«Momentini minuscolini» di felicità

by Claudia

Ogni fine anno il mondo giornalistico gareggia per offrire servizi mirati a riepilogare i principali avvenimenti o a rievocare personaggi, tematiche o qualcosa (ultimo grido: la parola dell’anno) che in qualche modo abbia segnato o rappresenti i 12 mesi trascorsi. È un esercizio che, accanto a una ritualità più che scontata (inizia ormai verso metà dicembre), presenta comunque anche risvolti positivi. Su tutti spicca la rivista americana «Time» che ormai da un secolo annuncia a tutto il mondo la sua scelta (il primo fu per Charles Lindbergh, indicato come personaggio del 1927 e undici anni dopo era seguito da… Adolf Hitler), dando il via a tutta una pletora di alternative quest’anno favorite anche dalla fine di un decennio.
Ho sempre subìto un’attrazione particolare, diciamo pure un contagio, da questo rito. Così ancora oggi – nonostante la pensione da oltre 12 anni cerchi di frenarmi con un «take it easy» piuttosto che un «piantala» – mi trovo a fantasticare e a buttar giù idee o scalette che a mio avviso ogni direttore di giornale o rivista potrebbe ospitare (giuro: non le ho mai proposte a nessuno). Ogni fine anno sogno una o più pagine, massimamente le due pagine centrali, che per me da sempre sono simili a campi di atterraggio per idee e fantasie. Era uno sfizio che un tempo potevo togliermi grazie alla magnanimità e all’apertura culturale dell’editore Migros Ticino che ogni Natale e ogni fine anno consentiva alla redazione di offrire straordinari contributi ai lettori di Azione. Li riempivo con contributi di artisti e scrittori, a cui facevano seguito aforismi, fotografie, vignette e scritti brevi raccolti durante i 12 mesi. Davo un senso a queste selezioni rievocando l’ordine di pubblicazione oppure seguendo i principali argomenti, le novità o gli avvenimenti registrati nel corso dell’anno. Così, seguendo quel ghiribizzo professionale, e l’illusione che qualcuno possa ancora oggi arrivare a chiedermi di riproporre quegli «almanacchi moderni», io continuo ancora imperterrito ad accumulare storie, aforismi, dichiarazioni, vignette, fotografie a cui si sono aggiunti anche tweet e video che «nascondo» in una cartella del mio Mac denominata «Acta». Lo so che nessuno le leggerà mai e che un bel giorno (si fa per dire) qualcuno userà il tasto «delete» per polverizzare l’intera collezione di questi miei sogni. Ogni tanto però, rileggendole a distanza di anni, le tessere dei miei «almanacchi nascosti» mi dispensano ancora qualche traccia o prezioso suggerimento.
È capitato anche dopo l’ultimo Natale, mentre ero alla ricerca di un tema da proporre a inizio anno. Non avevo fatto i conti con scadenze e dettami redazionali; così alla fine mi sono accorto che la pubblicazione sarebbe slittata a dopo la Befana, quindi ben oltre il periodo più indicato per proposte giornalistiche che sfarfallano dalle rievocazioni dell’anno finito ad aspettative per quello che inizia. Alla fine, trovando sulla scrivania biglietti di Felice Anno Nuovo, Joyeux Noel e Frohe Festtage, era quasi inevitabile che la scelta cadesse  sulla felicità. Così mi sono tuffato tra i «cartafazzi» dei miei Acta più vecchi alla ricerca di spunti che consentissero di dare corpo e possibilmente anche un po’ di anima al tema di questa prima rubrica dell’anno. Regola numero 1: niente concetti o discorsi impegnativi, anche perché la felicità, forse per colpa dell’indifferenza o dell’assuefazione che impediscono di prestare attenzione alle cose più preziose della nostra esistenza, non è un argomento facile da inquadrare. Alla fine mi sono ritrovato con due documenti sull’allegria molto distanti l’uno dall’altro. Il primo riportava questo pensiero: «Spesso è necessario riflettere sul perché siamo allegri, ma sappiamo sempre perché siamo tristi». È uno straordinario aforisma (scovato nella miniera del «Detti e contraddetti» di Karl Kraus) che ci ricorda come la tristezza sia, se non connaturata, sempre presente in noi, talmente invasiva che abbiamo difficoltà a far caso ai nostri momenti felici.
L’altro era invece un passaggio di una lunga intervista fatta da una giovane Oriana Fallaci nel 1963 a Antonio De Curtis, in arte Totò, e pubblicata sulla rivista l’«Europeo». Interrogato sulla sua religiosità, Totò chiude la sua risposta con queste malinconiche parole: «L’ho scritto anche in una poesia: “Felicità: vurria sapé che d’è / chesta parola. Vurria sapé che vvo’ significà”. Forse vi sono momentini minuscolini di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza». Alla fine ho optato per un accostamento fra questi due giudizi dei miei «almanacchi nascosti», perché il ritratto un po’ malinconico della felicità proposto da Totò offre una perfetta spiegazione del giudizio sintetizzato nell’aforisma di Kraus. Ma anche perché consente di augurare al lettore di riuscire a far caso, nel 2020, a tanti «attimi di dimenticanza». 

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