Viaggiatori d’Occidente - Le compagnie low cost hanno ancora un futuro?
Qualche giorno fa, l’organismo di autocontrollo dei pubblicitari inglesi (Advertising Standards Authority – ASA), a seguito di numerose proteste, ha bloccato una pubblicità di Ryanair giudicata ingannevole. Nei suoi spot alla radio e in televisione sosteneva infatti di essere la «compagnia aerea europea con le più basse emissioni di CO2». L’ASA ha contestato l’utilizzo di dati non abbastanza recenti per la comparazione, ma la questione è molto più complessa (e interessante).
Tutti hanno ragione, tutti hanno torto.
Ryanair si è difesa con energia, proponendo due argomenti inoppugnabili: rispetto ai concorrenti la sua flotta di aerei è più nuova ed efficiente (in media solo quattro anni di utilizzo), dunque inquina meno (66 grammi di CO2 per ogni chilometro volato da ciascun passeggero). Inoltre, il tasso di riempimento medio dei suoi aerei è molto elevato (97%); niente inutili posti vuoti. Per questo il loro portavoce ha dichiarato provocatoriamente a «The Independent»: «La scelta più importante che un consumatore può fare per dimezzare la propria impronta di carbonio è passare a Ryanair».
La sostanziale correttezza di questi dati è confermata dai risultati simili del suo maggior rivale, easyJet, con 75 grammi di CO2 per km/passeggero. Il confronto con le compagnie aeree tradizionali è impietoso; Korean Air (tra le più inquinanti insieme ad Air China, China Southern, Singapore Airlines e Turkish Airlines) emette 172 grammi di CO2 per km/passeggero.
Basta però cambiare punto di vista per giungere a conclusioni opposte. Lo scorso aprile per esempio la stessa Ryanair è finita nella lista dei peggiori inquinatori d’Europa, al decimo posto, sulla base dei dati raccolti dal Gruppo trasporti e ambiente dell’Unione europea. Per capire l’impatto ambientale basti ricordare che tutte le aziende che la precedono nella classifica gestiscono centrali elettriche a carbone (!).
Il vero problema delle compagnie low cost è il loro stesso modello di funzionamento. Proprio grazie all’efficienza, all’abilità nello scaricare i costi sui territori e nel tagliare senza pietà tutti i servizi e le spese inutili, hanno reso il volo alla portata di tutti. È cresciuta così una generazione di viaggiatori che usa l’aereo con estrema disinvoltura. Il numero di passeggeri cresce continuamente: i 310 milioni di passeggeri del 1970 sono diventati 1 miliardo nel 1990, 3,5 miliardi nel 2016, già 4,5 nel 2019. Ovunque vi troviate in questo momento un milione di persone stanno volando sopra le vostre teste. Senza interventi, le emissioni di CO2 prodotte dal trasporto aereo aumenteranno del 300% entro il 2050, mentre l’Unione europea, entro quella stessa data, vorrebbe dimezzarle.
Gli altri rimedi funzionano poco e male, per esempio creare nuove foreste con il contributo dei viaggiatori per compensare le emissioni prodotte dal proprio volo. E anche i tentativi di autoregolazione del settore appaiono velleitari. L’aviazione è responsabile del 2% delle emissioni globali, il 12% di quelle prodotte dai mezzi di trasporto (dati London School of Economics); le compagnie vorrebbero congelarle al livello del 2020 e dimezzarle entro il 2050, ma l’intero progetto, costruito su base volontaria, appare poco credibile.
A meno di fondamentali progressi tecnologici (per esempio sono allo studio aerei elettrici) l’aviazione dovrà probabilmente essere ripensata dalle fondamenta, a cominciare proprio dalle compagnie low cost, per poi estendersi a tutte le altre.
Non a caso Ryanair, avvertendo il pericolo, ha avviato importanti campagne di comunicazione, proponendo una migliore immagine di sé (il nuovo slogan è «More Choice. Lower Fares. Great Care» – «Più scelta. Tariffe inferiori. Grande cura»), anche sul versante della sostenibilità ambientale. In passato la compagnia non si era mai curata più di tanto del giudizio dei propri clienti, incurante delle critiche, puntando solo sulla convenienza delle proprie offerte. E così per sei anni consecutivi è stata la compagnia aerea meno amata del Regno Unito nel voto del gruppo di consumatori «Which?». Quando in marzo Ryanair ha deriso su Twitter British Airways per un volo finito per errore a Edimburgo invece che Düsseldorf, offrendo in regalo alla rivale un manuale di geografia, il pubblico ha inaspettatamente difeso British Airways, rimproverando Ryanair per i suoi pessimi contratti di lavoro, la richiesta di denaro per qualunque servizio, gli aeroporti lontani dalla destinazione proposta (Parigi Beauvais per esempio è a cento chilometri da Parigi).
A questo punto però non si tratta di introdurre qualche aggiustamento d’immagine, quanto di cambiare tutte le regole del gioco: bisogna volare meno pagando molto di più, volare solo se necessario, su lunghe distanze, e preferire il treno in ogni altra circostanza. Le grandi compagnie potrebbero adattarsi, magari con qualche aiuto di Stato, ma le low cost vedrebbero messo in discussione proprio il loro modello di funzionamento.
Non è la prima volta del resto che grandi cambiamenti investono improvvisamente un settore dell’economia. Nel secolo scorso per esempio le due guerre mondiali azzerarono per anni i movimenti turistici; e la sfida posta dal cambiamento climatico non è certo inferiore a una guerra. Le compagnie low cost non hanno colpe particolari, in un certo senso anzi pagano proprio il loro successo, ma non possono sottrarsi a responsabilità globali.
Naturalmente lo stesso taglio di emissioni andrà imposto anche alle altre attività umane: produzione di elettricità e calore, combustione di carbone, gas naturali o petrolio (25%), estrazione di combustibili fossili, raffinazione del petrolio, sua lavorazione e trasporto (10%), agricoltura e allevamento (24%), industria (21%), trasporti (14%), consumo di combustibili fossili per uso residenziale e commerciale (6%, dati IPCC, il comitato sul cambiamento climatico dell’ONU).
Prima che sia troppo tardi.