La galleria Buchmann Lugano ospita le opere di Livio Bernasconi
Un’inesausta riflessione sulle infinite possibilità della pittura. Così si potrebbe definire la ricerca di Livio Bernasconi, artista ticinese che da oltre cinquant’anni concepisce il quadro come territorio d’esplorazione delle relazioni tra i suoi elementi primari. Lavorando sulla disposizione di colori e di forme geometriche sulla superficie, Bernasconi dà vita a un linguaggio avulso da qualsivoglia riferimento esterno, presentando così la pittura nella sua essenza. L’obiettivo dichiarato, difatti, è quello di affrancarla dal legame con la realtà e da significati sottesi per renderla oggetto d’indagine di sé stessa.
Questo focalizzarsi sui principi costitutivi della disciplina pittorica ben si coglie nelle opere raccolte nella mostra allestita presso la galleria Buchmann Lugano, una rassegna per cui l’artista ha selezionato alcuni dipinti sinora mai presentati al pubblico.
Tele dall’accentuato cromatismo e dalla grande libertà compositiva, questi lavori realizzati perlopiù nell’ultimo decennio sono frutto di un percorso che Bernasconi inizia negli anni Cinquanta, periodo in cui frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera immergendosi nel fervido clima neoavanguardistico che caratterizza il capoluogo lombardo. È proprio nella Milano di metà Novecento che l’artista esordisce con opere figurative improntate a un realismo impegnato. Da fotografie che lui stesso scatta a pescatori, scali merci, sili e moli sul mare, Bernasconi estrapola i dettagli che maggiormente lo interessano dipingendoli poi sulla tela come una sorta di montaggio. Ne risultano lavori in cui già emerge quell’approccio analitico alla composizione che contraddistingue il suo modo di fare arte e che di lì a poco lo allontanerà definitivamente dal figurativismo.
E difatti, nei primi anni Sessanta, Bernasconi incomincia il graduale abbandono della figura a favore di una pittura di stampo informale capace di interpretare meglio le sue intenzioni. Fondamentale poi è l’esperienza statunitense, che permette all’artista di contaminare il proprio bagaglio di esperienze europee con le nuove tendenze americane. Chiamato nel 1964 a insegnare presso la Facoltà di Architettura della Washington University di St. Louis, Bernasconi entra in contatto con la Pop Art, con il Minimalismo, con la Color Field, e, ancor più, con l’Hard Edge Painting, movimento che nello stile fatto di nitide contrapposizioni tra diverse aree cromatiche richiamava e rielaborava le ricerche di maestri quali Malevich, Kandinskij, van Doesburg e Mondrian. Tutte correnti, queste, che il pittore ticinese aveva già avuto modo di conoscere e apprezzare alla Kunsthalle di Basilea, prima del soggiorno in America, cosicché, al suo arrivo Oltreoceano, le opere di artisti come Frank Stella o Ellsworth Kelly segnano la sua svolta decisiva verso l’astrattismo.
A contribuire allo sviluppo di questo nuovo corso è anche l’impatto con la realtà americana stessa, un mondo fatto di metropoli invase da cartelloni pubblicitari e architetture imponenti. Bernasconi si trova davanti a scenari inediti per il suo sguardo europeo. I grandi spazi, le geometrie della città, le mille luci e il turbinio di colori che paiono azzerare la tridimensionalità del paesaggio penetrano nel suo immaginario regalandogli nuovi stimoli.
Al suo ritorno in patria, le suggestioni e gli impulsi raccolti negli Stati Uniti costituiscono per l’artista un nuovo punto di partenza. E difatti è da qui che prende avvio la sua lunga e tenace ricerca incentrata sull’interazione tra superficie, forma e pigmento. Il proposito, ancora oggi rimasto invariato dopo più di cinquant’anni, è quello di animare lo spazio pittorico attraverso elementi geometrici colorati che si depositano, tra calcolo e libertà, sulle campiture omogenee degli sfondi: il dipinto diventa pertanto un’area pervasa da una profonda energia generata dagli equilibri apparentemente instabili della struttura compositiva.
Come accade anche nei lavori esposti a Lugano, il colore viene steso per mezzo di un rullo o di un grande pennello, in modo da renderlo uniforme e impersonale. Nascondere il tocco dell’artista vuol dire decretare il suo totale distacco emotivo dal manufatto, ma rappresenta altresì per Bernasconi la salvaguardia della bellezza del colore stesso, come gli hanno insegnato i quadri di Henri Matisse.
Partendo dall’idea di dipinto come una sorta di campo aperto a più interpretazioni, dalla metà degli anni Ottanta i titoli scelti dall’artista sono sempre composti dalla parola «immagine» seguita da un numero progressivo; un criterio, questo, che manifesta il suo procedere razionale e sistematico, finalizzato alla realizzazione di opere autosignificanti.
Bernasconi crea così universi dal grande dinamismo cromatico e dalla vigorosa tensione formale, approdando a una dimensione estetica capace di rinnovare i fondamenti materiali della pittura.