Gli asini di Fes

by Claudia

Viaggiatori d’Occidente - Il Marocco risorge attraverso il turismo

La Medina di Fes, antica città imperiale del Marocco, è un labirinto claustrofobico. Le case sono simili a torri, addossate le une alle altre, separate da vicoli stretti dove perdersi è inevitabile. I muri esterni sono senza finestre, la casa (dar) si sviluppa in verticale attorno a un piccolo cortile interno. In basso, la frescura di sala e cucina per le ore più calde del giorno, in alto, una terrazza inondata di sole per vivere nella luce radente di mattini e tramonti. Può capitare tuttavia di bussare a una porta simile a tante altre e trovarsi d’improvviso in un riad, la lussuosa dimora di una famiglia importante. La corte centrale diventa allora un grande giardino con fontane e alberi di arance, un’apparizione sorprendente in una città quasi del tutto priva di verde.
Se i pochi alberi a Fes devono contendere lo spazio alle case, gli animali sono più numerosi in questa selva di cemento. Capita spesso la mattina di svegliarsi al canto di un gallo. Le galline vengono vendute vive a 19 dirham (un paio di franchi), ma si tira loro il collo sul momento dietro richiesta dell’acquirente. A dire il vero qualche anno fa sarebbe stato normale anche da noi, ma ora scappiamo a gambe levate quando succede. Colombi e altri uccelli attendono il compratore nelle gabbie appese davanti a un negozio. Cani assai pochi, l’Islam non li ama. I gatti in compenso sono infiniti, magri e stentati ma vitali, travolti dal vortice della riproduzione: piccole gatte bambine si prendono cura con straordinaria dedizione di minuscoli micini.
E poi ci sono gli asini, indispensabili nelle strette vie della Medina. A loro sono affidati tutti i trasporti: merci per i negozi o materiali per i cantieri. Una mattina mi sono svegliato presto sentendo il raglio di un asino salire dalla strada. Mi sono affacciato dall’alto della terrazza e ho visto nella penombra la sagoma dell’asino e del suo conducente, impegnati nella raccolta della spazzatura. Ogni sera la gente di Fes mette fuori dalla porta il sacchetto di rifiuti. Nella notte i gatti li lacerano tutti, nessuno escluso, per nutrirsi degli avanzi.
Non per questo si cerca un sistema diverso. Poi all’alba arriva lo spazzino col suo compagno. L’asino ha due grandi ceste ai lati del basto dove vanno a finire tutti i rifiuti, dopo un attento vaglio per recuperare tutto quello che può avere un pur minimo valore. Asino e padrone formano una coppia umile quanto dignitosa. Comunicano tra loro con gesti minimi e parole misurate, forse accomunati dalla poca considerazione sociale. Io invece sento di volergli già bene e nascondo lo zucchero della colazione per gli asini spazzini. Appoggio la zolletta sul palmo della mano ben aperta e l’asino la prende con grande delicatezza.
L’amico asino è stato la mia introduzione a questo viaggio nelle città imperiali del Marocco, Fes e Marrakech, così comune da non meritare un racconto. Curioso: quando pensai a questa destinazione, nel cuore dell’inverno, coltivavo il senso di una personale riscoperta. Certo, il Marocco non è una novità: ha investito molto in questo settore e per primo ha invertito la tendenza negativa degli ultimi anni, dopo gli attentati terroristici nel Nord Africa.
Già il 2018 è stato un ottimo anno, nonostante la brutale uccisione di due turiste scandinave sui Monti dell’Atlante. Ma era difficile immaginare il successo di questo 2019: il Marocco è di gran moda e parecchi amici mi hanno già preceduto o seguiranno, come scopro ogni giorno attraverso i social. Perché? Difficile rispondere (come anche nel caso del Giappone, l’altra meta prediletta dai viaggiatori in questo 2019). Certo lo scorso anno Madonna ha festeggiato il suo sessantesimo compleanno a Marrakech con un party lungo tre giorni, del quale si è molto parlato; nella stessa città, nel cinquecentesco palazzo di El Badi, a fine aprile Dior ha organizzato una sua sfilata, rilanciata dall’eco sempre più efficace dei blogger scatenati. Ma hanno un loro peso anche sotterranee, cicliche correnti del gusto.
Si arriva qui con le compagnie low cost in poco più di due ore di volo, come una qualunque altra città europea dove passare un tranquillo fine settimana. I controlli doganali sono ben poca cosa in un Paese felice di accogliere turisti. Eppure quando il Marocco entra nel discorso pubblico la distanza fisica sembra aumentare, barriere culturali e religiose si levano. Il potentissimo passaporto svizzero apre le porte di 167 Paesi senza visto, come nel caso del Marocco, o con un semplice visto all’ingresso (fonte: Passport Index). Per i marocchini invece prendere parte al turismo internazionale è una faccenda molto più complicata. Il loro passaporto marocchino è accettato senza visto solo in 71 Paesi (la Svizzera non è tra questi) e avere un visto non è per nulla scontato. Ogni tentativo di recarsi all’estero è guardato infatti con sospetto, nel timore di un viaggio di sola andata.
Il Marocco è un Paese povero e popoloso. Da qui molti sono partiti in passato alla volta dell’Europa ma negli ultimi anni la nostra disponibilità ad accogliere immigrati è molto diminuita. In alternativa potremmo importare prodotti agricoli: il Marocco naturalmente soffre la penuria d’acqua, ma nelle buone annate produce frutta e verdura di qualità. Anche qui però da qualche tempo preferiamo aiutare i nostri contadini e consideriamo – giustamente – il «Km 0» un modello da seguire. Resta dunque il turismo.
La nostra presenza sostiene l’economia locale dando lavoro ad alberghi, ristoranti e artigiani, specie se avremo l’accortezza di favorire i piccoli negozi di quartiere negli acquisti. L’emergenza climatica sconsiglia viaggi aerei frequenti, meglio quindi pensare a un soggiorno di almeno un paio di settimane in un Paese dove ogni regione è profondamente diversa dalle altre: la storia a Fes, gli artisti e il bel mondo a Marrakech, i surfisti internazionali a Essaouira, sulla costa, le comunità berbere nelle montagne dell’Atlante ancora radicate nelle loro tradizioni.
I servizi pubblici funzionano, la sicurezza è garantita, la popolazione è cordiale. Nonostante il suo aspetto leggero e svagato, il turismo è un grande strumento di cooperazione internazionale. Salvare il mondo andando in vacanza: non è un sogno?

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