La Germania sta entrando in una crisi strutturale che investe tutte le dimensioni strategiche: politica, economia, società, identità. La lunga stagione del Dopoguerra è finita, ne sta per cominciare una nuova, all’insegna dell’incertezza. In questa fase di passaggio, assistiamo ad alcuni mutamenti di notevole rilievo.
Il più evidente, non il più importante, riguarda il cambiamento del sistema politico. La crisi in Turingia, dove la CDU locale ha deciso di votare insieme all’AFD (destra nazionalista) un presidente liberale del Land, ha evidenziato la fine dell’èra Merkel. La cancelliera ha dimostrato di non avere il controllo del suo partito, almeno nella ex DDR. Tanto che è dovuta intervenire a cose fatte, costringendo alle dimissioni Annegret Kramp-Karrenbauer (AKK) da lei posta alla testa del partito, oltre che lanciata quale candidata alla sua successione alla guida del governo.
La lezione del caso Turingia, tutt’altro che chiuso, è la seguente. Esistono oggi in Germania due sistemi politici. Quello dell’ex BRD occidentale, dove vige ancora per la CDU il veto alla coalizione con la destra nazionalista (e con i comunisti) e dove un partito liberale di sinistra, allegramente post-storico, quello dei Verdi, sta affermandosi quale forza determinante a scapito della socialdemocrazia e della stessa formazione cristiano-democratica. E quello dell’ex DDR, dove Linke e AFD rappresentano una quota significativa, talvolta maggioritaria dell’elettorato e quindi partecipano (Linke) o pretendono di partecipare (AFD) alla gestione dei relativi Länder. Così rompendo il tabù storico, valido dalla nascita della Bundesrepublik, per cui non vi devono essere intese fra il centro cristiano-democratico e formazioni di estrema destra, nelle quali allignano tendenze xenofobe – l’AFD, oggi.
Quale che sia l’esito della vicenda in Turingia, s’è aperto un dibattito pubblico interno alla CDU – e alla consorella bavarese, la CSU – sull’opportunità/convenienza di legittimare l’AFD come possibile partner di governo. Oggi a livello di Land, domani di Stato federale. Il più probabile candidato a succedere ad AKK, e nel 2021 alla stessa Merkel (se non sarà costretta a lasciare prima) è Friedrich Merz, capo della corrente più conservatrice del partito, che sta lavorando all’apertura di questa svolta politica. In ogni caso, il vecchio sistema di alleanze, che ruotava intorno al trittico CDU/SPD/FDP, poi allargato ai Verdi, è finito per sempre. A livello locale, forse presto su scala federale.
La crisi economica verte invece sulla fine del modello basato sull’enorme surplus commerciale con il resto del mondo, partner europei inclusi. Finora centrato sul circuito esportazione di merci-importazione di liquidità dai paesi dove si esporta-riesportazione di deflazione. Per tre ragioni di fondo: la difficoltà di reggere il sistema economico sull’export nella stagione dei dazi e delle barriere; la difficoltà dei mercati esterni, europei in testa, a continuare ad acquistare merci tedesche in fase di stagnazione/recessione; l’arretratezza tecnologica nella manifattura, a cominciare dal settore automobilistico, e nella Rete (5G e dintorni).
Dalla combinazione delle difficoltà politiche ed economiche potranno scaturire presto serie conseguenze di ordine sociale. Accentuate dalla crescente disaffezione dei cittadini dell’ex DDR verso la Bundesrepublik che li ha annessi nel 1990, con molte promesse e risultati decisamente inferiori, o quanto meno non troppo apprezzati dai concittadini appena usciti da quarant’anni di regime comunista. Il solco fra le due Germanie non è mai stato così profondo – nei cuori e nelle menti, prima che nei portafogli – dall’epoca esaltante dell’unificazione.
Infine, e per effetto della combinazione dei fattori politico, economico e sociale, i tedeschi sono alle prese con una delle loro ricorrenti crisi di identità. Torna a risuonare un antico dubbio germanico: Was ist deutsch? Che cosa è tedesco? Qual è il posto della Germania in Europa e nel mondo, considerando anche il tradizionale dissidio con gli Stati Uniti, portato in tutta evidenza da Trump? Fino a che punto può Berlino vincolarsi in settori strategici (energia, telecomunicazioni, infrastrutture) a Pechino e a Mosca, senza pagare dazio, non solo virtuale, a Washington?
La risposta a queste domande dovrà aspettare qualche anno. Nel frattempo, fa impressione osservare il tramonto della stella di Angela Merkel, fino a ieri considerata, con una certa enfasi, la leader effettiva dell’Europa comunitaria. Consumato quel crepuscolo, di quale luce s’accenderà la Germania?