Ogni persona, a partire dall’infanzia, sviluppa un proprio senso del limite per quanto riguarda il corpo. Ad esempio, c’è chi non vuole ricevere abbracci dai conoscenti, chi non gradisce baci dai parenti, fatta eccezione per i genitori, chi detesta il solletico. Questi «confini» vanno rispettati. Esiste una parola che ancora fatica a essere usata in italiano – a differenza di quanto accade in inglese – che sintetizza questo concetto: «consenso». Secondo l’Organizzazione delle nazioni unite (Onu), «creare una cultura del consenso richiede a tutti noi di trasformare il modo in cui ci rapportiamo agli altri. Già dalla tenera età, bisognerebbe insegnarne l’importanza ai bambini e alle bambine», trasmettendo così uno strumento di consapevolezza dei propri diritti.
Rachel Brian, ricercatrice e artista, ha spiegato il significato di «consenso» usando la metafora della tazza di tè nel video Tea Consent, diventato virale su YouTube con centocinquanta milioni di visualizzazioni. Nel breve corto di animazione viene illustrato che, se si offre il tè a qualcuno, non si deve costringerlo ad accettare per forza la tazza con la bevanda né obbligarlo a bere, versandogliela in bocca. Va assecondata la decisione di chi dice subito di no e anche di chi cambia idea all’ultimo momento. «No significa no», per usare uno slogan che viene ripetuto nei dibattiti e nei corsi di educazione negli Stati Uniti.
Rachel Brian ha cercato di rendere chiaro il tema del consenso in Dai un bacio a chi vuoi tu (De Agostini), manuale per l’infanzia appena pubblicato in italiano. Il libro fornisce, con testi semplici corredati da disegni, gli strumenti per riconoscere le insidie in ogni ambiente, reale o virtuale, dal bullismo all’adescamento, a contatto con coetanei e adulti. Come possiamo comunicare cosa ci piace e quello che invece ci mette a disagio? Cosa vuol dire fidarsi del proprio istinto? Si può cambiare idea? Come si chiede aiuto? Attraverso le risposte a queste domande i più piccoli, a partire dai sei anni, imparano a difendersi, ad avere fiducia in se stessi e a rispettare gli altri.
Sul sito della Harvard Graduate School of Education, Gideon Kahn, educatore che ha insegnato negli asili in California e a New York, spiega l’utilità di un vocabolario semplice e chiaro per farsi capire quando si parla di consenso, con parole come «corpo», «spazio» e «mani». L’obiettivo è che se un bimbo oppure una bimba non voglia essere abbracciato da un compagno possa dire «questo è il mio corpo» ed essere capito all’istante. Junlei Li, docente alla Harvard Graduate School of Education, ritiene che si debba insegnare che non c’è niente di male a manifestare il proprio disagio. Per riuscirci, il primo passo è mettersi in ascolto dei più piccoli e poi indirizzarli nel riconoscere ciò che provano. Troppo spesso educatori e genitori scoraggiano chi esprime tristezza, rabbia oppure fastidio. Questo, però, non è un atteggiamento costruttivo perché riuscire a identificare le emozioni negative può aiutare a difendersi quando si viene feriti, a sviluppare empatia e riconoscere emozioni simili negli altri. «Se un bambino oppure una bambina è triste, non è raro che si senta dire: non piangere, non è successo niente, oppure che venga distratta molto velocemente, senza che possa focalizzarsi sulla sensazione spiacevole. Ma esprimere un certo grado di tristezza o rabbia è importante per crescere».
Elizabeth Schroeder, educatrice alla Montclair State University e alla Widener University, consulente per Unfpa (agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di sessualità e salute riproduttiva), autrice del manuale Sex, Love, and Psychology (Sesso, amore e psicologia), pubblicato nel 2009 per Praeger Pub Text, è convinta che sia fondamentale cominciare dall’infanzia ad acquisire la dimensione del «consenso». Si può evitare così, nell’adolescenza e in età adulta, di mettere in atto comportamenti nocivi con se stessi e con gli altri. Secondo Schroeder è importante stimolare riflessioni sull’autonomia personale, sulle relazioni, e sugli aspetti della salute intima, chiaramente adottando modi e linguaggi specifici per ogni età. È meglio usare i termini giusti già dai tre anni rispetto all’anatomia, evitando nomignoli, per non creare confusione né imbarazzi inutili. Esattamente come si utilizzano le parole «occhi», «braccia», «pancia», così si possono nominare le altre parti del corpo, sottolineando che nessuno, fatta eccezione per se stessi, è autorizzato a toccarle a meno che si tratti di un medico che sta facendo una visita specifica e comunque sempre in presenza dei genitori.
È basilare educare a credere nel proprio istinto e nelle sensazioni. Per cominciare si può considerare le volontà dei piccoli rispetto al cibo: se un bambino durante il pasto dice di essere sazio va creduto e non forzato. Melissa Pintor Carnagey, educatrice e fondatrice del sito internet «Sex Positive Families», dal quale i genitori possono scaricare vademecum e opuscoli, ritiene che riuscire a essere in contatto con se stessi e con quello che si desidera è la premessa per potere reagire a situazioni di difficoltà o di pericolo.
È anche necessario non focalizzarsi, come succede ancora troppo spesso, soltanto sulle bambine, insistendo su quali siano i modi migliori per esprimere i no perché si toglie da subito la responsabilità ai bambini, futuri uomini adulti. Elizabeth Schroeder racconta di spiegare così, al proprio figlio, come riconoscere se qualcuno non è d’accordo e non sta dando il consenso: «Se non sei sicuro della volontà dell’altra persona prendi la sua risposta come un no, non fare nulla, e parlane per capire meglio». Un altro suggerimento è incoraggiare bambine e bambini a motivare i propri rifiuti. Ad esempio, «non ho voglia di darti un abbraccio, ma va bene se ci teniamo la mano», è una frase per fare capire che è lecito sentirsi a proprio agio con certe cose e non con altre.