Le opere di Sean Scully in mostra a Villa Panza a Varese
Chi cercasse il nome di Sean Scully tra gli artisti appartenenti alla raccolta storica del conte Giuseppe Panza di Biumo non ne troverebbe traccia. Un incontro tra i due avvenne nel 1989, quando il grande collezionista milanese, su invito della Caldwell Gallery, si recò a New York in visita allo studio del pittore statunitense di origini irlandesi per visionarne la produzione. Sebbene fosse rimasto affascinato da White Window, un lavoro in cui Scully aveva ampliato lo spazio pittorico attraverso un inserto che alludeva al motivo della finestra come simbolo della connessione tra mondo esteriore e mondo interiore, in quell’occasione non scattò in Panza la scintilla che tante volte lo aveva spinto, con acume e lungimiranza, ad acquistare l’opera d’arte.
Il motivo principale era da ritrovare nell’abbandono da parte di Scully della via minimalista tanto cara al conte: l’artista, difatti, si era avvicinato nei primi anni Settanta alla poetica del Minimalismo, avviando un processo di riduzione formale e cromatica che sarebbe stato fondamentale per il suo intero cammino, ma dopo essere arrivato a «spogliarsi fino al nulla», da quella corrente si era allontanato già nel decennio successivo, virando la sua traiettoria verso un’arte più materica e gestuale, accostabile agli esiti dell’Espressionismo astratto.
Eppure tante erano le consonanze tra i temi e le caratteristiche che Panza ricercava e che Scully sviluppava nei suoi lavori: la luce, prima di tutto, e poi il colore, la geometria e quella vocazione dell’opera d’arte ad aprirsi verso l’infinito che può considerarsi il leit-motiv dei manufatti radunati dal conte così come uno degli aspetti fondanti, ancora adesso, del linguaggio dell’artista americano.
In virtù di questa profonda sintonia tra i due, una mostra allestita negli spazi della splendida dimora nel cuore di Varese che il collezionista aveva donato al FAI nel 1996, una quindicina di anni prima di morire, riavvicina oggi Giuseppe Panza e Sean Scully in un percorso in cui la loro sensibilità estetica trova molteplici attinenze, esaltate proprio dal luogo stesso che ospita le opere. Nelle stanze della villa dove è collocata in maniera permanente una parte della preziosa raccolta a cui Panza aveva dato vita dagli anni Cinquanta, inseguendo le nuove tendenze europee e d’oltreoceano (alcuni degli autori più noti sono David Simpson, Phil Sims, Dan Flavin, James Turrell e Robert Irwin), ecco dunque che i lavori di Scully innescano dialoghi visivi inediti, all’insegna della luce e del colore.
La rassegna dal titolo Long Light riunisce ottanta opere, tra dipinti, sculture, carte, fotografie, installazioni e video, che documentano in maniera esaustiva le tappe principali del cammino dell’artista, dai suoi esordi negli anni Settanta fino ad arrivare agli esiti più recenti, contraddistinti, come si evince dall’itinerario espositivo, dal costante oscillare di Scully tra astrazione e figurazione, nell’intento di trovare una sorta di fecondo connubio tra poli opposti.
A inizio mostra spiccano alcuni acrilici su tela facenti parte della serie delle «supergriglie», grandi reticoli formati da linee verticali, orizzontali e diagonali che generano spazi labirintici dal grande dinamismo. Si tratta di opere risalenti agli anni Settanta, quando Scully, da poco approdato negli Stati Uniti, si lascia influenzare non solo dal Minimalismo (di questo periodo è la sua amicizia con Robert Ryman, uno dei maggiori esponenti della corrente), ma anche dalla Optical Art e dalle suggestioni derivate da un viaggio in Marocco.
Testimonianza di una nuova fase della ricerca dell’artista sono i dipinti eseguiti a partire dagli anni Ottanta, con l’apertura della sequenza di lavori in mostra affidata all’opera-manifesto Backs and Fronts del 1981, anno del distacco di Scully dall’estetica minimalista e dell’inizio di una rivisitazione del suo stile attraverso una geometria meno rigida, un colore più vibrante e una gestualità più marcata.
Si incontrano così gli oli della serie «passenger», realizzati tra il 1999 e il 2004, definiti dipinti nei dipinti per la loro capacità di accogliere sulla superficie piccoli brani pittorici che paiono aperture su un mondo altro, proprio come accadeva, in nuce, in quell’opera che Panza aveva apprezzato nell’atelier newyorchese di Scully.
Troviamo poi un nucleo di lavori su lino e alluminio dal titolo Wall of Light, creato dopo un viaggio in Messico che ha permesso all’artista di meditare in maniera più profonda sulla luce, e, ancora, l’inedita serie Madonna, del 2019, in cui Scully si sposta verso la figurazione, contaminando la pittura con il proprio universo privato e ricordando, nelle tinte così come nell’impianto compositivo, maestri quali Henri Matisse o Emil Nolde. Belli, inoltre, i Landline, ispirati agli anni giovanili trascorsi in Irlanda, in cui tramite fasce di colore orizzontali il pittore interpreta la sua visione del mare, da lui spesso immortalato anche con l’obiettivo fotografico, come rivelano alcuni scatti esposti in mostra.
Nel parco, infine, Scully ha concepito un’installazione site specific intitolata Looking Outward, una serie di vetri colorati che trasforma la serra del giardino in un raffinato ambiente di luci e cromie: l’opera è entrata a far parte della collezione permanente della villa, a suggellare con la sua presenza l’affinità emotiva e artistica tra il conte Panza e il pittore americano.