Addio al poeta della liberazione

Mentre, in una giornata assolata del marzo del 1983, Giovanni Paolo II, durante una tempestosa tappa del suo viaggio in Centro America, camminava tra due ali di folla nella strada principale di Managua, all’improvviso riconobbe un sacerdote che gli si inginocchiò davanti, il basco stretto sul petto e la mano tesa in un gesto di riconciliazione.
Era Ernesto Cardenal, poeta molto popolare in America centrale, autore nel 1962 di uno scandaloso «Omaggio a Marylin Monroe e altri poemi», appassionato militante della Teologia della liberazione e della necessità di attivo impegno sociale in favore dei più deboli che quella teologia predicava. Era allora convinto Cardenal (lo rimase per poco tempo ancora) che la rivoluzione sandinista del 1979, alla quale aveva partecipato per liberare il Nicaragua dalla quarantennale dittatura dei Somoza, potesse avere uno sbocco democratico.
Di fronte al papa che gli aveva già intimato più volte da Roma di abbandonare la politica e quella teologia che Wojtyla aborriva, Cardenal si buttò in ginocchio perché Giovanni Paolo II, suo nemico, era comunque anche il suo pontefice. E mentre la folla imbevuta di slogan gridava «entre cristianismo y revolución no hay contradicción» o «Bienvenido Juan Pablo II en la tierra liberada gracias a Dios y a la revolución» tese la mano in un gesto di pace.
Wojtyla, col dito indice alzato e il mantello svolazzante, quella mano rifiutò lasciandola sospesa in aria insieme alle parole: «Prima ti devi riconciliare con la Chiesa». Era lo stesso papa che cinque anni dopo si affaccerà dal terrazzo della Moneda con Augusto Pinochet, con il nero corteo di Stato cileno attraverserà Santiago e pronuncerà un lungo discorso senza un solo accenno agli orrori commessi dal dittatore suo ospite.
Ernesto Cardenal è morto domenica primo marzo, a 95 anni, in un ospedale di Managua, da dove non ha mai smesso di denunciare i crimini del regime di Daniel Ortega tornato al potere nel 2007. Che di recente lo ha fatto condannare a una multa di 800 mila dollari sperando tacesse.
Cardenas per 35 anni non ha potuto impartire i sacramenti. A quel monito lanciato da Wojtyla per strada nel 1983, seguì l’anno dopo la sospensione a divinis. Mantenuta da Ratzinger. La riabilitazione è arrivata il 18 febbraio del 2019, firmata da papa Francesco e preannunciata da una visita di scuse del nunzio apostolico in Nicaragua che gli propose di celebrare messa insieme.
Schiaffi peggiori che dalla sua chiesa, Cardenas ne ha presi solo dalla rivoluzione sandinista, di cui, subito dopo la vittoria sulla dittatura nel 1979, fu il provvidenziale ministro della Cultura che aiutava i novelli governanti, ancora fronte unito non immediatamente riconoscibile come la banda criminale che ha poi mostrato d’essere, a cementare le simpatie già fervide dei progressisti di mezzo mondo. Finché, quasi subito, Ortega s’è rivelato per quel che era. Le malefatte del sandinismo sono elencate nel libro di Cardenal «La revolución perdida», del 2004. Ortega l’ha allontanato, perseguitato, bastonato come ha potuto. Usando i tribunali che, dopo il ritorno al potere per via elettorale dei sandinisti redivivi nel 2007, sono nelle mani del regime.
«Ortega e sua moglie Rosa Murillo sono padroni di tutti i poteri in Nicaragua. Hanno un potere assoluto, infinito, che esercitano senza limiti e senza controlli, un potere che è diretto anche contro di me» si era lamentato Cardenal di recente.
È stato lui a offrire in questi anni le denunce più dettagliate della repressione del dissenso nel Nicaragua, più degli altri dirigenti storici sandinisti che da Ortega hanno preso le distanze. È stato lui a dire in Europa e in America, continuando a vivere a Managua, che il regime ha trasformato in reato le proteste di piazza, con la pena prevista dell’arresto immediato.
È stato lui a dire che il Nicaragua degli ultimi 13 anni è stato governato, su esempio cinese, da una mescolanza di autoritarismo in politica e liberismo spinto in economia. L’ha fatto per suo conto, lontano dalla chiesa cattolica che negli ultimi due anni s’è schierata a fianco delle proteste studentesche anti regime, dopo essere stata per un decennio in silenzioso temporeggiare di fronte ad Ortega, dal quale ha ottenuto un fondamentale sostegno per una legge ferocemente contraria all’aborto, la più restrittiva del continente.
Rosa Murillo, «primera dama» e numero due del regime, è una modesta poetessa con una passione per lo spiritualismo esoterico e ha dimostrato negli anni di avere una grande e crescente influenza su Ortega che, per dirne una, convinto da lei della magica potenza del color fuxia nel contrastare i malefici, ha lasciato il rosso e nero della bandiera sandinista e avvolto di fuxia le sue campagne elettorali. È dell’inconfondibile stile misticheggiante di Rosa Murillo anche il comunicato che accompagna il decreto di tre giorni di lutto imposti dal governo Ortega per la morte di Cardenal definito «fratello», «gloria» e «orgoglio». Nell’eccesso di entusiasmo celebrativo post mortem del suo fervente critico che ha cercato in ogni modo di piegare, il regime gli ha anche attribuito un Premio Cervantes per la letteratura che Cardenal, da vivo, non ha mai vinto.

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