Trenta che in realtà sono molti di più

by Claudia

I tre decenni della ConsArc in una mostra celebrativa

Tra i primi spazi in Svizzera dedicati esclusivamente alla fotografia, la Galleria ConsArc di Chiasso compie trent’anni. La prima esposizione fu proprio quella dell’indimenticato grafico Max Huber, il quale presenziava negli orari della mostra mettendo in sottofondo i suoi amati brani jazz.
Si tratta di un lungo periodo di attività, soprattutto per una galleria d’arte, durante il quale, con grande regolarità e inesausta passione, i due titolari Guido e Daniela Giudici hanno promosso la fotografia ma anche, e in parallelo, un laboratorio di conservazione e di cornici che d’ora in avanti sarà gestito dal fidato collaboratore degli ultimi anni, Andrea Longo.
È difficile riassumere un così ricco e continuo percorso ma sicuramente si può dire qualcosa sui risultati: qui si è contribuito a sprovincializzare un’arte che veniva considerata pratica da amatore della domenica, senza un reale mercato. I titolari hanno sintonizzato le loro scelte su ciò che accadeva sul piano internazionale, anche qui pionieristicamente, come ad Arles ai Rencontres de la photographie oppure nella prima sede della Fotostiftung Schweiz, allora ancora al Kunsthaus di Zurigo, prima di approdare a Winterthur.
In Ticino si sono mossi con una certa comunione d’intenti e anche collaborando con le realtà museali che per prime esposero la fotografia contemporanea quali il Museo Cantonale d’Arte (1987) e la Galleria Gottardo (1989).
La collettiva Trenta è una piccola sintesi di tale percorso, tuttavia equilibrata e rappresentativa di alcune linee direttrici che hanno sempre avuto continuità sulle pareti della galleria: la scuola italiana di paesaggio (Gabriele Basilico, Massimo Vitali e Francesco Radino), artisti svizzeri scoperti ed esposti spesso in anteprima al sud delle Alpi (Andreas Siebert, Gérard Pétremand) e artisti dall’impronta concettuale al confine tra arti plastiche e fotografia (MariaPia Borgnini, Françoise e Daniel Cartier). Con qualche escursione fuori dai territori abituali, qui con delle immagini di Berlino di Cristof Klute – tedesco allievo dei coniugi Becher – e l’italiano Gabriele Jardini, autore di nature morte dal profondo senso compositivo, ricche di dettagli da leggere in successione.
Naturalmente l’elenco degli autori avrebbe potuto essere più lungo: basti pensare che nello spazio, ricavato da una piccola fabbrica di camicie, è passata, tranne poche eccezioni, la migliore fotografia italiana (Mimmo Jodice, Mario Cresci, Vittore Fossati, Pino Musi fino alle nuove generazioni ben rappresentate da Maurizio Montagna), numerosi svizzeri di qualità (Nicola Savary, Jean Marc Yersin, Luca Zannier), la migliore fotografia ticinese (Alberto Flammer, Stefania Beretta, Giovanni Luisoni e, per adozione, Flor Garduño) e altri giovani promettenti presentatisi al pubblico con una personale, oggi conosciuti meritatamente oltre i confini nazionali (Gian Paolo Minelli, Christian Tagliavini, Igor Ponti).
Nella piccola cittadina di confine la Galleria ha anche promosso uno dei primi festival della fotografia svizzeri – la Biennale dell’Immagine – oggi più che ventenne. Una manifestazione che ha portato per la prima volta in Europa – nella cittadina di confine, che ha un cartellone culturale degno di una città assai più grande – un’autrice come Vivian Maier, oggi fra le fotografe più amate su scala mondiale, e persino un progetto site-specific di Beat Streuli, considerato da molti uno dei maggiori artisti svizzeri contemporanei.
Sarebbero molte le storie, gli aneddoti, le scoperte che hanno avuto luogo tra queste pareti. Pur in una nuova forma, la Galleria ConsArc continuerà a proporre al suo affezionato pubblico quattro o cinque appuntamenti fotografici all’anno.
Tra le molte storie, vale forse la pena di ricordare quella più incredibile, rappresentata dalla traiettoria di Massimo Vitali. Proprio qui nel 1995, ancora con qualche dubbio, il fotografo toscano iniziò a esporre la primissima serie di Spiagge italiane – immagini riprese dall’alto nelle tonalità high-tone, con la folla dei bagnanti spesso circondata da contesti non propriamente congrui, come fabbriche o centrali nucleari – che presto divennero un marchio di fabbrica conosciuto sulla scena artistica internazionale. Diventarono poi la copertina del catalogo dei Rencontres d’Arles del 1997, ebbero un largo riconoscimento internazionale e approdarono, traguardo definitivo per ogni artista, alla Biennale di Venezia nel 2001.

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