Da partito di lotta, Sinn Féin ha fatto irruzione sulla scena irlandese come possibile, imprescindibile partito di governo. O almeno, dopo il successo travolgente e storico alle elezioni di sabato 8 febbraio, sarà difficile evitare di fare i conti con la leader Mary Lou McDonald, che da pallida delfina dello storico, controverso, carismatico Gerry Adams è riuscita a portare il partito a uno straordinario risultato presso un elettorato giovane, urbano, desideroso di vedere la robusta crescita economica dell’Irlanda finalmente rispecchiata in un miglioramento dei servizi pubblici, a partire dalla sanità, e in un approccio pragmatico alla crisi abitativa che vede da una parte gli affitti alle stelle per via di una mancanza cronica di case e dall’altra un numero enorme di senzatetto.
Dalle urne è uscito un risultato relativamente inatteso per il partito nazionalista, tanto che erano stati presentati candidati solo in 42 seggi su 160 e che qualcuno, convinto che non ci fossero speranze, se n’era addirittura andato in vacanza durante la campagna elettorale. E invece grazie all’energica leadership di McDonald, cinquantenne borghese laureata al Trinity College, lontana dal profilo militante di un partito che per decenni è stato percepito soprattutto come il braccio politico dell’esercito repubblicano irlandese, si è arrivati alla valanga di voti. «Potrei benissimo essere il prossimo «taoiseach», ha detto la McDonald con il sorriso di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico.
Ha preso il 24% dei voti, più dei due partiti storici di centro-destra, il Fianna Fail e il Fine Gael del premier uscente Leo Varadkar, che nonostante la brillantissima gestione del dossier Brexit e con un’economia che va a gonfie vele, tra piena occupazione e crescita più alta della zona euro, è stato snobbato da un elettorato desideroso d’altro. Perché il piano internazionale, all’Irlanda contemporanea, sembra interessare fino a un certo punto e sono stati soprattutto i problemi interni, quotidiani, a preoccupare un Paese che vuole cambiamento, giustizia sociale e più spesa pubblica. E quindi Fianna Fail ha avuto 38 seggi, Sinn Féin 37 e Fine Gael solo 35.
A seguire gli Indipendenti con 19 eletti, i verdi del Green Party a 12, il Labour Party e i Social Democratici con 6 seggi ciascuno. La formazione Solidarity-People Before Profit ha ottenuto 5 poltrone, mentre Aontu e gli Independents 4 Change saranno rappresentati da un solo deputato. Per avere una maggioranza per governare ci vogliono 80 seggi al Dáil, il parlamento irlandese, e nessuno dei partiti ci si avvicina. Sulla carta un’alleanza fra perdenti Fine Gael-Fianna Fail resta la soluzione più semplice, magari con qualche sponda da indipendenti e forze minori. Ma Michael Martin e Leo Varadkar, che in campagna elettorale avevano promesso ostracismo assoluto verso lo Sinn Féin, appaiono quanto mai indeboliti: in discussione nella loro stessa leadership e costretti anche a livello personale a umilianti ripescaggi per essere rieletti nelle rispettive circoscrizioni di Cork e Dublino, dove invece la McDonald ha stravinto.
Sul piano pratico significa che le complesse trattative tra i vari leader per formare un governo potrebbero protrarsi molto a lungo, del resto come già successo nel 2016 quando ci vollero 70 giorni per trovare una soluzione.
Le elezioni europee e comunali del maggio scorso non avevano lasciato intravedere un risultato del genere per lo Sinn Féin, al contrario: il partito nazionalista aveva perso due eurodeputati ed era passato da 159 seggi a 81 nei consigli comunali. E la leadership della McDonald, giudicata incolore e senza mordente, ai tempi sembrava vacillare pericolosamente. Certo, sembra difficile votare per lo Sinn Féin ignorandone il retroterra storico e la missione principale, che è quella della riunificazione dell’isola celtica. E non è un caso che solo gli over-65, memori degli anni dei «Troubles», non abbiano ceduto al messaggio assai suadente del partito, che tra i vari punti in programma aveva anche l’abolizione della riforma che innalza l’età pensionabile da 65 a 68 anni, lasciando un considerevole numero di «esodati» per i quali non è stata ancora trovata una soluzione.
Il partito è già al governo a Stormont, il parlamento dell’Irlanda del Nord, insieme agli unionisti del DUP, ed è sempre stato forte in Ulster, ma per Dublino (e per Londra) l’idea che potesse andare al governo è stata per molto tempo un tabù. «La gente vuole una politica diversa, delle politiche diverse e un governo migliore, nuovo, e penso che Sinn Féin sarà al centro di questo», ha spiegato la McDonald, mentre la sua vice Michelle O’Neill ha fatto presente che nei negoziati per la formazione di un governo ci saranno «richieste in direzione del progetto repubblicano».
Ma non è stato questo il principale fattore di fascinazione verso il messaggio dello Sinn Féin, che si è proposto come un partito di sinistra non ideologico con risposte alle preoccupazioni pratiche di un Paese i cui servizi e investimenti pubblici non rispecchiano sempre la ruggente crescita economica degli ultimi decenni, interrotta da una grave crisi che molti elettori ancora attribuiscono all’allora governo di Fianna Fail, e poi ripresa con forza. Il Fine Gael del premier Leo Varadkar, partito liberale di centrodestra molto aperto sulle questioni sociali – il Paese ha legalizzato le unioni omosessuali nel 2015 e l’aborto nel 2018 – è al potere dal 2011 e dal 2016 ha governato con l’appoggio esterno del più conservatore Fianna Fail.
Radicale su temi come il welfare o la spesa pubblica, ma abile a stemperare gli istinti euroscettici del suo partito e al contempo a rinviare di 5 anni il sogno di un referendum sull’unificazione, McDonald sembra del resto già a suo agio in una (ipotetica) nuova dimensione più istituzionale. Mentre su Twitter il vecchio Adams si gode il terremoto scatenato dalla sua delfina. E in un fotomontaggio mostra Varadkar e Martin in vesti di neonati tenuti saldamente fra le braccia di Mary Lou, con tanto di didascalia irridente in gaelico ed inglese: «È tempo di mettere a nanna i pupi».
Per Londra, il «sisma» irlandese rimane, inevitabilmente, fonte di nervosismo sebbene il governo tory di Boris Johnson abbia fatto sapere di essere deciso a mantenere «strette relazioni» con chiunque sia destinato ad andare al potere a Dublino. Lo Sinn Féin è un’organizzazione talmente invisa ai britannici che prima degli accordi di pace le dichiarazioni dei suoi rappresentanti venivano doppiate da attori per essere trasmesse dalla BBC, anche se ormai a Belfast è diventato un interlocutore. E ai primi di marzo, nell’ambito di una charm offensive appena mascherata, verranno inviati William e Kate in visita ufficiale, la prima dopo la Brexit e dopo le elezioni sull’isola. La regina Elisabetta fece la prima, storica, visita nel 2011, seguita poi varie volte da Carlo e Camilla. Per William e Kate ha un forte valore simbolico: il loro terzogenito, Louis, ha preso il nome da un trisavolo, Lord Mountbatten, assassinato dall’IRA.