La speranza del riscatto

Veit Kolbe ha appena ventiquattro anni e un’esperienza pesante alle spalle. È stato ferito da una scheggia di granata sul fronte russo, poi curato in vari ospedali militari ed ora è rientrato a Vienna in convalescenza. Non pensa, come suo padre, di vivere in tempi importanti, anzi, ne ha abbastanza di tutta quella follia e non esita a lasciare la famiglia per trasferirsi, il giorno di capodanno del 1944, in un piccolo paesino del Salzkammergut, a Mondsee, dove c’è uno zio poliziotto. Una località tranquilla ma non isolata, e soprattutto lontana dalle vie militari.
Da quella provincia un po’ antiquata si odono solo gli echi della guerra, le notizie giungono attutite e la vita prosegue quasi indisturbata con un ritmo lento e monotono. È questo l’osservatorio che l’austriaco Arno Geiger ha scelto per il suo ultimo romanzo, Sotto la parete del drago, proposto da Bompiani nell’ottima versione di Giovanna Agabio, per cogliere lo smarrimento di un’epoca e la sua rinascita nel segno del dialogo e dell’amore.
Ancora una volta l’austriaco Arno Geiger, nato a Bregenz nel 1968, è riuscito ad evocare drammatici momenti della storia del Novecento nei gesti della quotidianità senza impalcature ideologiche o eccessivi richiami storici. Come anni prima nella saga familiare Va tutto bene (Bompiani 2008), dove la percezione dolorosa del tempo che dissolve e frantuma era colta con leggerezza e una punta d’ironia nel gioco contrapposto delle solitudini.
A distanza di tempo il suo linguaggio, evocatore di molteplici sensibilità, si è fatto ancora più morbido e avvolgente, capace di trasformare un giovane reduce nel consapevole testimone e avversario di una feroce barbarie. Veit ha propensione per la scrittura e tiene un diario che aggiorna il lettore su eventi e figure di quell’angolo remoto. A cominciare da Margot, la donna di Darmstadt, una tedesca del Reich sposata a un austriaco di Linz da tempo al fronte. Lei e la figlia Lilo di pochi mesi vivono in una stanzetta accanto a quella del soldato. E poi c’è l’insegnante di un gruppo di ragazze viennesi della scuola media, Grete Bildstein, che Veit guarda con interesse ma senza successo. Come già in altri romanzi (ad esempio Tutto su Sally del 2015) anche qui le donne appaiono emotivamente più stabili e mature. Resta il buco nero dell’affittacamere, una sorta di Cerbero, intrigante e astiosa, sposata a un nazista violento e sbruffone.
Sul fronte opposto emerge la figura più originale di tutto il romanzo: il giardiniere Roman Raimund Perttes detto il «brasiliano», che in quel lontano paese aveva fatto il biologo dietista, e nutre una nostalgia infinita per l’allegria della sua gente, l’intensità dei colori, il paesaggio di sogno. Un uomo scarno con il naso adunco, freddo e introverso, che coltiva, tra le altre cose, splendide orchidee. Col tempo Veit diventerà il suo confidente scoprendo che dietro quell’individuo taciturno si nasconde un convinto antinazista, che rifiuta di vivere in una società di assassini, non esita a insultare il Führer e a dichiarare apertamente che «l’orribile europeismo in cui l’odio è considerato una conquista culturale, ha fatto il suo tempo». Verrà arrestato e trascorrerà alcuni mesi in carcere, mentre Veit e Margot, la cui amicizia si fa via via più tenera e affettuosa, diventano gli attivi custodi del suo vivaio.
Il loro amore matura in una sorta di apparente idillio, dove tuttavia la scomparsa della giovane Nanni, una delle ragazze della colonia, crea un senso di generale inquietudine e una certa tensione narrativa. Ma le voci del mondo arrivano anche in quel piccolo borgo in riva al lago Mondsee: i sovietici che avanzano e a maggio occupano la Crimea, gli alleati che sbarcano in Normandia. E poi le lettere di amici e parenti che Geiger inserisce nel romanzo come veri e propri capitoli. La guerra rimbalza, sia pure attutita, tra le case del paese e nei cuori dei protagonisti. Margot si dispera alla notizia comunicatale dalla madre che gran parte della sua città, Darmstadt, è stata distrutta, amici e parenti scomparsi, un’esistenza collettiva sconvolta dalle inevitabili, drammatiche conseguenze della violenza nazista.
E il destino della povera Nanni il cui cadavere è stato ritrovato sul monte sovrastante il paese, la parete del drago, si condensa nelle mille riflessioni di sua madre e nelle parole intense e accorate del giovane cugino, che nutriva per quell’adolescente un profondo affetto. Sono storie che animano la scena della narrazione e la proiettano su schermi diversi. Come le lettere dell’ebreo Oskar Meyer alla cugina Jeannette che lo aveva esortato a lasciare tempestivamente Vienna e la stessa Europa.
Andrà a Budapest con la moglie Wally e il figlio Georgili, che però un bel giorno scompariranno per finire poi ad Auschwitz. Anche nel piccolo idillio di Mondsee s’insinua il dolore del mondo perché il male – sembra suggerire il romanzo con i suoi molti tasselli – è pervasivo e totale. Non a caso il soldato Veit a più riprese viene colto da improvvise crisi di panico, dove ancora risuona l’eco della guerra al fronte. Aveva ragione il brasiliano a dire: «Il cuore si placa soltanto quando siamo diventati quello che dobbiamo essere».
In una sorta di iniziazione, l’intensa, incalzante scrittura di Geiger trasforma attraverso l’esperienza dolcissima dell’amore per Margot e Lilo, la natura stessa del protagonista ormai contrario a ogni forma sopraffazione. Forse questo è il senso dell’impulso che lo spinge a uccidere lo zio per mettere al sicuro l’amico brasiliano. Richiamato al fronte Veit è disposto perfino a falsificare documenti pur di rimandare, inutilmente, la partenza.
Ma poi, ci aggiorna l’autore in un paio di note supplementari che sembrano suggerire l’ingannevole idea che il romanzo sia costruito su una storia vera, il nostro eroe tornerà a casa pochi mesi dopo, nel 1945, e l’anno seguente sposerà Margot ormai divorziata. Fantasia e supposta realtà si danno la mano per lasciare inalterata la speranza di un riscatto. Nell’idillio ombreggiato dalle tragedie circostanti e da un dolore incancellabile il giovane Veit ha imparato a conoscere un altro mondo e forse ora il suo cuore davvero si placherà per sempre.

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