età imperiale e questo la porta inevitabilmente a scontrarsi con Henny e ancor di più con la progressista Käthe. Anche la gerarchia all’interno della clinica crea frizioni, d’altra parte queste strutture conservative ci hanno perseguitate per molto tempo. Ma nemmeno spiriti liberi e generosi come il dottore Kurt Landmann erano rari negli anni Venti del secolo scorso. Credo, tuttavia, che nella trilogia, al di là dei conflitti generazionali, ad essere messe in luce siano le singole personalità femminili e i loro destini.
In passato è stata redattrice di importanti testate: è stato difficile farsi valere?
Ho avuto la fortuna di incontrare persone che mi hanno sempre sostenuta, uomini e donne, senza differenza di sorta. A Wolf Schneider, direttore della scuola di giornalismo di Gruner+Jahr e «Die Zeit» che ho frequentato ad Amburgo, interessavano il talento e la volontà di tradurlo in azioni concrete, non faceva distinzioni tra uomini e donne. Anche allo «Stern», che spesso e volentieri è stato definito un covo di squali, ho spesso ricevuto l’appoggio dei capi di redazione. E se oggi guardo con pessimismo alla professione giornalistica, non è certo per via dei ruoli di genere.
Il settimanale tedesco «Der Spiegel» ha dedicato un’edizione speciale a #Metoo, chiedendosi quanto sia moderna la Germania in fatto di donne e pari opportunità, crede di aver dato un contributo con questa trilogia? Alla domanda dello «Spiegel» cosa risponde?
Credo che qualsiasi libro, in cui si racconti di donne che osano percorrere la propria strada senza lasciarsi intimidire, possa contribuire al successo del movimento #Metoo. Credo, inoltre, che ogni donna abbia qualcosa da dire a riguardo. Se guardo al contesto nel quale mi muovo direi che la Germania è molto all’avanguardia e moderna. Ma io vivo in un ambito famigliare e di amicizie molto liberale e di sinistra e per di più ad Amburgo, la seconda più grande città del Paese. Sicuramente ci sono altri milieu, altri luoghi nei quali per una donna è più difficile decidere autonomamente della propria vita.

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