Si può vivere in un furgone trasformato in una casa su ruote? Qualcuno ha cominciato a usarlo durante i weekend e le vacanze, per poi scoprire che può anche essere una soluzione permanente, semplificando radicalmente la propria vita e sbarazzandosi in un colpo solo di mutui e affitti. Da lì a sciogliere gli ormeggi poi il passo è breve, lasciando il lavoro e la propria città per abbracciare una vita di viaggi e libertà.
Le storie di questi appassionati vanlifer si moltiplicano in rete (un’ampia scelta in www.mangiaviviviaggia.com), dove si cercano motivazioni e si scambiano consigli pratici. Ne volete ascoltare qualcuna? Eamon e Bec erano colleghi in una grande azienda di marketing di Toronto. Si conobbero lavorando a un progetto comune, ma solo la scelta di viaggiare insieme nel sud-est asiatico mise davvero le ali alla loro relazione. Al ritorno si resero subito conto che rientrare nella routine era impossibile. Da qui il licenziamento e una nuova partenza per Australia, India e Nepal, dove hanno scoperto una comune passione per il tè e hanno crea-to una piccola azienda in tema, gestita da remoto.
Anna invece era una sedicenne americana che, a differenza dei suoi coetanei, non aveva nessuna voglia di indebitarsi per frequentare un college prestigioso. Il suo sogno ricorrente era girare il mondo con un van. Volere è potere: in due anni di lavori occasionali Anna ha risparmiato quasi quindicimila dollari. Con cinquemila dollari ha comprato un Chevy Gladiator del 1997, con altri tremila lo ha sistemato con le sue mani; appena compiuti diciott’anni, è partita per il suo primo lungo viaggio.
Corey ed Emily invece volevano soprattutto fuggire dalle mura di un ufficio: da quattro anni viaggiano senza sosta in America con un van Volkswagen Westfalia del 1987, lavorando a distanza come programmatori o autori di guide (wheresmyofficenow.com).
Infine, Felix e Selma, una giovane coppia tedesca, nel 2016 hanno investito tutti i loro soldi nell’acquisto di uno scuolabus trasformato nella loro casa su ruote. Insieme al loro cane Rudi sono partiti dall’Alaska diretti in Argentina, attraverso tutto il continente americano. E anche se hanno dovuto fermarsi a Panama, a metà strada, è stato un grande viaggio. In seguito hanno venduto lo scuolabus e sono tornati in Germania. Hanno raccontato la loro esperienza nel documentario «Expedition Happiness» (disponibile su Netflix).
Qualcuno si chiederà: perché un van? Perché non semplicemente un camper? Ovviamente il camper è più comodo, perché è stato progettato da professionisti con un utilizzo ottimale degli spazi; per esempio è possibile stare in piedi al suo interno e ha un bagno piccolo, ma degno di questo nome. Il camper si apprezza soprattutto quando ci si ferma per un periodo abbastanza lungo. Inoltre, è una scelta quasi obbligata se si lavora da remoto e quindi serve anche come ufficio.
Ma anche il furgone ha le sue carte da giocare, soprattutto in movimento: costa meno, consuma meno, è più piccolo e quindi più facile da guidare. Permette di tenere una velocità media più elevata, si possono percorrere strade strette o ripide e con un po’ di fortuna si riesce a parcheggiare in città. Non da ultimo, può essere usato anche nella vita di tutti i giorni.
La preferenza per il van viene naturale dove il clima mite permette di trascorrere buona parte della giornata all’aperto e poi dormire su un’amaca tesa tra due alberi. È quello che devono aver pensato due fotografi, Giulia e Giordano (in arte Giuli&Giordi), quando dopo anni di lavoro hanno deciso di partire con le loro due bambine, Agnese e Frida (meno di cinque anni in due) per un lungo viaggio nel sud dell’Europa (Sardegna, Provenza, Spagna e Portogallo). Trascorrendo molte ore all’aperto, nonostante fossero in quattro (anzi in cinque al ritorno…), è bastato un vecchio Volkswagen attrezzato: quattro letti, un microbagno, un pannello solare per luce e ricarica dei telefoni, un serbatoio di acqua per cucinare.
Ma dietro alla scelta di un van non ci sono solo motivazioni razionali. Certo la scelta di un vecchio furgone riduce il costo dell’acquisto e semplifica le riparazioni, in assenza di elettronica, ma esprime anche una chiara preferenza estetica vintage. Ovviamente il sogno è il leggendario Volkswagen Combi e non a caso l’utilizzo di un van è particolarmente diffuso in Germania; ma è perfetto anche un vecchio scuolabus americano simile al Magic Bus psichedelico guidato da Neal Cassady attraverso gli Stati Uniti nel 1964. Sistemarlo da soli poi, in lunghe settimane di lavoro, è già parte dell’esperienza del viaggio.
Vanlife è anche una moda, uno stile di vita e di viaggio, le cui radici affondano negli anni Sessanta, nel tempo degli hippie, quando una carovana di improbabili veicoli si spingeva verso Kathmandu e l’Oriente via terra, lungo l’Hippie Trail, in cerca di divertimento e illuminazione. Una volta conclusa quell’esperienza, alla fine degli anni Settanta, il testimone della vanlife passò ai surfisti, sempre in viaggio alla ricerca dell’estate senza fine e dell’onda perfetta, dalla California all’Australia, con le loro lunghe tavole infilate nei furgoni dopo aver rimosso il vetro posteriore. Poi il recente risveglio d’interesse. Perché c’è sempre qualcuno che si sente imprigionato nel posto fisso e nella vita quotidiana, c’è sempre qualcuno che chiama casa la strada.