Poveri esploratori

by Claudia

Viaggiatori d’Occidente - Un controverso modo di andar per il mondo senza denaro

Li chiamano begpacker, con un gioco di parole tra backpacker (viaggiatore zaino in spalla) e beggar (mendicante). È una nuova tendenza ben visibile nel sud-est asiatico, la meta preferita dei giovani viaggiatori indipendenti. Li vedi agli angoli delle strade con dei rozzi cartelli in due lingue (inglese e locale) a chiedere l’elemosina ai compagni di viaggio o ai passanti per pagare le spese di viaggio. Alcuni si mostrano bendati e offrono «abbracci gratuiti» (ma una scatola è pronta per l’offerta). Altri vendono cartoline o gingilli, oppure suonano, utilizzando però costosi strumenti musicali e amplificatori; è già meglio e qualcuno ci sa anche fare col pubblico, peccato siano tutti comportamenti vietati se si è entrati con un visto turistico. 
La maggior parte di loro viene da ricchi Paesi occidentali: australiani, inglesi, americani o russi. In Thailandia i locali osservano stupiti questi farang (come sono chiamati gli stranieri) così diversi dagli altri e caricano in rete le foto. Qualcuno dà qualcosa, molti reagiscono con irritazione. A Bali vengono segnalati alle rispettive ambasciate e ora si applicano anche a loro le leggi contro l’accattonaggio pensate per proteggere i turisti dai fastidi. A Hong Kong sono stati allontanati con nuove regole. In Thailandia al momento dell’ingresso si deve provare di avere con sé abbastanza denaro per mantenersi (e in questo modo anche gli altri viaggiatori pagano il comportamento sbagliato di pochi). 
Qualcuno finge di aver perso il passaporto o di essere stato derubato, la maggior parte però ammette candidamente la propria intenzione di viaggiare a spese altrui. Del resto da tempo in rete sono numerose le raccolte di fondi per viaggi intorno al mondo, su siti specializzati come Kickstarter o GoFundMe. E tuttavia la scelta di atterrare in Paesi poveri senza le risorse per sostenersi viene giustamente considerata di cattivo gusto, se non eticamente scorretta o semplicemente disonesta. Un caso esemplare è quello del giovane ben vestito che chiede soldi per il suo viaggio in un quartiere popolare di Bangkok duramente colpito dal tifone e impegnato nella ricostruzione. 
In Asia viaggiare in economia non è difficile: guesthouse e street food sono a portata di mano e il trasporto pubblico è efficiente ed economico. Inoltre con un poco di buona volontà è possibile guadagnare abbastanza con un normale lavoro stagionale: babysitter, barista, raccolta della frutta, lezioni di lingua eccetera. In termini più generali, ha senso chiedere di finanziare il proprio viaggio a chi – la maggior parte della popolazione mondiale – un viaggio a lunga distanza non può proprio permetterselo?
Per evitare queste brutte figure basta ricordarsi chi siamo. Possiamo viaggiare fuori dalla nostra comfort zone lasciandoci ogni comodità alle spalle, in volontaria povertà, perché godiamo dei benefici dello stato sociale, perché le famiglie d’origine non hanno bisogno del nostro lavoro, perché abbiamo sempre un porto sicuro al quale fare ritorno se qualcosa andasse davvero storto. 
Potremmo considerare la cultura dei begpacker come una degenerazione di un motivo ben presente nella mentalità dei viaggiatori indipendenti sin dagli anni Settanta. I backpacker si vantano di viaggiare spendendo pochissimo e di contrattare ferocemente su ogni acquisto, anche quando dispongono di risorse adeguate: è una sfida con sé stessi e un modo per mostrare la propria esperienza, pagando meno dei novellini. Va anche detto per onestà che queste spese, pur ridotte, restano interamente sul territorio, a differenza degli altri turisti.
In qualche caso il confine è più sfumato: per esempio due giovani viaggiatori tedeschi, Anna Karg e il suo fidanzato Enoch Orious, per scelta di vita non toccano mai denaro, neppure a casa. Almeno sono coerenti. Ora cercano di arrivare in Nuova Zelanda solo affidandosi a doni in natura ricevuti dagli sconosciuti. E indubbiamente, eliminando la dimensione del denaro, la pratica diventa più socialmente accettabile. 
A volte invece un fine umanitario giustifica la scelta. Laura Bingham (www.laurabingham.org), una ventenne inglese, nel 2016 ha attraversato tutto il Sud America in bicicletta (settemila chilometri) senza un soldo. Laura voleva far capire com’è la vita di chi non ha nessuna sicurezza e dipende interamente dalla gentilezza altrui, al fine di raccogliere fondi per un’organizzazione che assiste ragazze in difficoltà in Paraguay. 
L’impresa è riuscita ma non è stato un gioco. Molti le hanno offerto cibo o alloggio senza chiedere nulla in cambio ma nei momenti peggiori ha dovuto frugare nei bidoni della spazzatura o mangiare gli avanzi dei clienti in un ristorante. Le privazioni tuttavia hanno rafforzato il suo carattere e due anni dopo ha sceso in kayak con un team di sole donne l’intero corso del fiume Essequibo, mille chilometri fino all’Atlantico, poco conosciuto nonostante sia uno dei fiumi più lunghi del Sud America. E questa volta senza chiedere aiuto a nessuno. 

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