Vivere lontano dalla patria

Il tema della vita lontano dalla patria compare per la prima volta nella seconda opera, in ordine di tempo, della letteratura europea a noi pervenuta: l’Odissea di Omero. Il suo protagonista (Odisseo/Ulisse) si è allontanato dalla patria, al pari degli altri eroi greci dell’Iliade (l’altro poema omerico, presupposto dall’Odissea) e dei loro sottoposti, per partecipare a una guerra: la spedizione panellenica contro la città di Troia (situata nell’Asia Minore settentrionale) organizzata da Agamennone, re di Micene e di Argo, secondo il mito allo scopo di vendicare il fratello Menelao, a cui il principe troiano Paride aveva rapito la moglie Elena; secondo gli storici moderni, per assicurare alle città greche il controllo dello stretto dei Dardanelli, posizione strategica per gli scambi commerciali.
Ai dieci anni della guerra (è il dato tradizionale) se ne aggiungeranno altri dieci, richiesti dal rocambolesco viaggio di ritorno per mare da Troia ad Itaca, almeno in parte dilatato dallo stesso spirito avventuroso dell’eroe e dal suo desiderio di conoscenza. Ma alla fine sarà la nostalgia degli affetti familiari e della patria a prevalere su ogni altra pulsione («vedere il dì del ritorno» è un leit motiv ricorrente nell’Odissea), e ciò consentirà a Odisseo di recuperare quell’originaria terrestrità e quell’«anima contadina» che sono state giustamente evidenziate da Francesco Guccini nella prima strofa del suo Odysseus, dove il cantautore così fa parlare l’eroe: «Bisogna che lo affermi fortemente / che, certo, non appartenevo al mare / anche se dei d’Olimpo e umana gente / mi sospinsero un giorno a navigare».
L’Odisseo omerico torna dunque a baciare la sua «petrosa Itaca» (Foscolo), diversamente dall’Ulisse dantesco che varca le colonne d’Ercole e si inabissa. Se l’Odissea può essere considerata «l’epopea fondatrice della nostalgia» (M. Kundera, L’ignoranza, trad. it., Adelphi, Milano 2001, p. 11) e Odisseo/Ulisse l’archetipo dell’eroe nostalgico, Enea è l’archetipo dell’esule, del migrante costretto dagli eventi ad abbandonare la propria patria e ad andarne alla ricerca di una nuova. Anche in questo caso l’abbandono forzato della patria è causato da una guerra, e si tratta sempre della guerra di Troia.
È notte, e la città è stata ormai data alla fiamme dai Greci. Enea vorrebbe trattenersi a tentare un’ultima, disperata difesa. Ma sono dapprima l’ombra del defunto Ettore, apparsogli in sogno, poi la stessa madre Venere ad esortarlo, con parole molto simili, a fuggire: il monito di Ettore «Oh, fuggi, figlio di una dea, e sottraiti a queste fiamme» (Virgilio, Eneide, II, 289) è ripreso più avanti dalla dea: «Sottraiti, figlio, alla fuga e poni fine al travaglio» (Eneide, II, 619). Nel momento di abbandonare Didone per riprendere il viaggio, Enea ribadirà di essere sospinto verso l’Italia dalla volontà divina, giacché, se fosse dipeso da lui, avrebbe rifondato Troia nello stesso sito: «Se i fati mi permettessero di condurre la vita secondo i miei auspici e di ricomporre gli affanni a modo mio, la città di Troia in primo luogo e le care reliquie dei miei onorerei; […] e con la mia mano avrei rifondato per i vinti una nuova Pergamo». (Virgilio, Eneide, II, 340-344).
Al di là dell’esperienza condivisa del viaggio avventuroso da Troia verso Occidente e del fatto che il viaggio di Enea sia stato costruito letterariamente da Virgilio sul modello dell’Odissea, Ulisse ed Enea sono dunque due figure speculari, la cui antinomia di fondo è stata felicemente sintetizzata da Carlo Ossola: «Ulisse è peregrino […], ma torna e tutto ritrova: la patria, la sposa, il figlio, la nutrice, il cane, il letto. Il viaggio ha confermato l’origine. Enea, al contrario, non è neppure uscito da Troia e già ha smarrito la sposa. Calipso provvede di conforti l’eroe che parte, mentre Didone maledice chi la tradisce e si uccide. Tutto, dalla parte di Enea, è perdita; parte, carico del padre, per non fare più ritorno, e la fine stessa del poema è morte» (L’Europa unita? Vedi alle voci Dante e Joice, in «Corriere della Sera», 8 gennaio 2000, p. 29).

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