Gerhard Meier (1917-2008) in un’immagine scattata a Niederbipp nel 2003 (Keystone)

Dorli, Gerhard e i melograni

by Claudia

La giuria del premio Heinrich Böll lo definì nel 1999 «lo sconosciuto più conosciuto della letteratura tedesca». Forse perché Gerhard Meier, autore di poesie, racconti e romanzi, aveva sempre vissuto un po’ al margine del business culturale pur ottenendo nel corso degli anni significativi premi e riconoscimenti. Era nato a Niederbipp nel Canton Berna nel 1917, e per oltre un trentennio lavorò come designer e direttore tecnico in una fabbrica di lampadari. Solo nel 1964 pubblicò la sua prima raccolta di poesie, L’erba rinverdisce, e pochi anni dopo abbandonò l’attività professionale per dedicarsi alla scrittura. Lui stesso si definiva un provinciale legato al suo paese e a quella casa ereditata dai genitori in cui trascorse tutta la vita in compagnia – per ben sessant’anni – dell’amatissima moglie Dorli scomparsa nel 1997.
In realtà sempre presente nel suo cuore e tra le pagine del poema in prosa Se fioriscono i melograni pubblicato da Meier nel 2005, tre anni prima della sua morte, e ora proposto nella traduzione di Daniela Idra nei fiammiferi, la nuova squisita collana della casa editrice svizzera Pagine d’Arte. È una delicata, intensa elegia che dissolve i contorni del tempo in rievocazioni fuggevoli, in brevi flash fra presente e passato, un tour dell’anima che risveglia il dialogo mai interrotto con la propria compagna, creatura sensibile e colta che aveva condiviso con il marito l’interesse per la religione e l’arte figurativa, la musica e la letteratura. Temi esistenziali presenti in modo originale anche nei romanzi dello scrittore come la Tetralogia di Amrain conclusa nel 1990.
Ma in questo esile libretto, i pensieri si accavallano e dissolvono in un leggero soffio di parole, tra mille fiori e piante, in attesa che un giorno Dorli possa ancora chiamare per nome il suo Gerhard inseguendo le rose del giardino, per riaffacciarsi insieme sulla realtà che un tempo ammirarono. Magari andando a Soglio, dove Rilke si era immerso nelle proprie elegie, e attraversando Borgonovo di Stampa, dove crebbe Giacometti, o Sils-Maria, per ricordare Nietzsche e il suo Canto d’ebrezza inciso sulla roccia, sostando poi all’Hotel Alpenrose, dove soggiornò con un paio di amici Marcel Proust a rimirare il lago dalle sfumature preziose che con i suoi colori «somigliava a un grande fiore morente». Meier divaga con velata malinconia immaginando la sua amata aggirarsi tra figure letterarie, mentre il ricordo va a una cometa apparsa in cielo sopra il Giura non molto dopo il suo definitivo congedo. Nel proprio cuore come nell’universo quest’uomo scorge i segni miracolosi di un connubio inviolabile: la sua Dorli, vicina e lontana, riemerge da visionarie fantasie camminando «sul tappeto d’ombre degli eucalipti, in riva al Mar di Galilea».
Era una donna nata in una famiglia pietista e legata alla propria comunità in diversi modi: insegnava alla scuola domenicale, faceva parte del consiglio parrocchiale e dirigeva la Società per gli anziani. E mentre lui era tornato alla letteratura, Dorli teneva un chiosco in cui vendeva giornali, sigarette e cioccolata. Meier non trascura nel suo vagabondare dettagli o frammenti quotidiani, ma poi scavalca la provincia per deporre rose sulla tomba di Proust nel cimitero di Père Lachaise, risalire con l’amata la Via Dolorosa a Gerusalemme o girare un film a Jasnaja Poljana, Mosca e San Pietroburgo.
Mentre l’album delle fotografie di Dorli lo riporta con lei a Berlino, alloggiati all’Accademia di belle arti, dove lui parla di Theodor Fontane e poi insieme vanno a zonzo per il Tiergarten e lungo le rive boscose del Wannsee ricordando Heinrich von Kleist. E certo non possono trascurare Vienna, contagiati dal bohémien Peter Altenberg con la nostalgia dei caffè, i cui testi sembrano spartiti di fisarmonica che richiamano canzoni dei pontili, dell’estate, della brezza che arriva dalla Galizia e si riversa sul Ring. Ma è Joseph Roth, lo scrittore di Brody, che affascina ambedue e li fa sentire nativi di quell’impero. Più tardi proprio lui, Gerhard, proverà riconoscenza per l’amico austriaco Peter Handke che gli cedette metà del premio Kafka.
L’intenso breviario di Meier dispensa parole e concetti, fatti e fantasie con un tocco quasi musicale, ariosi e impalpabili: un inno alla vita che nell’incanto letterario supera ogni soglia, anche quella definitiva, per poi ritornare alla luce. Magari quando Dorli lo accosterà in sogno apostrofandolo con le bibliche esortazioni di Sulamita: «Vieni, amato mio, andiamo nei campi (…) vedremo se germoglia la vite, se le gemme si schiudono, se fioriscono i melograni: là ti darò il mio amore».
È un libro esemplare per la nuova collana letteraria, fiammiferi, che include storie brevi tradotte per la prima volta in italiano. Non a caso proposte dalla casa editrice Pagine d’Arte che si è sempre mossa fin dall’inizio nel 1982 nel segno della scrittura poetica coniugando parola e immagine. Del resto ha avuto fra i suoi collaboratori significativi artisti come Emilio Tadini, Giulia Napoleone ed Enrico della Torre.
Ma anche gli altri tre fiammiferi si muovono in spazi originali e curiosi. L’antologia della portoghese Maria Gabriela Llanson, scomparsa nel 2008, con Pessoa una delle voci più originali del suo paese, è una sorta di collage percorso da folgoranti immagini del corpo, della luce e del pensiero, un testo ricco di suggestioni che stimolano costanti processi interiori. Più accessibile e drammatico è il volumetto che il giovane scrittore francese Nicolas Cavaillès dedica agli otto figli della coppia di musicisti Clara e Robert Schumann.
Vite segnate dal tragico destino del folle genio paterno e qui narrate con una scrittura appassionata e incalzante. Singolare è, a suo modo, anche il racconto Zinco, del saggista e romanziere fiammingo David van Reybrouk che narra la paradossale storia di un minuscolo territorio neutrale, il Moresnet, fra Belgio, Olanda e Germania nei tragici anni delle due guerre mondiali del Novecento. Ma la cosa più curiosa è il destino del protagonista che qui visse cambiando cinque volte nazionalità senza aver passato mai il confine, perché, come sottolinea l’autore, sono le frontiere che lo hanno attraversato.
Proposte originali e coerenti con il programma di fondo della collana. Non certo titoli di massa, ma letture assai coinvolgenti per un pubblico raffinato che cerca nella scrittura originalità e incanto. Si può solo augurare a questa bella casa editrice di trovare per la nuova collana non solo moltissimi lettori, ma anche giovani e originali autori con uno sguardo inquieto e curioso che va ben oltre la superficie uniforme delle cose.

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