Mea Culpa è uno spettacolo teatrale incentrato sull’uso della maschera africana ed è il frutto di una profonda ricerca teatrale operata per il conseguimento del Master of Arts in Theater (specializzazione in Physical Theater) all’Accademia Teatro Dimitri di Verscio. L’autore è Charles Nomwendé Tiendrebéogo, primo studente africano ad aver frequentato il corso per l’ottenimento del diploma: «Ciò che ricerco – ci ha detto – è una forma globale d’utilizzazione della maschera che possa comunicare cose importanti coniugando la maschera zoomorfa al racconto in un legame dove l’animale è l’elemento chiave che rappresenta tutti, dal popolo al potere, che mi permette di parlare della gerarchia nella mia società e delle azioni politiche a cui è confrontata».
Lo spettacolo creato e messo in scena dall’attore, nella sua apparente semplicità, mette in campo quesiti complessi e determinanti, cruciali per comprendere la società africana di oggi con lo sguardo rivolto al futuro. Già a partire dalla prima scena dove troviamo il guardiano di un cimitero che, vittima delle sue superstizioni, si confronta con il peso di una tradizione ancestrale e misteriosa. Sono i fantasmi di esseri che una volta vivevano sulla terra e che adesso si manifestano attraverso apparizioni di maschere zoomorfe in un intreccio a cavallo tra la vita e la morte. È il teatro dell’anima di esseri invisibili, personalità forti e inquietanti che imprigionano con il loro peso simbolico l’uomo e la società, influenzandone il comportamento e il destino alla continua ricerca della libertà.
Ma Mea Culpa mette in scena anche domande coraggiose, riflessioni sull’identità africana ostaggio di interessi di potere, di una politica di sfruttamento che approfitta di paure generate dalla superstizione e tenute vive per controllare e soggiogare il popolo. Lo spettacolo è stato creato e perfezionato nel quadro della formazione a Malovice (Cechia) con la collaborazione del Teatro Divadlo Continuo diretto da Pavel Štourač e si avvale delle maschere costruite da Colette Roy e delle musiche di Elia Moretti.
Da quando è stato oggetto d’esame per il Master, Mea Culpa è stato proposto diverse volte al pubblico teatrale e nelle scuole suscitando consensi e curiosità. Spesso infatti, dopo la rappresentazione, Charles ha dovuto rispondere alle domande di chi è stato incuriosito dalla sua proposta. Lo abbiamo incontrato alla vigilia della sua partenza e ci siamo fatti raccontare la sua storia, la sua filosofia teatrale.
«Sono nato nel 1985 a Béréba, un piccolo villaggio della provincia di Tuy nel Burkina Faso. Mio padre era un funzionario e per lavoro si spostava frequentemente nei vari villaggi. Io lo seguivo. In famiglia eravamo tre fratelli e una sorella. Mia mamma è casalinga e oggi vive con uno dei miei fratelli. Ho iniziato ad andare a scuola a 7 anni come tutti. In seguito ho avuto l’opportunità di continuare gli studi secondari in un seminario dove ho ottenuto il diploma di maturità. Prima di decidere di lanciarmi nel teatro sono stato tre anni all’università anni per studiare diritto».
Quando è iniziato il tuo interesse per il teatro?
È difficile stabilirlo: quando te ne rendi conto ti ha ormai conquistato. All’origine ci sono stati i movimenti religiosi. Io sono cattolico ma nel mio Paese ci sono anche musulmani, protestanti, ma alla base siamo tutti animisti. Fin da piccolo partecipavo al movimento cattolico CV-AV (Coeur voyant âme voyante) e già in quell’ambito c’erano molte animazioni con musica, canti, poesie e racconti: molto probabilmente è lì che ho iniziato a scoprire la mia vocazione teatrale. Ho poi sviluppato questo interesse durante gli anni di seminario, collaborando a un comitato culturale che ho anche coordinato, dove ognuno di noi aveva la possibilità di svolgere diverse attività, anche teatrali.
Uno in particolare creava degli sketches che hanno alimentato il mio gusto per il teatro. All’università ho provato a continuare partecipando a diversi gruppi teatrali con rappresentazioni destinate alla Cité Universitaire. Finché un giorno qualcuno è venuto a dirmi che nel Burkina Faso era stata creata una nuova scuola di teatro: il CFRAV (Centre de Formation et de Recherche en Arts Vivants), una scuola di Jean Pierre Guingané situata nello spazio culturale Gambidi a Ouagadougou, la capitale. Così l’ho frequentata per tre anni ottenendo la licenza professionale. Ho scoperto il teatro, quello professionale, realizzato in una vera sala, con tanto di luci, regia e attori dopo aver visto uno spettacolo.
Ricordi il titolo?
Era un allestimento di Le soleil des Indipendences dal romanzo dello scrittore ivoriano Ahmadou Kourouma messo in scena da Moussa Sanou, un regista di Bobo-Dioulasso. In me è successo qualcosa e ho capito che potevo fare del teatro un vero e proprio mestiere. Così mi sono lanciato senza riflettere troppo. Il primo allestimento a cui ho preso parte è stato Storia di un soldato» dall’opera di Stravinski messo in scena da Luca Fusi (docente principale al CFRAV) e Manfredo Rutelli. Lo spettacolo ha avuto successo, è stato replicato molte volte nel Burkina Faso e abbiamo realizzato una tournée europea, in particolare al Teatro Dimitri di Verscio. Per me è stata una scoperta, anche se all’epoca non avrei immaginato di tornarci come studente.
Terminata la Scuola ho avuto la fortuna di incontrare Ildevert Méda che chiamiamo affettuosamente il maestro. È un regista e scrittore berkinabé molto conosciuto sia per il cinema sia per il teatro. È insegnante e ha adottato un metodo particolare per far comprendere il teatro ai giovani. Per riuscirci occorre avere molta pazienza. La sua tecnica consiste nel prendere un giovane che lo deve seguire in tutte le sue attività per almeno cinque anni.
All’inizio può sembrare sconcertante. Lui spesso fa conversazioni, tiene dei corsi in diversi luoghi, dalle scuole di cinema all’Università o nella sua scuola. Tu devi solo seguirlo, ascoltare, imparare: ti fa leggere dei libri che prende dalla sua biblioteca, da Shakespeare a Molière. Mentre ero coinvolto in questo processo didattico ho avuto la possibilità di recitare in compagnie professionali con la sua regia o quella di Luca Fusi.
Sono già trascorsi cinque anni?
Non ancora, ma mi piacerebbe continuare anche oltre. Mi sono molto affezionato a quell’uomo, per me è un riferimento, un maestro. Oltre all’aspetto artistico riesce a trasmettere una forte umanità e un’altra visione dell’arte, partecipe dell’evoluzione della società attraverso il teatro. Mi è particolarmente piaciuto il fatto che non adopera molte parole per farsi capire ma utilizza semplicemente il suo comportamento. Méda lavora in simbiosi con un gruppo che si chiama «Le cartel» dove tutti i componenti sono persone impressionanti per la loro attività che mi hanno ulteriormente motivato nel mio percorso di formazione. Durante la scuola c’è stato un festival organizzato dal CFRAV. È il FITMO (Festival international de théâtre et de marionnettes de Ouagadougou), uno dei più grandi nel Burkina Faso.
Per l’occasione stavamo preparando uno spettacolo Il signor Puntila e il suo servo Matti di Brecht con un regista venuto dalla Germania che però è ripartito presto: era molto anziano e non sopportava il caldo africano. È stato così sostituito da Amadou Mandé. Lo spettacolo ha avuto successo e ha poi realizzato una tournée in Burkina Faso e nel Mali.
Ma è stato in occasione della preparazione del FITMO che Davide Giovansana, venuto per tenere un workshop sulle maschere della Commedia dell’Arte, mi ha parlato dell’Accademia di Verscio e della possibilità di proseguire la mia formazione con un Master. Conoscevo già Dimitri e in occasione del festival ho potuto ammirare la compagnia degli allievi che si erano diplomati a Verscio con lo spettacolo Spettatori con la regia di Pavel Štourac.
Come è stato possibile venire in Svizzera per studiare all’Accademia?
Non è stato semplice trovare delle soluzioni. Già a partire dall’ottenimento dei permessi di soggiorno… Per essere ammesso ho fatto un’audizione via Skype, poi ho spedito il mio dossier con il progetto sul quale intendevo lavorare per ottenere il Master. Restava da risolvere la questione finanziaria: dove trovare i soldi per andare a studiare in Svizzera? Ancora una volta mi ha aiutato la fortuna. Esiste in Ticino l’associazione «Beogo», gruppo di solidarietà con il Burkina Faso, che attraverso raccolte caritative cerca anche di costruire scuole e pozzi per la raccolta dell’acqua. Ma non solo. Cerca anche di fornire delle borse di studio.
Non era però evidente per uno che vuole studiare teatro… generalmente le borse sono destinate allo studio di materie scientifiche o altro. Ho infine potuto venire anche grazie all’aiuto di Corinna Vitale, decana dell’Accademia, che si è battuta per l’ottenimento di fondi supplementari. Nel giugno 2018 ho potuto così ottenere il Master presentando Mea Culpa, un lavoro incentrato su una riflessione audace per trovare una formula che porti la maschera africana sulla scena senza alterare il suo aspetto sacro e religioso, senza banalizzare ma dando forza alla tradizione per resistere al tempo della modernità.
Puoi spiegarti meglio?
In Burkina Faso la tradizione esige che una persona, prima di poter indossare una maschera, deve essere iniziata. Io non lo sono ma chi l’ha fatto deve partire per tre mesi e affrontare diverse prove e attività per poter essere dichiarato «uomo» e abilitato alla maschera. Inoltre per poterla indossare devi anche far parte di una certa famiglia.
Ovviamente al giorno d’oggi ben pochi restano al villaggio rinunciando alla scolarità e a uno status superiore per poter diventare un iniziato. A lungo andare questa tradizione è destinata a subire una mutazione e a scomparire, ma piuttosto che lasciare la maschera esposta nei musei, è meglio trovare altre soluzioni. Sempre partendo dal principio che per noi la maschera è vivente nel momento in cui viene indossata. Senza avere un’anima la maschera rimane una semplice decorazione.
Pertanto occorre darle vita per dare forza a tutto il suo significato. E anziché assistere alla fine della tradizione possiamo sostenerla. Senza sostituirla con qualcos’altro ma facendo emergere nuovi elementi – come il suo valore interiore – e portarli a teatro. La maschera tradizionale serviva per proteggere l’individuo, era simbolo di giustizia e di controllo pur avendo anche un ruolo di intrattenimento e distrazione. In altre parole, nella maschera c’è il nostro teatro.