La rivincita di Venezia

Lo spionaggio e le separazioni sono tra i temi che accomunano alcuni dei più significativi film visti alla 76esima Mostra del cinema di Venezia, conclusasi sabato. Una rassegna interessante e piuttosto varia sia nel concorso principale sia nelle sezioni collaterali, ma con pochi picchi e senza grandi scoperte. I due film che hanno messo più d’accordo addetti ai lavori e pubblico sono stati J’accuse di Roman Polanski e Joker di Todd Phillips.
Nel primo, il grande regista polacco ha adattato il romanzo di Robert Harris sulla vicenda dell’ufficiale ebreo francese Alfred Dreyfus, che fu ingiustamente condannato per tradimento a fine ’800, più volte processato fino allo scagionamento. I fatti sono filtrati attraverso il tenente colonnello Picquart, capo di una sezione dei servizi segreti, che si trova in mano i documenti portati come prova e comincia a dubitare del lavoro delle spie, ben prima della celebre lettera pubblica dello scrittore Emile Zola. Il protagonista (il bravo Jean Dujardin) è un militare retto, fedele servitore dello Stato, che non basa la giustizia sui pregiudizi in un momento invece contraddistinto da opinione pubblica esacerbata, clima di caccia allo straniero e sentimenti anti-ebraici. Una sontuosa ricostruzione del passato per un film che parla molto dell’oggi.
È un Joker senza Batman, con Bruce Wayne che si vede bambino, nella pellicola che immagina le origini del personaggio dei fumetti DC. Arthur Fleck lavora come clown, ma sogna di fare il comico, soprattutto è un uomo solo, che ha subito violenza ed è profondamente disturbato. Il regista dei tre Una notte da leoni realizza un lavoro cupo e dolente, un bel ritratto della malattia mentale, molto debitore al cinema anni ’70, soprattutto al Martin Scorsese di Re per una notte e Taxi Driver.
Un raffinato e avvolgente bianco e nero dà la cifra del melodramma cinese Saturday Fiction di Lou Ye con una meravigliosa Gong Li che, nella Shanghai del dicembre 1941, è un’attrice implicata in un frenetico gioco di spie tra più parti: il compito è interpretare i messaggi in codice dei giapponesi, prima dell’attacco di Pearl Harbour. Esuli cubani in Florida sono protgonisti di Wasp Network del francese Olivier Assayas (Sils Maria, Personal Shopper), ben al di sotto dei suoi standard recenti. Spionaggio e controspionaggio in un thriller mal costruito, che spreca le sorprese, non lascia entrare in sintonia con i personaggi e non sfrutta né la componente di tensione né quella sentimentale.
Ridendo e scherzando si va a caccia di paradisi fiscali e segreti della finanza in The Laundromat di Steven Soderbergh, che usa storie vere per un attacco al capitalismo tra dramma e grottesco. Un’anziana (Meryl Streep) perde il marito durante una gita in barca e scopre che la compagnia assicurativa fa parte di un sistema di scatole vuote che non fa capo a nessuno. Per ottenere l’indennizzo si mette a indagare per conto suo, scoprendo verità che non avrebbe immaginato.
Raccontano storie molto simili, una separazione con figlio, in maniera che forse più diversa non si potrebbe Ema del cileno Pablo Larrain (conosciuto per Jackie e Neruda) e Marriage Story di Noah Baumbach con Adam Driver e Scarlett Johansson. Il primo è cinematograficamente ricercato, sperimentale, con un montaggio straniante e un personaggio vulcanico e letteralmente incendiario, la Ema del titolo, che prende l’iniziativa e reagisce in modo spiazzante. Baumbach scrive meticolosamente e dirige con cura la progressione di un litigio tra coniugi che iniziano scrivendosi lettere ancora quasi d’amore.
Trasferta parigina per il nipponico Kore-Eda Hirokazu, già Palma d’oro 2018 con Un affare di famiglia, con La verité, commedia amara con un’istrionica Catherine Deneuve che trova in Juliette Binoche una spalla di lusso. Un rapporto tormentato madre-figlia che hanno parecchio da rinfacciarsi, un omaggio al cinema congegnato con eleganza e una variazione sui temi familiari cari all’autore.
Ancora dall’oriente arriva No. 7 Cherry Lane dell’altro cinese Yonfan, intrigante melodramma animato ambientato nella Hong Kong in trasformazione del 1967. Un sensuale triangolo amoroso alla Wong Kar-Wai tra uno studente universitario, la diciottenne cui dà lezioni di inglese e la madre di lei, con ancora tanti omaggi al cinema francese e uno sfondo politico interessante.
Tra i film italiani, quello che ha colpito di più è Martin Eden di Pietro Marcello, che ha trasposto il romanzo di Jack London in maniera singolare in una Napoli fuori dal tempo.

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