El viaje de las mariposas

by Claudia

Viaggiatori d’Occidente - Paesi magici e farfalle nel cuore del Messico

Se dico Messico penso alla pietra. Pietra sono le catene della Sierra Madre, vulcani e monti che dan nerbo al paese, antiche barriere tra i popoli che innalzavano piramidi; e quelle piramidi, veicolo verso le divinità e altare di sacrifici umani, erano anch’esse pietra possente, grigia come il granito, nera di lava secca. La stessa pietra plasmò poi l’architettura coloniale. Sordidi minatori con il piccone in spalla e le bisacce in groppa all’asino, resi impavidi dalla bramosia dell’oro, scarpinavano per le pietraie infestate di crotali sfidando predoni e ribelli, lontani dall’autorità vicereale. Vene d’oro e d’argento furono scoperte subito dopo la conquista, all’inizio del XVI secolo. Il paese fu esplorato e colonizzato, tracciando strade e fondando città, con sontuosi palazzi e chiese e cattedrali. 
Non lontano da Città del Messico son sparse diverse cittadine un tempo fiorenti proprio grazie all’industria mineraria: sono i pueblos mágicos così chiamati per le bellezze architettoniche e l’atmosfera del tempo andato. Come Valle de Bravo per esempio, a un centinaio di chilometri dalla capitale, sulle rive del lago Avándaro. Si viene qui per volare con il deltaplano o il parapendio, grazie alle forti correnti ascensionali presso gli speroni rocciosi dietro l’abitato: El Peñón è forse il miglior punto di decollo di tutto il Messico, assicurano gli appassionati. Miguel è un istruttore locale con il quale ho volato via col vento per la prima volta. Sospesi a trecento metri sopra l’abitato, mi racconta d’una sua avventura: durante un’ascensione di marzo s’è ritrovato tra migliaia di farfalle monarca nel pieno d’una migrazione. 
Guarda caso siamo proprio in marzo e, affascinato dal suo racconto (ma sarà vero?), mi dirigo a nord, nella zona della Riserva della biosfera creata nel 1986 e dedicata proprio alle farfalle monarca (dal 2008 patrimonio naturale protetto dall’Unesco). Il territorio della riserva è compreso tra le giurisdizioni degli Stati federati di Messico e di Michoacán. Tra colline e vallate ritrovo alcuni famosi pueblos mágicos come Angangueo, El Oro e Tlalpujahua. Le roboanti facciate barocche delle loro cattedrali raccontano l’antica prosperità delle miniere intorno. Il rumore cadenzato dei miei passi sull’acciottolato lavico delle vie, lungo porticati con colonne di pietra scura e l’intonaco color pastello, richiama alla mente lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli del viceré che irrompono nelle piazze, ora occupate da mamme che fan la spesa, mercatini e auto. 
La gente di qui, con un sorriso gentile, m’indirizza verso El Rosario, l’accesso alla Riserva. La mia guida Carlos mi conduce attraverso il bosco, carico d’una spessa coltre di farfalle: ignare dei confini della zona protetta svolazzano per ogni dove indisciplinate, quasi una prova generale della partenza ormai prossima. Carlos mi racconta di richiami ancestrali, di luoghi magnetici, di istinti primordiali, come se ne avesse avuto esperienza personale: chissà, magro e lungo com’è, forse nella sua vita precedente era un’anguilla e ha fatto il suo bel viaggio nel Mar dei Sargassi… Racconta che alla fine del mese milioni di farfalle prenderanno il volo verso le dimore estive negli Stati Uniti e nel Canada. La migrazione annuale è una scampagnata di quattromila chilometri, quasi tre mesi di viaggio la sola andata, per poi tornare sui propri passi già in settembre. 
Le farfalle han vita breve; le femmine depongono le uova per via ed è la seconda o la terza generazione a completare il grande viaggio. Il ritorno in Messico avviene invece in un’unica generazione. I nuovi nati in qualche modo conoscono già la strada e seguono le stesse rotte dei loro antenati. 
Intanto qui i rami degli alberi s’incurvano (!) sotto il peso di montagne di farfalle. Anche il terreno è pieno d’ali e bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi. Carlos parla sottovoce quasi per non disturbarle e mi racconta come i purépecha, i nativi precolombiani di questa regione, attendessero il loro arrivo per raccogliere il mais, tanto era regolare.  
S’è documentato Carlos, ma senza trovare una teoria convincente per spiegare questo miracolo: animaletti di pochi grammi che riescono a sfidare gli elementi e a compiere una missione impossibile. Carlos spiega che ricercatori americani hanno cominciato ad applicare loro dei trasmettitori adesivi, per monitorarne il volo. Così forse tra un po’ sapremo di più sulle loro rotte, le tappe e i ritmi. «Non sai quante volte ho sognato di spiccare il volo anch’io e di mescolarmi a quello sciame – sospira Carlos guardandole svolazzare in cielo – per arrivare dove vanno loro e non tornare più. Che qui è una guerra…». E sussurra, come tra sé e sé: «Questi pueblos saranno mágicos per i turisti, ma qui siamo poveri in canna e se alzi la testa te la devi vedere coi Narcos». 

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