Violenza di genere maschile

by Claudia

25 novembre – In occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne pubblichiamo questo lavoro fotografico in cui vengono mostrate «le conseguenze» dei femminicidi sulle famiglie e sulla società

Laura Russo è stata uccisa a dodici anni dal padre, in casa, in provincia di Catania, il 21 agosto 2014. Nella notte Roberto Russo ha scritto un biglietto alla moglie per darle la colpa di quanto stava per accadere e ha accoltellato la figlia mentre dormiva. Ha colpito anche Marika, sorella poco più grande, che è riuscita a difendersi attirando l’attenzione dei due fratelli maggiori, intervenuti sventando la strage. A causa delle ferite è entrata in coma per alcuni giorni. Come hanno scritto i giudici nella condanna, l’uomo voleva «infliggere un castigo alla madre», Giovanna Zizzo. Lei aveva scoperto che lui la tradiva e si era allontanata temporaneamente da casa, senza mai perdere contatto con i figli. «Oggi a distanza di cinque anni non ho paura di urlare, di parlare. Anche se c’è una sentenza di ergastolo, nulla mi restituisce più mia figlia. Se non continuerò io a gridare per lei, è come se venisse uccisa un’altra volta. Invece la mia Lauretta, come tutte le vittime di femminicidio, deve essere ricordata, commemorata».
Giovanna Zizzo fa parte, con altre madri, padri, fratelli, sorelle e figli, di un movimento che in Italia, e nel resto del mondo, dalla Francia all’Argentina, ha iniziato ad alzare la voce contro i femminicidi – termine con cui si intende l’uccisione oppure la scomparsa di una donna per motivi di genere, di odio, disprezzo, piacere o senso del possesso. Ai familiari delle donne assassinate restano i giorni del dopo, i ricordi immobili trattenuti dalle cornici, le spese legali, le umiliazioni nei tribunali e i processi mediatici. Sono sempre di più i parenti che intraprendono battaglie quotidiane: scrivono libri, organizzano incontri nelle scuole, lanciano petizioni, raccolgono fondi per iniziative di sensibilizzazione, creano associazioni. Lo scopo è fare capire alla società che ciò che si sono trovati a vivere non è dovuto né alla sfortuna né alla loro colpa (tantomeno a quella delle vittime), ma ha radici culturali e sociali precise, dovute al diffuso senso di proprietà e di dominio degli uomini sulle donne.
Secondo il rapporto annuale dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), i reati contro le donne sono in crescita. L’European Union Agency for Fundamental Rights (FRA) rileva che, nei ventotto Paesi dell’Unione Europea, una donna su tre (sessantadue milioni) ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della vita, e una su venti è stata stuprata. I progressi degli ultimi anni non sono stati sufficienti a migliorare la situazione. Le diverse ricerche indicano che il femminicidio avviene soprattutto tra le mura di casa oppure per mano di conoscenti, ma esistono casi in cui i colpevoli sono gli estranei.
Marisa Degli Angeli, madre di Cristina Golinucci, scomparsa il primo settembre del 1992 in Italia, è convinta che sia stato uno sconosciuto a uccidere sua figlia. Aveva ventun anni. Quel pomeriggio aveva appuntamento con Padre Lino Ruscelli, suo confessore al convento dei Frati Cappuccini di Cesena. Cristina è arrivata al convento, come prova la sua auto, ferma nel parcheggio, e da quel momento non si è più saputo nulla di lei. «È uscita di casa poco prima delle due del pomeriggio e mi ha detto che ci saremmo riviste la sera per andare insieme alla festa della nostra frazione, Ronta. Mentre ero in casa che facevo dei lavori, tutto iniziò a scivolarmi dalle mani, come se fossero diventate di burro. Era lei che chiedeva il mio aiuto, l’ho capito solo più tardi». Per anni non ha potuto fare le ricerche adeguate perché il Convento dei Frati Cappuccini, dove venivano ospitati uomini di diversa provenienza geografica, uno dei quali ha confessato di avere ammazzato Cristina, ritrattando successivamente, non ha permesso l’ingresso.
A Marisa (che da allora usa il cognome della figlia), sono arrivate segnalazioni anonime. «C’è chi si diverte. Si fatica a capire quanto ci sia di vero e quanto di falso. Mi hanno scritto, in una lettera non firmata del 1999: «È ora che sappiate la verità. Cristina è arrivata al convento, lì è stata presa, stuprata, uccisa, nascosta nei nascondigli»». Marisa Golinucci è entrata nell’Associazione Penelope (è una delle presidenti regionali) per le persone scomparse. «Interveniamo appena ci contattano per aiutare i parenti a ritrovare i loro cari. Se riusciamo a salvare una vita, per noi è una festa».
Giovanna Ferrari, madre di Giulia Galiotto, offre sostegno diretto alle donne che cercano di scappare da rapporti violenti. Sua figlia Giulia è stata assassinata dal marito Marco Manzini l’11 febbraio del 2009, in provincia di Modena. Da anni partecipa anche a manifestazioni, incontri nelle scuole contro le discriminazioni di genere, fa attivismo su Facebook postando ogni giorno notizie sulla violenza e le storture del sistema giudiziario italiano. È andata in televisione e si è iscritta all’UDI (Unione Donne in Italia). Per difendere la memoria della figlia ha scritto un libro, Per non dargliela vinta (Edizioni Il Ciliegio, 2012). Alle diverse iniziative partecipa sempre con suo marito Giuliano Galiotto, padre di Giulia. Lui la accompagna, ma resta in disparte. «Chi osserva da fuori non sa come sono andate le cose. Sui giornali l’hanno chiamato “Il delitto di San Valentino”, “Crimine passionale”». Io e Giulia eravamo legati, parlavamo molto. L’ho sentita a mezzogiorno, quel giorno in cui lui l’ha uccisa. Mi aveva chiamato lei, mi ha fatto ridere con una battuta, poi mi ha annunciato che aveva una cena con il marito».

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