Apple – Il 25 marzo la società di Steve Jobs presenta ufficialmente il suo nuovo servizio streaming con serie tv e film originali in diretta concorrenza con Netflix e Hulu. Per compensare un abbassamento di vendite degli iPhone
«It’s show time», comincia lo spettacolo, si legge sul biglietto di invito che Apple ha mandato alle star del cinema e agli operatori del settore televisivo per accoglierli con la consueta solennità al Steve Jobs Theater, nel sotterraneo dell’avveniristico quartier generale di Cupertino, in California. Questa volta, però, l’azienda fondata da Jobs non presenta un computer né l’ennesima evoluzione di un telefonino e nemmeno una nuova diavoleria elettronica. Niente di tutto questo. La notizia, questa volta, è che Apple ha deciso di riempire i device dei suoi clienti con un servizio di streaming video, sul modello di quanto fa già con la musica, e di entrare in diretta concorrenza con Netflix, Amazon e Hulu sulla distribuzione dei contenuti video e con Hbo, Showtime e gli stessi Netflix e Amazon sull’ideazione e realizzazione di serie e film.
Hollywood che trasloca nella Silicon Valley ormai non è più una novità, visto il consolidato successo di Netflix e delle produzioni Amazon, ma l’annuncio che anche Apple sarà della partita apre nuovi scenari sia per l’industria cinematografica e televisiva sia per quella tecnologica. Un nuovo player del peso di Apple si farà sentire, in termini di creatività e di reclutamento di talenti, ma avrà conseguenze anche nella maturazione di Apple da semplice produttrice di dispositivi tecnologici in più tradizionale azienda di servizi a pagamento.
Dopo aver messo in circolo circa due miliardi di device, tra smartphone e tablet, ispirando i concorrenti a rincorrere le sue innovazioni e a moltiplicarle, Apple ha notato una crescita meno impetuosa nella vendita dei suoi prodotti, anche a causa delle prestazioni sempre più performanti delle ultime generazioni di iPhone e iPad. Per questo motivo ha deciso di investire subito un miliardo di dollari, a fronte degli otto di Netflix nel 2018, nella divisione di contenuti, affidata a ex manager di Hollywood, per produrre serie televisive originali e chiudere accordi di distribuzione con altri produttori, diventando dal niente un player dell’industria cinematografica e non più soltanto un’enorme azienda produttrice di hardware valutata a Wall Street mille miliardi di dollari. Sono già due dozzine le serie televisive targate Apple, tra quelle pronte, quelle ancora in produzione e quelle da girare, metà delle quali saranno trasmesse entro la fine dell’anno. Apple ha coinvolto attori, registi e sceneggiatori di primissimo livello, da Steven Spielberg a J.J. Abrams, da Reese Whiterspoon a Jennifer Aniston e Steve Carrell. La piattaforma streaming punterà su questi contenuti originali, ma offrirà anche le serie e i film Hbo e Showtime.
Il progetto è ambizioso e mostra un paio di vantaggi rispetto ai competitor. Il primo è evidente: Apple vende anche gli strumenti con i quali si guardano questi contenuti, cosa che favorirà una maggiore integrazione tra gli uni e gli altri e una migliore fruizione. Poi può contare su un numero già consistente di sottoscrittori a pagamento ad altri servizi, a cominciare dallo streaming di Music, che già adesso garantiscono all’azienda di Cupertino quasi 40 miliardi di dollari l’anno. Il business dei ricavi ricorrenti, cioè degli abbonamenti, è enorme: secondo le stime degli analisti, entro cinque anni i sottoscrittori Apple saranno 100 milioni e faranno entrare oltre 50 miliardi di dollari l’anno nelle casse di Apple.
I produttori di contenuti per la tv, Hbo, Showtime e Starz, devono ancora capire se Apple costituisce una minaccia esistenziale al loro business oppure se è una grande opportunità per aumentare i loro ricavi grazie alla platea decisamente più ampia che Apple garantisce rispetto al mercato della tv via cavo. Netflix e Hulu, invece, sono sicuri della minaccia e preferiscono starsene alla larga dal servizio e non cederanno i loro contenuti, confidando nella posizione consolidata raggiunta in questi anni. Soprattutto non hanno alcuna intenzione di cedere agli analisti di Cupertino il controllo sui dati e sulle abitudini dei loro utenti.
Oltre allo streaming video, Apple presenta anche un abbonamento a giornali e riviste, l’annunciata conseguenza dell’acquisizione, avvenuta lo scorso anno, dell’app Texture che forniva questo servizio. Apple spera di replicare il modello della musica anche con i giornali, ma il compito sembra ben più complicato perché i grandi gruppi editoriali in questo momento stanno puntando molto sul business autonomo degli abbonamenti a pagamento, per cui difficilmente cederanno clienti ad Apple, a meno di uno spropositato allargamento della base che, in effetti, soltanto Apple potrebbe assicurare.
La proposta prevede un pacchetto video, testo e musica (che adesso costa dieci dollari il mese) oppure offerte separate, ed è costruita intorno all’idea che chi paga più di un servizio preferisce rimanere in un unico ecosistema.
Vedremo se le produzioni saranno all’altezza delle aspettative e dei concorrenti, ma c’è da considerare più di un aspetto critico quando si incontrano due culture industriali completamente opposte come quella pettegola di Hollywood e quella riservata della Silicon Valley, in particolare quella di Apple. L’industria cinematografica vive di indiscrezioni, l’azienda fondata da Jobs è meno accessibile del Pentagono e questo si sta già riflettendo sulle strategie di marketing e di lancio dei programmi del nuovo servizio streaming, su cui gli operatori di Hollywood sono tenuti all’oscuro.
Apple, inoltre, ha la reputazione di un’azienda che promuove ottimismo e stimola felicità e speranza, non adatta a produrre narrazioni incentrate su eroi negativi come i Soprano o House of Cards. Stando alle indiscrezioni provenienti da Hollywood, pare che siano già sorti dei problemi su alcune serie in lavorazione, con cambio in corsa degli autori, perché i toni sono stati giudicati troppo cupi.