Non si scappa: se sai dove sei, sei un turista. All’inizio, quando siamo ancora inesperti, ci va bene così. L’elenco dei luoghi da visitare ci rassicura e addomestica l’ansia. Ma poi prendiamo confidenza col mondo e sentiamo il bisogno di maggiore libertà. Vogliamo viaggiare fuori dalle vie battute (off the beaten track). Ma cosa significa esattamente?
Per molti, viaggiare fuori dalle vie battute significa visitare luoghi dove non ci sono altri turisti. E quindi quest’anno per esempio potreste evitare il popolarissimo Giappone, dove vanno proprio tutti. Ma la stretta applicazione di questo principio può avere conseguenze paradossali: ho incontrato i miei simili nei luoghi più remoti e sono stato invece completamente solo in qualche campo della turisticissima Venezia, soprattutto fuori stagione. Inoltre l’assenza di turisti è la miglior pubblicità per una destinazione e non appena la notizia si diffonde comincia il conto alla rovescia per la fine del mondo.
«Viaggiare lontano dalle vie battute significa trovare luoghi dei quali non parla nessuna guida turistica» sostiene per esempio il viaggiatore e regista irlandese Leon McCarron. Peccato che diverse case editrici abbiano pubblicato più di una guida dedicata proprio ai luoghi dei quali, teoricamente, non dovrebbero parlare. Per esempio Lonely Planet quest’anno suggerisce Azerbaijan, El Salvador, Camerun, Gabon o Zimbabwe a chi vuole spingersi «lontano dalle vie battute». Ma se ci andate adesso (tra un anno sarebbe diverso) probabilmente troverete parecchi compagni di viaggio che hanno seguito lo stesso consiglio (peraltro potrebbe anche essere interessante fare amicizia con chi ha gusti simili ai vostri). Anche film famosi come Into The Wild, nel celebrare la ricerca di luoghi inesplorati, finiscono per attirarci sempre più turisti.
In alternativa potreste viaggiare in forme meno organizzate, prenotando solo il volo aereo e la prima notte in albergo. Anche così tuttavia potreste scoprire che siete semplicemente su una via un po’ meno battuta. Per esempio da qualche tempo i viaggiatori indipendenti amano percorrere tutto il Vietnam in moto. Avventura pura, chiaro, ma anche così molto è già scritto prima della partenza. Per cominciare, il Paese è stretto e allungato in verticale, quindi la via è tracciata, tra Hanoi a nord e Ho Chi Minh (Saigon) a sud. Tuttavia se acquistate la moto nel sud sarà poi più facile rivenderla nel più povero nord, quindi di solito si parte da sud. La principale strada costiera poi è pesantemente trafficata da camion e bus; quasi inevitabile scegliere la via all’interno (Ho Chi Minh Trail), oltretutto con una vista spettacolare su montagne, fiumi e villaggi tradizionali. Ma se tutti seguono queste ragionevoli indicazioni, diffuse da infiniti blog, ecco che la prospettiva di incontrare un volto noto in un remoto villaggio vietnamita diventa abbastanza probabile.
E dove nascono poi tutti questi progetti di viaggi avventurosi nel sud-est asiatico? A Khao San Road, Bangkok, da oltre venticinque anni il punto di ritrovo di tutti i backpacker, reso immortale dal romanzo di Alex Garland The Beach (1996), poi trasposto in un film di successo con Leonardo DiCaprio; proprio in Khao San Road il protagonista raccoglie i primi indizi dell’esistenza di una spiaggia segreta mentre soggiorna in un hotel tanto sporco quanto economico.
Per viaggiare fuori rotta spesso serve una larga disponibilità di tempo e particolari informazioni. Se avete solo una settimana per la Cambogia, quasi inevitabilmente finirete per visitare i templi di Angkor Wat. Con più tempo a disposizione, salendo su un autobus di linea a caso, dopo qualche centinaio di chilometri potreste trovarvi davvero in mezzo al nulla. Ma basta anche solo seguire una strada sterrata: alla fine difficilmente ci troverete un villaggio vacanza…
In questi casi qualche precauzione riguardo alla propria sicurezza personale (senza derive paranoiche) è quanto mai opportuna. Così lo scrittore americano Rolf Potts racconta la sua prima esperienza off the beaten track: «Ki Gompa, un monastero storicamente isolato costruito mille anni fa, era a soli quattordici chilometri di distanza, raggiungibile da un sentiero di montagna. Mentre camminavo provavo una lieve fitta di compassione per tutti coloro che andavano a Dharamsala in cerca del Dalai Lama e si arenavano in ostelli e internet café pieni di viaggiatori venuti da Berkeley, Birmingham e Tel Aviv. Al contrario, io ero convinto che la mia avanzata finale a Ki Gompa avrebbe trasceso una simile banalità da turisti e mi avrebbe condotto nel vero cuore della spiritualità tibetana.
A meno di duecento metri di altezza, con queste felici illusioni che ancora mi galleggiavano in testa, da dietro una roccia è sbucato un mastino gigantesco che, digrignando i denti, mi si è avventato contro e mi ha strappato i pantaloni al ginocchio. Spaventato, sono corso giù fino a Kaza, con il sangue che mi colava dentro ai calzini».
Pur con tutte queste distinzioni, viaggiare al di fuori delle vie battute resta possibile anche nel mondo globale, se si resta aperti al nuovo e all’inatteso, perché la geografia del turista è piena di territori non cartografati. Tra un luogo famoso e l’altro rimangono enormi spazi vuoti dove è possibile perdersi, lasciarsi sorprendere, condividere la vita quotidiana degli abitanti. E soprattutto chi si muove a piedi, o comunque lentamente, riesce a cogliere passo dopo passo gli impercettibili cambiamenti nel paesaggio, nelle culture, negli accenti e nel cibo: la ragione e la gioia di ogni viaggio.