La rete si apre al resto dell’umanità

Tenetevi forte perché la seconda metà dell’umanità, quella finora esclusa dalle gioie e dai dolori della Rete, sta per accedere a Internet. Immaginate che cosa potrebbe capitare alla società globale del nord e del sud del mondo quando altri due miliardi di persone che vivono in paesi poveri e poco sviluppati cominceranno a comunicare via chat, a divertirsi sui social media, a incontrarsi attraverso le piattaforme digitali. «Non abbiamo visto ancora niente», ha titolato l’«Economist».
Sarà bene, dunque, non sottovalutare l’impatto degli oltre settecento milioni di nuovi utenti di Internet previsti nei prossimi sette anni, senza dimenticare le nuove e gigantesche opportunità di business che si creeranno sia per la Silicon Valley sia per chi costruisce infrastrutture tecnologiche sia per i produttori di smartphone. Ma è ancora più interessante, e preoccupante, iniziare a valutare l’effetto che Internet avrà sulle comunità e sugli individui fin qui senza collegamento al World Wide Web. Questa seconda metà dell’umanità si affaccia alla Rete direttamente con il mobile, senza passare dai computer e senza alcuna cultura informatica, circostanza che cambierà in modo radicale la società, la politica e l’economia di paesi, comunità e culture.
Le app e i social porteranno grandi vantaggi in termini di conoscenza e di informazione in vari campi, dalla coltivazione dei prodotti agricoli che beneficerà delle previsioni meteo, fino all’istruzione di base che nei posti più remoti della Terra potrà sopperire alla mancanza dei libri di testo. Intere regioni del pianeta che non parlano né inglese né cinese, in Asia e in Africa, saranno investite dalla rivoluzione digitale e tutto questo accade mentre le società avanzate affrontano timidamente gli effetti perversi dell’assenza di privacy e della manipolazione dei dati che Internet si porta con sé.
Per i paesi senza istituzioni politiche e sociali strutturate il rischio è di segno diverso, rispetto a quello nostrano: chi arriva a una connessione Internet soltanto adesso, senza corpi intermedi a fare da filtro e senza un minimo di cultura digitale, rischia seriamente di passare dalla sobrietà alla dipendenza in pochissimo tempo, con la concreta possibilità che gli aspetti ludici della Rete prevalgano su quelli legati alla comunicazione e al lavoro e contribuiscano a creare un sistema economico molto simile a un gigantesco passatempo globale.
I paesi più sviluppati hanno capito che le sfide della società digitale non sono più un tema di esclusiva pertinenza degli addetti ai lavori, come si credeva fino a poco tempo fa, tanto che alla prossima riunione del G20, il 28 e il 29 giugno a Osaka, in Giappone, inizieranno a parlarne apertamente. In precedenza, le discussioni del G20 su questi temi si sono focalizzate su come l’innovazione digitale potesse aiutare a guidare la crescita economica, ma per la prima volta, sotto la presidenza giapponese, al centro del dibattito ci sarà il ruolo dei dati non solo nel sistema economico del XXI secolo ma anche del benessere sociale dei cittadini.
 Il primo ministro giapponese Shinzo Abe ne aveva già fatto cenno al World Economic Forum di Davos, lo scorso gennaio, introducendo il concetto di «Data Free Flow with Trust», libera circolazione dei dati con responsabilità. Dati personali, intelligenza artificiale, Internet delle Cose e robotica sono gli elementi di quella che il leader giapponese chiama «società 5.0», fondata sulla centralità umana e sull’integrazione dello spazio virtuale, il cyberspace, con quello fisico e reale. L’Unione europea è stata la prima istituzione politica ad affrontare il tema dei dati, che ora dopo la turbolenta e non ancora risolta esperienza del 2016 comincia a diventare un argomento di dibattito anche nella campagna elettorale presidenziale 2020 degli Stati Uniti. Un report del Center for Strategic & International Studies (Csis) di Washington, elaborato in tempo per il G20, invita i soggetti internazionali a riscrivere le regole e la governance sui dati, giudicati inadeguati alle sfide del nostro tempo.
I principi di azione, secondo il Csis, sono tre: dare ai cittadini il potere di compiere scelte informate sul modo in cui i dati sono generati, condivisi e usati; proteggere i diritti umani, compreso il diritto alla privacy, e utilizzare i dati e i sistemi digitali per promuovere i diritti dei cittadini; e, infine, salvaguardare la capacità degli innovatori, degli imprenditori e dei fornitori dei servizi di raccogliere, condividere e usare i dati a meno che non violino i due principi precedenti. Sono regole di buon senso e urgenti per la società digitale in cui viviamo, ma anche una protezione preventiva per la seconda metà dell’umanità che si appresta a raggiungerci online.

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